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La giustizia per i clerici

Ecco un estratto del libro sul « La giustizia amministrativa nella chiesa cattolica » (imprimatur del testo francese ricevuto il 11 ottobre 2017)

Capitolo 5: La giustizia per i chierici

 

Secondo i dati al 31 dicembre 2012 e pubblicati nell’Annuario statistico della Chiesa [1], risulta che:

  • i vescovi sono 5 033, di cui 3 917 diocesani;
  • i sacerdoti sono 414 313, con un leggero aumento rispetto all’anno precedente, proveniente dall’Africa, dall’America del sud e dall’Asia [2];
  • i diaconi permanenti sono 42 104, con un aumento proveniente principalmente dall’Europa e dall’America del Nord;
  • I seminaristi erano circa 118 000 nel 2009[3].

I chierici dedicano la loro vita a Dio e alla Chiesa, facendo molte rinunce, di cui quella di una vita familiare con il celibato. E’ un grande dono che i fedeli accolgono, generalmente, con gratitudine. Così, molti fedeli cattolici lavorano con gioia all’interno delle strutture ecclesiali, e la maggior parte delle situazioni conflittuali si risolve con il dialogo e la preghiera.

Tuttavia, a volte, si verificano tensioni che coinvolgono i chierici e i loro superiori. Per chiarirle, dei canonisti come R.G. Huysmans[4] o   Rik Torfs[5] hanno approfondito i diritti e doveri dei chierici, distinguendo:

  • i diritti dei chierici, come i diritti comuni dei fedeli (c. 208-221), il diritto di associazione (c. 278), il diritto ad una giusta remunerazione (c. 281), il diritto alle vacanze (c. 283 §2), ecc.;
  • le legittime aspettative dei chierici, come la sollecitudine del vescovo, il diritto di essere ascoltato (c. 384), la possibilità di una escardinazione (c. 271), l’ottenimento di un ufficio corrispondente alle proprie facoltà (c. 274), andare in pensione (c. 538), ecc.;
  • le legittime aspettative nei confronti dei chierici, come una vita semplice e le opere di carità (c. 282), una certa pratica della vita comune (c. 280), la formazione continua (c. 279), ecc.   
  • I doveri dei chierici, come quello di indossare un abito appropriato (c. 284) o di astenersi da comportamenti vietati (c. 285)

In caso di mancato rispetto di questi diritti e doveri formali o legittimamente attesi, il dialogo è di regola, ma possono verificarsi situazioni in cui il dialogo non è sufficiente e si ricorre alla giustizia della Chiesa. Non disponiamo di informazioni precise sul modo in cui questa giustizia interviene nella pratica, ma abbiamo un’immagine di massima a partire da tre indagini:

  • per i ricorsi amministrativi, l’indagine di Etienne Rozé sui conflitti di una diocesi[6];
  • per i ricorsi gerarchici, l’indagine di James H. Provost presso diocesi americane[7],
  • per i ricorsi di contenzioso amministrativo, l’indagine di Michael Landau[8] presso la Seconda sezione del Supremo Tribunale

Per quanto riguarda le difficoltà incontrate, Etienne Rozé ha fatto un sondaggio nel 2014 nella diocesi cattolica di Nancy-Toul, in cui ha raccolto una cinquantina di testimonianze, di cui presenta una tipologia che riassumiamo di seguito con parole nostre.

  • Il 60% delle difficoltà riguarda i rapporti di una persona autoritaria con un gruppo. Questo avviene particolarmente quando una persona cerca di imporre situazioni diverse ad un gruppo, o quando una persona vede le sue proposte sistematicamente respinte e si sente esclusa. Le donne, in particolare, spesso si sentono usate, abusate e non riconosciute. I gruppi di animazione si lamentano del loro lavoro inutile, poiché quando ci sono decisioni da prendere, spesso è solo il sacerdote che decide: «Tutto si blocca, è lui il parroco».
  • Il 20% delle difficoltà riguarda i rapporti tra due sacerdoti o tra un sacerdote ed il suo vescovo o il vicario episcopale, che a volte sa che c’è mancanza di rispetto per l’autorità del vescovo, per esempio quando alcuni sacerdoti si rifiutano volontariamente di tornare a riunirsi.
  • Il 20% delle difficoltà individuate riguarda i rapporti tra persone giuridiche, che sanno che i rapporti tra strutture diocesane e parrrocchiali sono considerati non facili ed a volte difficili.

Una particolarità propria della Chiesa è il raggruppamento nelle mani della Chiesa dei poteri di governo, giuridici ed anche legislativi di una diocesi, che non facilita la chiarezza delle cose per poi saper distinguere a quale livello si è arrivati… «Ma occorre fare con!», dice Etienne Rozé.

A volte i rapporti si inaspriscono, per esempio a causa di una «carità sdolcinata» che fa in modo che non si osi dire a qualcuno che non è al posto suo[9]. Un’altra questione sollevata è la cattiva comprensione del concetto di autorità, di obbedienza e di potere sia da parte di coloro che hanno l’autorità che da parte della maggioranza silenziosa che a volte tende ad idolatrare il prete, confondendo il sacramento dell’ordine con il potere di governo. Per quanto riguarda i ricorsi amministrativi, gerarchici e di contenzioso amministrativo, ecco quello che ho ricavato dai lavori di Etienne Rozé:

  • il ricorso al Consiglio di mediazione è stato positivo. In molti conflitti menzionati, uno dei protagonisti è garante, agli occhi della gerarchia, dell’ordine canonico nel suo settore, mentre molti laici hanno solo un’idea molto vaga dei diritti. Il mediatore può invitare le parti a manifestare le norme evocate per evitare le false interpretazioni di queste norme, in buona o cattiva fede;
  • un appello ad un’autorità superiore spesso non cambia niente, ossia talvolta rafforza la posizione del curato. L’intervento gerarchico […] quando viene realizzato, non soddisfa affatto, poichè anche se poi la situazione è più chiara, questo intervento tutela solo raramente il rapporto;
  • anche se solo alcune delle situazioni riferite affrontano, ad una prima analisi, un ricorso giuridico canonico, in nessun momento questo modo di risoluzione dei conflitti è menzionato, neppure per respingerlo. Questa dimenticanza può derivare dall’ignoranza, oppure da una ripugnanza nei confronti del ricorso canonico che spesso è considerato, non come una soluzione, ma come «una dichiarazione di guerra».

Sempre a proposito della mediazione, due sacerdoti dell’Africa dell’Ovest hanno segnalato l’importanza della fraternità vissuta all’interno del corpo sacerdotale. Specificano innanzitutto che in Africa, la famiglia ha un valore particolarmente importante, poichè non c’è né assistenza nè pensione, così il sacerdote e la famiglia sono fortemente legati fino alla morte. In pratica, si presentano due casi estremi:

  • la famiglia è contenta che uno dei suoi membri sia sacerdote, allora non esita ad aiutarlo e/o a incitarlo sempre;
  • la famiglia ha valori incompatibili con la vita cristiana, e il sacerdote deve rompere con la sua famiglia, almeno provvisoriamente, per poter esercitare la sua vocazione.

In entrambi i casi, il sacerdote ha bisogno del sostegno dei suoi confratelli, anche i sacerdoti dell’Africa dell’ovest si riuniscono all’interno delle confraternite diocesane, nazionali[10] e regionali[11], per ritrovare una nuova famiglia. Come in una famiglia tradizionale africana, l’unione e la concordia devono essere preservate tra i membri, in modo che le confraternite si dotino di mezzi di mediazione quando si verificano delle tensioni. Ecco un esempio:

Un prete si lamenta davanti al delegato diocesano dell’UCB per avergli imposto di ritornare a casa sua, poichè si è rifiutato di obbedire presentandosi in ritardo al suo nuovo incarico. Il delegato dell’UCB incontra il vescovo e scopre che la situazione è più complessa di quanto sembri, poichè il sacerdote aveva lasciato la diocesi senza permesso, nascondendo l’accaduto al vescovo che peraltro è stato informato. Il delegato può quindi ritornare a vedere il sacerdote invitandolo ad obbedire al suo vescovo, spiegandogli che questi ha motivo di essere arrabbiato con lui.

 

Succede anche che dei vescovi parlano in via ufficiosa delle loro difficoltà con alcuni sacerdoti della diocesi davanti al delegato dell’UCB. Questi in genere va a trovare i sacerdoti in questione per ascoltarli e dare loro dei consigli dopo aver sentito i due pareri, poi invocando la loro causa al vescovo.

Queste associazioni nazionali alle quali l’Europa potrebbe utilmente ispirarsi, sono importanti al punto che, a volte, sono dotate di un segretario a tempo pieno o nominano ufficialmente uno dei loro membri per garantire la comunione ecclesiale. La loro presenza può in parte spiegare il minor numero di ricorsi dall’Africa, senza però riuscire ad evitarli tutti[12].

Per quanto riguarda i ricorsi gerarchici, il rapporto annuale della Congregazione per il clero del 2014 indica che esso è intervenuto per i ricorsi gerarchici, senza precisazioni relative al loro numero, né ad una parte delle decisioni, oggetto di ricorso di contenzioso amministrativo[13].  James Provost[14] ci dà una visione più chiara a partire da due indagini condotte negli Stati Uniti presso tutte le diocesi, riguardo ai ricorsi gerarchici realizzati nel corso degli anni dal 1969 al 1984. Il risultato è il seguente:

  • 36 ricorsi gerarchici sono stati depositati presso la Curia romana nelle 141 diocesi che hanno risposto all’indagine:
  • 28 di questi ricorsi riguardano i sacerdoti, di cui 14 per licenziamenti e trasferimenti di curati, 5 per riassunzione di parroci, 5 per le pensioni dei sacerdoti, ed uno per lo stipendio di un amministratore parrocchiale; 2 per rifiuto di incardinazione, 1 per rifiuto di ordinazione di un diacono;
  • altri 8 ricorsi riguardano religiosi, parrocchiani, parrocchie, insegnamento religioso, cambio padrini;
  • 3 casi su 36 hanno dato luogo ad un ricorso di contenzioso amministrativo.

Per quanto riguarda i ricorsi di contenzioso amministrativo da parte dei sacerdoti e dei chierici, vediamo prima di tutto sul nostro database che, al 15 ottobre 2016, ha registrato 385 ricorsi di contenzioso amministrativo da parte di chierici di cui:

  • 2 ricorsi depositati da un diacono permanente[15],
  • 44 ricorsi depositati da vescovi, in genere contro decisioni della Curia, che hanno dato ragione ad un ricorso gerarchico del loro subordinato[16],
  • 338 ricorsi di sacerdoti contro decisioni del loro vescovo che ritengono sfavorevoli ed ingiuste.

I ricorsi dei chierici sono diretti per lo più contro i decreti della Congregazione per il clero, ma non tutti:

  • 236 sono su decisioni della Congregazione per il clero
  • 68 riguardano la Congregazione per gli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica[17],
  • 17 riguardano la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli
  • 13 riguardano la Congregazione per le Chiese orientali,
  • 10 riguardano la Congregazione per l’educazione,
  • 4 riguardano la Congregazione per la dottrina della fede,
  • 28 sono ripartiti tra gli altri dicasteri, 8 sono per un dicastero non identificato.

Oltre ai raggruppamenti di parrocchie ed alla riduzione di chiese ad uso profano, i ricorsi riguardano principalmente i trasferimenti ed i licenziamenti di sacerdoti, ai quali dedichiamo la prima parte di questo capitolo. Esamineremo in seguito i ricorsi contro altri tipi di decisioni amministrative, ed infine i casi più gravi che sono oggetto di processo penale ma che possono anche essere oggetto di sanzioni amministrative suscettibili di ricorsi.

 

  1. Licenziamenti e trasferimenti di curati

In qualsiasi impresa umana, pubblica o privata con insediamenti territoriali, il contratto di lavoro dei responsabili regionali e locali prevede generalmente clausole di licenziamento e trasferimento a discrezione della gerarchia. Nella Chiesa, queste procedure sono codificate, e sembrano anche essere più protettive dei diritti rispetto a quelle di molte aziende pubbliche e private. E’ pur vero che un trasferimento comporta dei cambiamenti per cui non è sempre facile conciliare il bene comune con gli interessi specifici.

Per quanto riguarda i licenziamenti ed i trasferimenti dei curati, i canoni dal 1740 al 1752, che concludono il codice di diritto canonico del 1983, sono inclusi nel libro VII relativo ai processi, come se essi fossero necessariamente controversi. Labandeira spiega questa caratteristica invitando a capire il titolo latino del libro VII «de processibus» nell’ambito della procedura e non nell’ambito del processo:

Il termine è quindi applicabile a qualsiasi procedimento formale in contraddittorio, giudiziario o amministrativo, stabilito dalla legge per proteggere alcuni diritti o interessi generali o particolari.

Nel diritto particolare, la Conferenza dei vescovi francesi, nonché quelle degli altri paesi [18], ha deciso che «ogni vescovo potrà nominare i sacerdoti per sei anni con possibilità di proroga»[19] , il che dà una certa prevedibilità a tutti e permette di evitare parte dei conflitti. Per quanto riguarda la giustizia in questo settore, ne parleremo a partire dai lavori già citati di James Provost e Michael Landau, ai quali rimandiamo i lettori poliglotti per un approfondimento.

  • I licenziamenti dei sacerdoti

Nel diritto, la procedura di licenziamento di cui ai canoni dal 1740 al 1747 non tende tanto a sanzionare una condotta colposa[20] quanto a permettere al Vescovo maggiore efficienza nel corretto esercizio del ministero parrocchiale all’interno della sua diocesi. In effetti, il c.1740[21] non impone una colpa grave da parte di un curato per il suo licenziamento, ma quando questo avviene prima del tempo stabilito, contro la volontà del titolare, l’autorità che lo decide deve indicare un serio motivo[22], che non è sempre senza difficoltà. Le ragioni che possono portare ad un licenziamento[23] nonchè la procedura da seguire da parte del vescovo sono descritte precisamente nel Codice. Ecco un caso riportato dalla stampa:

Nel maggio 2013, il curato di Megève ha dovuto dimettersi dalle sue funzioni poichè si era rifiutato di lasciare la sua loggia massonica. Dopo aver perso il suo posto e lo stipendio, fa appello alla sua loggia che forma un comitato di sostegno, e anziché fare un ricorso gerarchico, chiede udienza al papa poi pubblica un libro «Être frère, rester père[24]» di cui ecco un passo: L’ingiustizia di cui sono stato vittima mi mette le ali […] il vescovo, prima di buttarmi fuori, mi ha suggerito di ritirarmi in un monastero per pregare e riflettere. Pregare, lo faccio. Riflettere, ci ho pensato. Non rinuncio alla mia libertà di coscienza […] Ho voluto farmi sentire. Ho bussato alle porte. Ho scritto lettere, ho rilasciato interviste, ho supplicato la mia causa. Niente. Non una parola. Non una reazione. Ho fatto valere che un accusato ha diritto [a] difendersi. Niente. Quindi ho deciso di andare a Roma per chiedere udienza al Santo Padre. […] Voglio chiedere la revoca della sanzione che mi colpisce. […] Infine ho appuntamento alla Congregazione per la Dottrina della fede, il luogo cruciale. […] “Inconciliabile, inconciliabile. […] Tutto finito, mi indica l’uscita”.

Nel diritto, i decreti di licenziamento dei curati devono soprattutto essere preceduti da una concertazione preventiva e dalla consultazione di due curati[25]. Se il vescovo mantiene la decisione di licenziamento, il decreto deve indicare il diritto di ricorso del curato contro questo decreto, specificando inoltre che questo è sospensivo[26]. In pratica molti autori sottolineano la necessità per i vescovi di seguire scrupolosamente la procedura, altrimenti il ricorso amministrativo del sacerdote ha molta probabilità di arrivare ad una causa vinta dalla Congregazione per il clero, ovvero dal Supremo Tribunale. Questa causa vinta, d’altronde, non è che provvisoria poiché, in genere, il vescovo riprende la procedura e promulga un nuovo decreto identico o simile al primo, ma questa volta inattaccabile nella forma. Il risultato è soprattutto una confusione dannosa per la comunione ecclesiale nella parrocchia dalla quale il curato è rimosso poi reintegrato, poi di nuovo rimosso.

Un punto della giurisprudenza merita di essere sottolineato in merito al limite di età per un curato. Quando un vescovo impone una regola ai curati relativa all’inizio della pensione ad un’età fissa, come per esempio a 75 anni, la maggior parte dei sacerdoti accetta la regola, ma non necessariamente tutti. Il limite di età, non essendo un motivo conforme ai canoni 1740 e 1741, molti curati licenziati per l’età fatidica, hanno vinto il loro ricorso gerarchico contro la decisione del loro licenziamento. Così la Congregazione per il clero spinge i vescovi a trovare un altro motivo di licenziamento più conforme al canone 1740, o a mantenere il curato al suo posto se non trova un’altra ragione.

In diversi casi sollevati da James Provost[27], il vescovo licenzia un sacerdote per limite d’età. Questi presenta un ricorso gerarchico. La Congregazione convince il vescovo a riconsiderare la sua decisione. In entrambi i casi, il sacerdote muore entro due anni, e ci si può chiedere se la tensione causata dal ricorso gerarchico c’entri in qualche modo.

 

Nel 1994, Dominique Letourneau ritiene che la giustizia ecclesiastica in materia di licenziamenti di curati ha ancora molta strada da fare:

Se i modi e mezzi legali per proteggere i diritti fondamentali sono in gran parte lasciati alla discrezione dell’autorità ecclesiastica, non è più possibile parlare di una reale protezione. Se per esempio si verifica un conflitto per il licenziamento di un curato, possiamo considerare che i diritti dell’interessato sono veramente protetti dalla procedura prevista[28] ? E’ammesso dubitarne. […] I ricorsi sono insufficienti e la sensibilità manca presso i giudici[29]. Inoltre il c. 221 §2 non è redatto in modo adeguato. Il diritto fondamentale in questione è il diritto di essere ascoltato in giudizio entro un termine ragionevole da un tribunale imparziale [30].

Alcuni sviluppi circostanziali sono presentati da Michael Landau, ma la vastità del suo libro (416 pagine) e la lingua utilizzata (tedesco) fanno rinunciare ad esporlo in dettaglio, incitando i lettori interessati a leggerlo, o a porre delle domande specifiche on line nella parte professionale del sito www.canonistes.org.

  • I Trasferimenti

 

Mutatis mutandis, la procedura di trasferimento dei curati è trattata nei canoni dal 1748 [31] al 1752. La giurisprudenza ha specificato tra l’altro, i punti seguenti:

  • ai sensi del canone 1747 § 3, un contenzioso amministrativo sospende effettivamente la nomina di un nuovo curato[32],
  • a partire dal 1981, il Supremo Tribunale ha accettato alla discussione[33] diverse cause in cui alcuni vescovi avevano presentato ricorso contro delle decisioni della Congregazione per il clero che avevano invalidato i loro decreti relativi al trasferimento dei sacerdoti. Secondo Zénon Grocholewski[34], tali situazioni sarebbero inconcepibili nella giustizia civile ma possibili nella Chiesa? Poiché gli Ordinari hanno un proprio potere che li rende responsabili davanti a Dio e non li fa dipendere dalle Congregazioni[35].

Si noterà che la procedura non menziona il trasferimento dei sacerdoti in quanto sono solo vicari, né del trasferimento dei vescovi. Per questi ultimi, segnaliamo «che tra aprile 2005 e ottobre 2012, Benedetto XVI ha accettato 78 dimissioni di vescovi, quasi uno ogni mese», in applicazione del c. 401 § 2:

can. 401 – §2: Il vescovo diocesano che per infermità o altra grave causa risultasse meno idoneo all’adempimento del suo ufficio, è vivamente invitato a presentare la rinuncia all’ufficio[36].

La procedura di licenziamento dei vescovi non è specificata, ma a volte dà luogo a controversie che la stampa commenta[37].

Il 13 gennaio 1995, un comunicato della Santa Sede annuncia che il Santo Padre Giovanni Paolo II ha tolto dal governo pastorale della diocesi di Evreux (Francia) sua Eccellenza Mons. Jaques Gaillot[38], trasferendolo alla sede titolare di Partenia[39]. Lo stesso giorno un secondo comunicato della Santa Sede afferma che «il prelato non si è dimostrato idoneo a svolgere il ministero di unità che è il primo dovere di un vescovo [40]». Il decreto di trasferimento emesso dalla Congregazione dei vescovi non è stato reso pubblico, tuttavia, secondo Francis Mesner e Giovanni Werkmeister, non si tratta di una rinuncia poiché Mons. Gaillot è stato ricevuto il 12 febbraio 1995 dal prefetto della Congregazione dei vescovi, ed ha rifiutato di dimettersi, nonostante la richiesta del prefetto. Non è una sanzione penale, dal momento che non c’è stato un processo, né un licenziamento ipso iure. Non è nemmeno un trasferimento contro la volontà del titolare poiché si tratta di una sede e non di un ufficio. Rimane il licenziamento per decreto amministrativo della Congregazione, che è senza dubbio la decisione adottata, probabilmente motivata da una rottura della comunione ecclesiale. Il decreto non essendo approvato in forma specifica dal papa, sarebbe soggetto ad un ricorso di contenzioso amministrativo, ma a quanto pare non si è verificato.

I trasferimenti dei sacerdoti religiosi hanno ulteriori caratteristiche evocate nel capitolo seguente.

  1. Le sanzioni amministrative

 

Oltre ai trasferimenti e licenziamenti di curati che sono oggetto di una procedura particolare, esistono altri tipi di sanzioni nell’ambito della normale procedura dei ricorsi (c. 1742-1739). Fortunatamente, numerosi casi si risolvono con il dialogo, come si può constatare per un caso particolarmente interessante, riportato da Rik Torfs[41]:

Nel 1992, Rik D., curato di Buizingen, nella diocesi di Malines-Bruxelles, pubblica un libro intitolato De laaste dictatuur[42], che riscuote molto successo in Belgio nel momento in cui critica apertamente la Santa Sede ed il Papa. Mons. Daneels, arcivescovo, lo incontra due volte, ed entrambi accettano di emettere un comunicato stampa congiunto, nel quale l’arcivescovo difende il Papa, mettendo in evidenza alcuni errori storici del libro, mentre il sacerdote difende la sua libertà d’espressione in quanto fedele cattolico, pur ribadendo la sua sottomissione al Papa e all’arcivescovo per la conduzione della sua diocesi. Il caso rimane lì.

 

Questa procedura è coerente con quella che il cardinale Ratzinger evocava nel 1985[43], sfortunatamente le cose non sono andate sempre così.

 

  • Incardinazione e escardinazione

 

Senza entrare nei dettagli delle pubblicazioni specializzate[44], ricordiamo che una volta ordinato, il nuovo chierico è incardinato ad una Chiesa specifica o ad un istituto che ha questa facoltà, in conformità al canone 265:

Ogni chierico deve essere incardinato […] in modo che non ci siano assolutamente chierici acefali o senza collegamento

In conformità al canone 267[45], questa incardinazione detta “di origine”, può essere modificata con una incardinazione detta “derivata”, che richiede un atto amministrativo con una lettera di escardinazione del vescovo della diocesi di origine detto a quo ed una lettera di incardinazione del vescovo della diocesi di arrivo detto ad quem. Quando uno dei due vescovi non vuole firmare l’autorizzazione necessaria spesso si verificano difficoltà che la giurisprudenza del Supremo Tribunale[46] consente di regolare in parte:

Can. 268 — §1. Il chierico che si trasferisce legittimamente dalla propria Chiesa particolare in un’altra, dopo cinque anni viene incardinato in quest’ultima per il diritto stesso, purché abbia manifestato per iscritto tale intenzione sia al vescovo diocesano della Chiesa ospite, sia al vescovo diocesano proprio e purché nessuno dei due abbia espresso un parere contrario alla richiesta entro quattro mesi dalla ricezione della lettera.

Tuttavia, i conflitti continuano a verificarsi:

Padre xxx, dottore in teologia, è incardinato in una diocesi in Africa. Attualmente è in Francia senza ministero e senza reddito, a causa di una controversia che l’ha contrapposto al suo vescovo tre anni fa, e che descrive in questi termini: «al centro del problema c’è la gelosia tra gli attuali giovani vescovi: pensano erroneamente che se un prete ha un dottorato ed è ammesso all’insegnamento in un istituto cattolico, sarà automaticamente candidato all’episcopato: è questa falsa idea che mi ha contrapposto al suo precedessore […], il defunto Monsignore ha categoricamente rifiutato di raccomandarmi e mi ha fatto molto male: la mia cultura mi vieta di parlare male dei morti, preghiamo per lui e perdoniamo… Gli uomini muoiono, La Chiesa rimane». Attualmente è un sacerdote acefalo e chiede la mediazione dei  «Canonisti senza frontiere» per ristabilire il dialogo con il nuovo vescovo che non risponde alla sua richiesta di escardinazione in Francia[47].

 

Ecco un secondo caso anche dall’Africa:

Un prete ricopre per molto tempo un incarico di curato di parrocchia con responsabilità presso la Conferenza dei vescovi in un paese dell’Africa centrale. La situazione si deteriora con il nuovo vescovo che, secondo lui, vive nel lusso e non si preoccupa della sorte dei suoi sacerdoti e seminaristi, per cui molti dei quali lasciano per mancanza di mezzi di sussistenza. Una missione della Curia romana ispeziona la diocesi, ed il vescovo colpevolizza il sacerdote considerando questo episodio come un’ingerenza. Il prete è preso di mira a tal punto che la sua vita è in pericolo. Parte per studi con il tacito accordo del suo arcivescovo ma senza accordo formale del suo vescovo. Dopo aver festeggiato l’anniversario della sua ordinazione, celebrando una messa a Montmartre, telefona ai suoi colleghi africani, i quali gli riferiscono che il suo vescovo ha detto in un sermone che è stato sospeso per un anno. Non ha mai ricevuto direttamente alcuna informazione del suo vescovo su questo argomento.

 

In entrambi i casi di cui sopra, i preti in questione non hanno scelto di fare ricorso, ma al di fuori dell’Africa, altri lo fanno[48], a volte vincendo la causa:

un prete, essendo stato incardinato a forza in un’altra diocesi, ha fatto ricorso al Supremo Tribunale ed ha vinto la causa[49].

Invece, alcuni vescovi sono comprensivi ed accolgono nella loro diocesi dei sacerdoti non escardinati, preferendo «la salvezza delle anime» alla legge.

 

  • Rifiuto o revoche di autorizzazioni

Come per i laici, esiste un certo numero di ricorsi di sacerdoti che non hanno ricevuto l’ufficio che speravano[50], o che si sono visti togliere quello che avevano ricevuto[51].

Per quanto riguarda l’accesso agli ordini sacri, la gerarchia a volte pensa che un candidato non abbia le qualità richieste, in particolare nel caso di comportamenti sessuali devianti, per cui a volte vengono presentati ricorsi per la non ammissione all’esercizio degli ordini sacri[52], o per un rifiuto d’incardinazione[53].

Nella maggior parte dei casi non viene formulato nessun ricorso ma rimane una sensazione di ingiustizia:

un giovane seminarista recentemente si è visto rifiutare l’ingresso nel ciclo teologico dal suo seminario, dopo 2 anni di filosofia, 2 anni di missione e un anno di formazione in parrocchia. Il presunto motivo di questo rifiuto è dovuto al fatto che questo giovane seminarista, ben integrato nella sua diocesi, che aveva ricevuto molte opinioni positive, aveva adottato il rito della comunione in bocca e in ginocchio, in un seminario ritenuto fortemente contrario[54].

 

Il prete dopo essere stato ordinato, riceve normalmente le autorizzazioni e gli uffici che corrispondono alle sue capacità ed ai bisogni della diocesi. In caso di problemi, questi uffici gli possono essere tolti con un particolare decreto amministrativo. Questo può comportare tensioni che portano ad un ricorso straordinario o ad una mediazione, poi in caso di insuccesso, ad un ricorso gerarchico ossia ad un ricorso di contenzioso amministrativo.  Così la Segnatura Apostolica viene regolarmente chiamata a conoscere dei ricorsi contro rifiuti o revoche di autorizzazione a confessare[55], a predicare[56], a insegnare[57], a svolgere un ufficio[58], ecc.

A volte questi rifiuti e restrizioni all’esercizio del ministero sacerdotale si basano sul canone 223 § 2[59]  che consente all’autorità di regolare l’esercizio dei diritti specifici per i fedeli, invocando il bene comune. La giurisprudenza del Supremo Tribunale richiede che questo principio generale non venga applicato in modo arbitrario, ma che la sua applicazione poggia su altre leggi canoniche come il canone 835 §1, affidando ai Vescovi il compito di esercitare ma anche di «moderare» la funzione della santificazione nella loro diocesi[60]. Ecco un esempio di giurisprudenza[61]:

In un processo penale un prete è sotto arresto domiciliare in virtù del canone 1722. Il sacerdote è assolto, ma un decreto amministrativo mantiene l’arresto domiciliare e il divieto di celebrare i sacramenti al di fuori di un’abbazia, in virtù dei canoni 223 §2; 764 e 974. Il 22 luglio 2013 il sacerdote deposita un ricorso gerarchico e il 9 settembre 2013 la Congregazione per il clero conferma l’arresto domiciliare ma chiede uno stipendio decente per il sacerdote. Quest’ultimo deposita un ricorso di contenzioso-amministrativo, che è respinto dal Segretario del Supremo Tibunale il 19 febbraio 2014 per una manifesta mancanza di fondamento. C. Begus[62] ritiene che questa decisione si basi sui canoni 223 §2 e 835.

 

Ecco un altro esempio:

Un prete, avendo commesso atti sessuali sui minori, è inviato in un centro medico per una valutazione e per un trattamento. Gli esperti fanno una prognosi ottimistica circa il suo comportamento. Nonostante questo, il vescovo del luogo lo dichiara inadatto ad esercitare correttamente l’esercizio del prete, in conformità ai canoni 1041 e 1044§2. Ne deriva un ricorso, in cui il Collegio dei padri conferma il 4 maggio 1996 la legittimità della decisione del vescovo, senza chiudere la porta ad una sua ulteriore decisione[63].

 

Il caso di un prete canonista dimostra che il diritto canonico offre talvolta dei mezzi di difesa importanti a coloro che sono attenti ai particolari.

Il 5 luglio 2000, il prete cattolico, professore di diritto canonico Mons. R.G. Huysmans conclude un «partenariato registrato [64]», con una teologa, Dottssa …., tuttavia senza vivere con lei e senza rompere il suo voto di celibato. Anche se questa situazione non è prevista dalla legge canonica, il vescovo di Rotterdam non può applicare i canoni 1394 (matrimonio) o 1395 (concubinato) per sospenderlo latae sententiae[65], né procedere per analogia, poichè i canoni 221 §3 e 18 prevedono una stretta interpretazione della legge. Il 1° giugno 2001, pubblica un decreto che vieta ai preti di contrarre un «partenariato registrato» ma la legge non si applica a lui poiché non è retroattiva. Dopo una trattativa infruttuosa, il vescovo emette un nuovo decreto il 1° dicembre 2002, ordinando ai preti che hanno stipulato «un partenariato registrato» di scioglierlo prima del 1° maggio 2003, pena la sospensione latae sententiae, per disobbedienza dei trasgressori al vescovo.  Mons. Huysmans chiede al Tribunale civile di sciogliere il suo «partenariato registrato» per obbedienza al suo vescovo, ma il tribunale respinge questa motivazione[66]. Rendendosi conto che le condizioni non sono mature per la sospensione latae sententiae, il vescovo avvia un processo penale, che siccome le condizioni d’imputabilità e di colpa previste dal canone 1321 § 1 non sono unite, il «partenariato registrato» di Mons. H. con la signora N. rimane in vigore.

In questo caso, constatiamo che il vescovo non ha emanato un decreto particolare, suscettibile di ricorso di contenzioso amministrativo, ma due decreti generali non soggetti a ricorso.

 

  • La perdita dello stato clericale

 

Il canone 290 specifica in quali condizioni un chierico, prete o diacono può perdere lo stato clericale[67]. Parleremo dei casi in cui questa perdita proviene da una decisione amministrativa risultante dal n. 1 o 3 di questo canone, o quando, avendolo perduto, l’ha ricoperto in conformità al canone 293[68]. Per capirne l’importanza, ecco alcune statistiche dei dicasteri competenti[69]:

  • Nel 2015, la Congregazione per il clero ha registrato 771 richieste di esenzione dagli obblighi di ordinazione sacerdotale, ripartite come segue:
Diocesani Religiosi Totale
Preti 400 (52 %) 264 (34 %) 664 (86 %)
Diaconi 76 (10 %) 31 (4 %) 107 (14 %)
Totale 476 (62 %) 295 (38 %) 771 (100 %)
  • Nel 2010, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, competente ai sensi del canone 290 n°1 [70], specifica anche la procedura applicabile[71]. Contiene in totale 115 dispense dagli obblighi sacerdotali, di cui 54 per i sacerdoti di età superiore ai 40 anni, 25 per i preti sotto i 40 anni e 2 per i preti in pericolo di morte. Concede anche 34 dispense per i candidati agli ordini sacri.
  • La Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli dispone di competenze «nei territori posti sotto la sua sorveglianza[72]», con facoltà particolari per i preti[73]
  • La Congregazione per la dottrina della fede, competente nei casi più gravi, compresi i casi di pedofilia, interviene anche in condizioni di cui parleremo più avanti.

 

In giurisprudenza, il RP Mendonça[74], parla di quattro ricorsi gerarchici nei quali la Congregazione per il clero dà ragione ai richiedenti contro decisioni amministrative di perdita dello stato clericale.

Frate X, presenta un ricorso contro un atto amministrativo del 7 agosto 1998 per il quale il suo ordinario gli ha tolto lo stato clericale, con una decisione amministrativa senza aver rispettato la procedura prevista dal canone 1720 al 1722. La Congregazione per il clero gli dà ragione, impone all’ordinario di ridargli immediatamente il suo ministero sacerdotale e di versargli la retribuzione che avrebbe percepito se fosse rimasto al suo posto

 

Mendonça osserva che la Congregazione per il clero esamina i ricorsi gerarchici dal lato canonico e non pastorale, quindi molte decisioni danno ragione ai richiedenti, per errore di procedura. Pertanto, la Congregazione per evitare che si ripetino, raccomanda ai vescovi di applicare per analogia la procedura di indagine preventiva in materia penale di cui al canone 1717, anche se, formalmente, il Codice non lo impone per decisioni amministrative:

Can. 1717 §1. Ogniqualvolta l’Ordinario abbia notizia, almeno probabile, di un delitto, indaghi con prudenza, personalmente o tramite persona idonea, sui fatti, le circostanze e sull’imputabilità, a meno che questa investigazione non sembri assolutamente superflua.

 

Allo stesso modo, Javier Canosa fa riferimento alla sentenza del 31 ottobre 1992 (Prot. 22571/91 CA), in cui il Supremo Tribunale annulla la decisione amministrativa di un vescovo confermata dalla Congregazione per il clero, che vietava ad un prete l’esercizio pubblico del sacerdozio ministeriale, in assenza di processo penale, imponendo un ritorno alla posizione precedente.

 

Data la pluralità delle congregazioni in questione, accade che il Supremo Tribunale sia sollecitato per la scelta della congregazione competente

Nella sentenza Prot. 32108/01 CA del 18 marzo 2006[75], la Segnatura Apostolica giudica che, la Congregazione per il clero non è competente per decidere se un Ordinario può togliere ad un sacerdote il diritto di predicare (c. 764), o di confessare (c. 974). In caso di ricorso, e competente la Congregazione per la dottrina della fede, soprattutto quando un sacerdote e coinvolto in un reato grave

 

  • Gli atti più gravi

 

In questi ultimi anni, al centro della cronaca ci sono i casi di pedofilia che coinvolgono i preti. La Conferenza dei vescovi di Francia (CEF) ha istituito una unità permanente per la lotta contro la pedofilia dotata di un sito internet destinato alle vittime [76]. Nel 2017, la CEF pubblica delle statistiche dichiarando che su 222 vittime, più del 60% delle testimonianze riguarda i fatti avvenuti prima del 1970, il 35 % riguarda i fatti avvenuti tra il 1970 ed il 2000 ed il 4% riguarda delle aggressioni commesse dopo gli anni 2000. Se si crede a queste cifre, nella Chiesa francese si è verificato un miglioramento sano, ed è lecito chiedersi se il diritto e la giustizia ecclesiastica ci sono per qualcosa.

All’inizio del periodo studiato, la legge in vigore risulta dal Codice del 1917 e dalle istruzioni del Santo Uffizio «Crimen sollicitationis» del 1922. Nel 1983, il canone 194 specifica che può essere revocato da ogni ufficio ecclesiastico. Il 25 giugno 1988, l’articolo 52 del Pastor bonus conferma la competenza della Congregazione per la dottrina della fede riguardo ai reati contro la fede o nella celebrazione dei sacramenti, e competenza riguardo ai «reati più gravi»:

Art. 52— Giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengono ad essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o ad infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio.

Tadig Fulup fornisce una stima del loro numero nel mondo:

Tra il 1975 ed il 1985, non è stato segnalato nessun caso di pedofilia a Roma, […] dal 2001 al 2010, su 3000 accuse di preti o di religiosi per reati commessi in questi ultimi cinquant’anni, il 60% riguarda un’attrazione per gli adolescenti dello stesso sesso (ebetofilia), il 30% un’attrazione eterosessuale, il 10% riguarda ragazzi in età prepuberale, pedofili in senso stretto, cioè 300 su 400 000 preti diocesani e religiosi nel mondo, ossia lo 0,075 %.[77]

Per i reati di pedofilia e per gli altri reati più gravi, l’articolo 52 del Pastor Bonus e l’articolo 8 delle norme sostanziali[78] stabiliscono la Congregazione per la dottrina della fede come Supremo Tribunale per i reati più gravi

  • 1. La Congregazione per la dottrina della fede è il Supremo Tribunale apostolico per la Chiesa latina nonchè per le Chiese orientali cattoliche in materia di giustizia dei reati di cui agli articoli precedenti

La Congregazione si comporta anche come un dicastero poichè l’articolo 21 delle norme sostanziali sopracitate prevede due procedure amministrative, una per decreto straordinario (art 21 §2 1°) e l’altra per presentazione al Santo Padre (art 21 §2 2°):

  • 1. I reati gravi riservati alla Congregazione per la dottrina della fede devono essere perseguiti per processo giudiziario.
  • 2. Tuttavia, la Congregazione per la dottrina della fede può legittimamente:

1° nei casi particolari, decidere d’ufficio o su istanza dell’Ordinario o della Gerarchia di procedere per decreto extragiudiziale di cui al canone 1720 del Codice di diritto canonico e al canone 1486 del Codice dei Canoni delle Chiese orientali, tenendo conto, tuttavia, che le pene espiatorie perpetue sono inflitte per mandato della Congregazione per la dottrina della fede;

2° deferire direttamente i casi più gravi alla decisione del Sommo Pontefice, per la revoca dello stato clericale o la deposizione con dispensa dalla legge del celibato, quando il reato è chiaramente riconosciuto e dopo aver concesso al colpevole la possibilità di difendersi[79].

Contrariamente alle sue decisioni giudiziarie, le decisioni della Congregazione prese in conformità all’articolo 21 §2 1° sono suscettibili di ricorso di contenzioso amministrativo, il che è necessario per proteggere le persone accusate.  Il 2 dicembre 2010, Mons. Arieta, attira l’attenzione della Congregazione per la dottrina della fede sui rischi di debordamento delle procedure amministrative a scapito del diritto di difesa delle persone incriminate o semplicemente sospette:

Sforzarsi di semplificare ulteriormente la procedura giudiziaria per infliggere o dichiarare delle sanzioni così gravi come le dimissioni dallo stato clericale, o anche, modificare la norma attuale del canone 1342 § 2, che vieta in questi casi di procedere per decreto amministrativo extragiudiziale (cf. can. 1720), non sembra affatto auspicabile. Infatti, da un lato, il diritto fondamentale di difesa sarebbe messo in pericolo – in cause che riguardano lo stato della persona -, mentre, dall’altro lato sarebbe favorita la tendenza dannosa correlata alla poca conoscenza o stima del diritto – al cosiddetto governo «pastorale» equivoco, che in fondo non ha nulla di pastorale, poichè porta a tracurare il necessario esercizio dell’autorità a scapito del bene comune dei fedeli[80].

Conviene innanzitutto proteggere le potenziali vittime da recidive da parte dei preti pedofili. Tra l’altro è anche importante proteggere le finanze delle diocesi, che possono essere chiamate a risarcire i danni[81]. In questa doppia prospettiva, molti vescovi chiedono che i preti che hanno scontato pene per reati di pedofilia, non debbano più essere ammessi all’esercizio del ministero sacerdotale, anche se non hanno fatto richiesta di dispensa. Di conseguenza, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti rende meno rigida la procedura di dispensa in casi simili[82].

 

Inoltre, la Congregazione per la dottrina della fede, interviene in diversi ricorsi relativi alla situazione finanziaria dei preti condannati, o alla ripresa del ministero sacerdotale da parte dei preti condannati molto tempo prima per reato di pedofilia.

Così, nel 2003, la CDF autorizza un vescovo ad acconsentire a questo ritorno «a condizione che non rappresenti un rischio per i minori e non crei uno scandalo tra i fedeli» [83].

 

Con il pretesto di proteggere le vittime, ed a volte le finanze della Chiesa, ci sono situazioni in cui il diritto di difesa dei preti accusati è svantaggiato.

Ci sono casi di preti che, secondo loro, sono stati dimessi dallo stato clericale contro la loro volontà, senza aver avuto la possibilità di esprimere il loro parere e senza nemmeno sapere che era stata avviata una procedura contro di loro[84].

Tali situazioni non sono limitate all’America.

Anche se si dichiarava non colpevole in una diocesi civile, un prete è condannato per pedofilia nel 2005 dalla giustizia francese, e sconta la pena prevista dalla legge civile. Alla sua uscita di prigione, il vescovo invia alla congregazione per la dottrina della fede un parere favorevole per la prosecuzione del suo ministero, che fa in un’altra diocesi, non senza un accompagnamento ecclesiastico creato per prudenza. Tutto procede bene fino a novembre 2009, quando il vescovo gli invia una lettera della Congregazione per la dottrina della fede[85], chiedendogli circa il suo possibile desiderio di abbandonare il sacerdozio. L’8 dicembre 2009, risponde che secondo lui, non c’è nessuna ragione che giustifica le sue dimissioni dallo stato clericale. Il 18 dicembre, scrive al papa per chiedergli di vivere fino alla fine, con uno spirito di riparazione e con la gioia di essere sacerdote. Qualche tempo dopo, il vescovo gli notifica la decisione presa alcune settimane prima da Papa Benedetto XVI di togliergli lo stato clericale e di liberarlo da tutti gli obblighi ad esso connessi, di cui il celibato [86]. Allora presenta un ricorso al prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, lamentandosi di non essere stato ascoltato, né di sapere di cosa era stato accusato, di non aver avuto la possibilità di difendersi, e riceve una breve risposta dal prefetto fondata sul canone 1404 [87]: «Questo non è di nostra competenza!». L’indomani, lascia la diocesi[88] e, molto tempo dopo, si sposa, anche se questo non era quello che voleva.

Questo caso non è isolato, ma frequente secondo le intenzioni del vescovo di Nizza riportate da Tadig[89] Fulup:

Ogni venerdì mattina, la CDF faceva firmare al Papa una serie di decreti che riportavano sacerdoti allo stato laico[90].

Tuttavia diverse pubblicazioni lasciano pensare che questo modo di operare non è soddisfacente:

  • nel 1983, il canone 1342 §2 specifica che non è possibile imporre una condanna a vita senza un processo penale;
  • nel 1988, Rev. Bertram F. Griffin, J.C.D. solleva la difficoltà di applicare il c. 1395 ai preti pedofili a causa della clausola d’imputabilità che richiede l’intervento di esperti, ma conclude sulla possibilità di farlo se si è pronunciato un processo civile.

Nel 1991, Thomas J. Green, JCD ritiene che i canoni sulle dimissioni dallo stato clericale hanno lo scopo di difendere il popolo di Dio contro gli atteggiamenti offensivi di alcuni preti mentre Gregory Ingels, J.C.D. insiste sul fatto che queste dimissioni non possono essere imposte con un decreto amministrativo ma: 1° con una dispensa concessa dal Santo Padre su richiesta del prete in questione, , 2° con una pena espiatoria pronunciata in base al c. 1336 §1 5°, e 3° con la riconoscenza della nullità dell’ordinazione in base ai canoni 1708-1712. In conclusione ci si potrebbe chiedere se non si stia passando da un periodo di incuria e di segretezza ad un periodo di precauzione, dove si punisce senza necessariamente garantire che i diritti di difesa dei preti siano stati rispettati. Fortunatamente ci sono casi in cui il ricorso di contenzioso amministrativo, associato ad altre procedure, permette di ristabilire i diritti di un prete condannato ingiustamente.

Un sacerdote della diocesi di Calgary ha presentato due ricorsi al Supremo Tribunale, di cui un ricorso di contenzioso amministrativo classico ed un ricorso contro una decisione penale della Rota. Ecco alcuni punti di riferimento su questa epopea giuridica:

  • il 2 maggio 1889, il tribunale penale secolare di Calgary condanna un prete al carcere per presunto abuso contro una ragazza. E’ condannato in prima istanza e fa appello contro la decisione.
  • Poco dopo, il nuovo arcivescovo di Calgary priva il prete dei ministeri di predicazione, nonchè della celebrazione pubblica della messa, e gli ordina di allontanarsi dalla diocesi e di cessare ogni contatto con un gruppo di persone. Il prete accusato presenta un ricorso grazioso poi gerarchico contro quest’atto amministrativo particolare.
  • l’8 novembre 1989, la Congregazione per il clero rigetta il ricorso, poichè l’arcivescovo dichiara di avere intenzione di avviare un processo penale. Il prete presenta allora un ricorso di contenzioso amministrativo al Supremo Tribunale.
  • Il 30 gennaio 1991, il Tribunale civile di appello assolve il sacerdote «per inesistenza dei fatti».
  • Il 27 aprile 1990, l’arcivescovo avvia il processo penale per vari reati, di cui un peccato contro il sesto comandamento e disobbedienza al vescovo.
  • Il 30 gennaio 1991, il giudice canonico penale ritiene che le prove non si possono collegare all’esistenza di reati di cui è accusato padre A. Il promotore di giustizia fa ricorso alla Rota contro questa sentenza.
  • Il 14 novembre 1992, il Congresso del Supremo Tribunale dichiara la nullità dell’atto della Congregazione per il clero del 8 novembre 1989, sostenendo che essa ha violato la legge poichè non era competente per trattare un ricorso gerarchico, a causa del processo penale in corso di progettazione
  • Il 29 marzo 1994, la Rota ritiene, senza ulteriori indagini, che il giudizio penale del 30 gennaio deve essere riformato parzialmente, ma devono rimanere le sanzioni interdittive di permanenza nel territorio della diocesi, di insegnare, di predicare e di celebrare pubblicamente la messa. Il prete presenta poi un ricorso contro questa decisione.
  • Il 21 febbraio 1996, il Collegio conferma la decisione del Congresso del Supremo Tribunale ritenendo che la Rota è competente e che il diritto di difesa è stato rispettato.
  • L’appello in seguito è continuato alla Rota davanti ad un consulto coram Burke poi coram Pinto, che, il 21 febbraio 1997 concorda sul dubbio con la seguente formula: «la sentenza della Rota del 29 marzo deve essere confermata o infirmata?» Viene allora istituita una commissione rogatoria da Mons. Caberletti
  • Infine, la Rota dichiara: «le prove non segnalano l’esistenza di reati di cui è accusato Padre A. Di conseguenza è completamente assolto. L’Arcivescovo di Cagliari è pertanto invitato ad utilizzare i mezzi adeguati per ridare a Padre A. le sue precedenti funzioni e la sua buona reputazione.

 

  • Le altre controversie riguardanti i chierici

 

Ci sono molti altri casi di controversie amministrative riguardanti i sacerdoti.

In Francia, un caso frequente riguarda il diritto alla pensione dei sacerdoti che hanno lasciato il loro ministero sacerdotale volontariamente o non. In Francia, l’associazione per una pensione adeguata (APRC) attiva dal 1979 affinchè gli assicurati del regime di culti beneficino di una protezione sociale degna di questo nome, considera che nel 2017 ci sia ancora una lunga strada da percorrere.

Oltre al caso dei dipendenti delle associazioni cattoliche, menzionato nel capitolo introduttivo, possiamo citare il caso di cappellani ospedalieri o militari, nonché dei dipendenti della curia diocesana a volte rifiutati.

Un militare che è stato promosso vice cancelliere di un ordinariato militare viene rimosso dal suo incarico all’arrivo di un nuovo cancelliere. La Congregazione per il clero rifiuta il suo ricorso gerarchico ed il Supremo Tribunale rigetta il suo ricorso di contenzioso per mancanza di fondamento perché l’arrivo di un nuovo cancelliere è una ragione giudicata sufficiente in virtù del c. 485; la causa di espulsione non è considerata diffamatoria e la sussistenza della vittima non è in discussione poiché il suo stipendio continua ad essere pagato dall’esercito[91].

Un altro tipo di caso da segnalare è quando i sacerdoti rilevano una violazione della legge da parte del loro superiore. Infatti, a causa della loro posizione, i sacerdoti spesso sono i primi ad essere informati degli scandali interni alla Chiesa. E’ quindi importante che la giustizia li protegga per non farli tacere, per paura di entrare in conflitto con il superiore da cui dipendono, ma abbiano il coraggio di denunciare l’ingiustizia in un ambito adeguato, affinchè lo scandalo non faccia allontanare i fedeli, e l’immagine della Chiesa non sia offuscata da questioni portate in pubblica piazza o davanti alla giustizia secolare.

A volte, però, Dio consente processi pubblici, come nel caso di San Paolo a Gerusalemme e Roma (Atti 23:21), e più recentemente con Don Lorenzo Milani (1923-1967):

Don Lorenzo Milani, fondatore della Scuola di Barbiana presso Firenze, sperimenta un metodo di istruzione per i più poveri, basato sull’amore dei giovani e l’obiezione di coscienza al sistema di sfruttamento dei poveri dai ricchi. I suoi detrattori lo accusano di deriva comunista, di pedofilia e di apologia della violenza. Muore il 26 giugno 1967, tra la sentenza di primo grado che lo assolve e la sentenza di ricorso che pronuncia la fine della controversia per morte dell’accusato. Il 20 giugno 2017 Papa Francesco va alla sua tomba, riconoscendo la sua innocenza e lodando il suo amore per la Chiesa, «con la franchezza e la verità, che possono anche creare tensioni, ma mai fratture, né abbandoni».

Tali conflitti sono inevitabili ma, come ricorda la Bibbia, , «guai all’uomo per cui lo scandalo avviene!» (Matteo 18-7).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] www.eglise.catholique.fr/vatican/statistiques-de-leglise-dans-le-monde/ consultato il 15 ottobre 2016.

[2] In Francia nel 2015, si contano circa 10 000 sacerdoti con meno di 75 anni di cui quasi 2000 provengono dall’estero.

[3] Informazione pubblicata

[4] Huysmans (R.G.W.) «De positie van de clerus in de nieuwe Codex» in R. Torfs (ed); Het nieuwe kerkelijk recht. Analyse van de Codex Iuris Canonici 1983, Louvain, Peeters, 1985, 206-208.

[5] Torfs (Rik), Rights and legitimate expectations of clercics, Corso tenutosi alla facoltà di diritto canonico di Louvain e di Strasburgo, 2014 .

[6] Rozé (Etienne) Structure diocesaines, parroisses et médiation – réflexions à partir de la situation du diocèse catholique de Nancy et Toul, tesi del diploma universitario di mediatore, Institut Catholique de Paris, IFOMENE, promozione 2014-2015.

[7] Provost (James H.), “Recent experiences of administrative recourse to the Apostolic See”, in The Jurist, 46 (1986), p. 142-163.

[8] Landau (Michael), Amtsenthebung und Verzetzung von Pfarrern. Eine Untersuchung des geltenden Rechts unter besonderer Berücksichtigung des Rechtsprechung der Zweiten Sektion des Höchsten Gerichts der Apostolischen Signatur, Frankfurt, Peter Lang, 1999, 416 p.

[9] Gandhi stesso diceva che, se occorresse assolutamente fare una scelta tra la violenza e la codardia, consiglierebbe la violenza.

[10] Es.; L’Unione del Clero Beninese (UCB) o l’Unione fraterna del Clero Ivoriano (UFRACI).

[11] Es.: l’Unione regionale dei Sacerdoti dell’Africa dell’Ovest – URPAO

[12] Abbiamo sentito parlare di un sacerdote del Benin, che stava portando avanti i suoi studi in Europa senza il consenso del suo vescovo. Dopo le ammonizioni canoniche previste, il vescovo lo avrebbe sospeso ed il sacerdote avrebbe presentato un ricorso gerarchico contro questa decisione ed avrebbe scritto un libro, che non abbiamo ritrovato, per condividere la sua testimonianza.

[13] La Congregazione  inoltre precisa che ha svolto un lavoro di vigilanza sulla corretta amministrazione dei beni ecclesistici e istruito alcune richieste di riabilitazione al ministero di sacerdote e diacono permanente, nonchè 708 richieste di dispensa da obblighi provenienti dall’ordinazione sacerdotale, di cui 304 provenienti da sacerdoti, 69 provenienti da diaconi diocesani, ossia circa il 60%, e 208 provenienti da sacerdoti e 27 provenienti da diaconi membri di istituti di vita consacrata e di società di vita apostolica, ossia circa il 40%.

[14] Provost (James H.), “Recent experiences of administrative recourse to the Apostolic See”, in The Jurist, 46 (1986), p. 142-163.

[15] Tra le 710 cause recensite al 15 settembre 2016, ne è stata individuata solo una, il cui ricorrente è identificato con una sola causa proveniente da un diacono, vale a dire la causa  Prot. 48485/14 CA, segnalata nella relazione di attività della Santa Sede per l’anno 2014. Sappiamo solo che è stata esaminata dal Congresso il 29 ottobre 2014 a seguito di una precedente questione con riferimento 48421/13 VAR il cui oggetto di discussione era «Praecepti regrediendi in diocesim».

[16] Tra le 714 cause recensite al 15 ottobre 2016, il cui il ricorrente è identificato, 43 provengono da vescovi. Vertono su diversi argomenti come riduzione di chiese ad uso profano, esercizio del ministero sacerdotale, questioni di proprietà, revoca di un ufficio, trasferimento di curati e di superiori generali ecc.

[17] Tratteremo questi casi relativi ai ricorsi per religiosi.

[18] Australia, Canada, Gambia, Libéria, Sierra Leone, Irlanda, Filippine, USA per sei anni o l’India e la Nigeria per un periodo determinato lasciato alla libera discrezione dei vescovi. Secondo Thomas Paprocki in  New commentary on the Code of Canon Law, Beal, Coriden, Green, CSLA, p. 1845/ 1852.

[19] Decreto generale del 13 giugno 1984, nel Bollettino ufficiale della Conferenza episcopale, 29, 1984, p. 444.

[20] Il licenziamento e il trasferimento possono essere accompagnati da censure e pene espiatorie (c.1331-1338 ). Inoltre, il licenziamento avviene di pieno diritto per le cause enumerate al c. 194.

[21] Can. 1740 — Quando il ministero di un parroco per qualche causa, anche senza una sua colpa grave, risulti dannoso o almeno inefficace, quel parroco può essere rimosso dalla parrocchia da parte del vescovo diocesano.

[22] Can. 193 — § 1. Non si può essere rimossi dall’ufficio che viene conferito a tempo indeterminato, se non per cause gravi e osservato il modo di procedere definito dal diritto. § 2 . Lo stesso vale perché dall’ufficio, che a qualcuno è conferito a tempo determinato, uno possa essere rimosso prima dello scadere di questo tempo, fermo restando la disposizione del c. 624, § 3.

[23] Can. 1741 — Le cause, per le quali il parroco può essere legittimamente rimosso dalla sua parrocchia, sono principalmente queste:

1) il modo di agire che arreca grave danno o turbamento alla comunione ecclesiale;

2) l’inettitudine o l’infermità permanente della mente o del corpo, che rendono il parroco impari ad assolvere convenientemente i suoi compiti;

3) la perdita della buona considerazione da parte di parrocchiani onesti e seri o l’avversione contro il parroco, che si prevede non cesseranno in breve;

4) grave negligenza o violazione dei doveri parrocchiali, che persiste dopo l’ammonizione;

5) cattiva amministrazione delle cose temporali con grave danno della Chiesa, ogniqualvolta a questo male non si può porre altro rimedio.

[24] Vésin (Pascal) Être frère, rester père. Prêtre ou franc-maçon: pourquoi choisir ? Paris 2014, presses de la renaissance.

[25] E’ una consultazione alla quale il prete in questione non è necessariamente invitato. Non si tratta,  quindi, di una mediazione.

[26] C. 1747 §3: finchè il decreto di licenziamento è in corso, il vescovo non può nominare un nuovo parroco, ma nel frattempo provvederà all’incarico di un amministratore parrocchiale. .

[27] Provost (James H.), “Recent experiences of administrative recourse to the Apostolic See”, in The Jurist, 46 (1986), p. 142-163.

[28] Can. 1742 §1. Il vescovo ne discuterà con due sacerdoti scelti nel gruppo previsto a tale scopo in maniera stabile dal consiglio presbiterale su proposta del vescovo.

[29] Hervada (Javier), Pensamientos de un canonista en la hora presente, Navarra Gráfica Ediciones, Pamplona, 2004. p. 129.

[30] Letourneau (Mgr. Dominique c.s.), «Quelle protection pour les droits fondamentaux et les devoirs des fidèles dans l’Église?», Studia canonica, 28 (1994), p. 59-83.

[31] Can. 1748 —Se il bene delle anime oppure la necessità o l’utilità della Chiesa richiedono che un parroco sia trasferito dalla sua parrocchia, che egli regge utilmente, ad un’altra o ad un altro ufficio, il vescovo gli proponga il trasferimento per iscritto e lo convinca ad accettare per amore di Dio e delle anime.

[32] Recursadversus amotionem a paroecia effectum habet suspensivum quoad nominationem novi parochi in declaratio Prot 193 periodica 60 (1971) n° 2, p. 348. Vedere anche Prot 193/70; Prot 3211/72.

[33] ASS (1981) p. 1139.

[34] Grocholewski (Zenon), «L’autorità amministrativa come ricorrente alla ectionaltera della Segnatura Apostolica», Appolinaris 55 [1982) 752-779.

[35] Lumen Gentium 21.

[36]  Bourdin (Anita),  Rome, 1 agosto 2013 (Zenit.org)

[37] Hiebel (Giovanni-Luc), «L’affaire Gaillot, les médias et le droit» in RDC 45, 1995, p. 101-118.

[38] Revue du droit canonique (RDC), tome 45/1, Strasbourg 1995, p 74-162.

[39] Antica diocesi di Algeria, scomparsa sotto la sabbia alla fine del V secolo

[40] Mesner (Francis) et Werkmeister (Giovanni), les aspects canoniques de l’affaire Gaillot, in RDC 45, 1995, p. 75-82.

[41] Torfs (Rik), «L’affaire Gaillot et la liberté d’expression» in RDC 45, 1995, p. 83-94.

[42] Devillé (Rik), De laaste dictatuur. Pleidooi voor een parochie zonder paus, Louvain, Kritak, 1992, 224 p.; «La dernière dictature. Plaidoyer pour des paroisses sans papa», Anvers, Coda, 1992, 221 p.

[43] Cf. Chapitre 8: ricorso relativo alla Congregazione per la dottrina della fede

[44] Reyes Vizcaino (Pedro Maria) «la excardinacion e incardinacion del clérigo» Ius canonicum, on line consultata il 15 dicembre 2016. Ciongo Kasangana (Augustin), «L’incardination des clercs, histoire et canonicité» tesi di master sostenuta all’Istituto cattolico di Parigi l’8 settembre 2016.

[45] Can. 267 — §1. Perché un chierico già incardinato sia incardinato validamente in un’altra Chiesa particolare, deve ottenere dal vescovo diocesano una lettera di escardinazione sottoscritta dal medesimo; allo stesso modo deve ottenere dal vescovo diocesano della Chiesa particolare nella quale desidera essere incardinato una lettera di incardinazione sottoscritta dal medesimo.

[46] Prot 9375/77 CA, comunicationes 10 (1978) 152-158.

[47] Richiesta di mediazione proposta a « Canonisti senza frontiere » il 26 luglio 2016

[48] Prot. 9375/77 CA; Prot. 22865/91 CA; causa citata nel ASS (1991) p. 1303; Prot. 27338/96 CA;

Prot. 41703/08 CA; Prot. 47893/14 CA; Prot. 48640/13 CA).

[49] Prot. 9375/77 CA Labanderia (Edouardo), IC 21/41 (1981) 393-417; Communicationes 10 (1978) 152-158

[50] Can. 145 — L’ufficio ecclesiastico è qualunque incarico, costituito stabilmente per disposizione sia divina sia ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spirituale.

[51] La perdita di un ufficio può dipendere in particolare dalla fine del tempo previsto per la nomina a tale ufficio, dal limite di età del titolare, dalla libera rinuncia, dal trasferimento ad un altro ufficio (c. 190-191) o per licenziamento (c.192-195).

[52] Prot. 34180/02 CA contro un rifiuto di ammissione agli ordini sacri

[53] Prot 9375/77 CA.

[54] Riposte catholique, 29 agosto 2017.

[55] Prot. 1063/69 CA citato da D’Ostilio (Frederico), Dizionario degli Instituti di perfezione, V8, p 1247); Prot 2207/71 CA ou 36823/05 CA

[56] Prot 38098/06 CA

[57] Prot 10977/79 CA ou 15573/83 CA.

[58] Prot. 185/70 CA, relativo ad un ufficio di decano in ME (1973) 1-4, p. 303; Prot 6023/74 CA;

[59] Can. 223 — §  2. En considération du bien commun, il revient à l’autorité ecclésiastique de régler l’exercice des droits propres aux fidèles. Ce canon fait l’objet d’une abondante jurisprudence.

[60] Conseil Pontifical pour les textes législatifs, «Note explicative. Eclaircissements pour l’application du canon 223 §2», 8 décembre 2010, Communicationes, 42 [2010], 280-281.

[61] Prot. 48563/13 CA, in Monitor eccelsiasticus, CXXXI (2016), p 21-26

[62] Begus (Cristian), Commento / Note – Decretum , 48563/2013 CA. Monitor ecclesiasticus, CXXXI (2016), p. 27-36.

[63] Prot 23737/92 CA, note de Mgr Joseph Punderson, Ministerium iustitiae, op. cit. p. 383-387.

[64] Tipo di patto civile di solidarietà (Pacs) olandese, utilizzato per esempio tra persone dello stesso sesso o tra fratello e sorella che gestiscono insieme una fattoria.

[65] La situazione è differente da quella di Mons. Vernette, in Francia, che non ha concluso un PACS ma un matrimonio civile, celebrato a Tolosa il 24 luglio 2002 con la signora Liliane Josette Moncelon.

[66] La legge olandese prevede due casi di annullamento, vale a dire il consenso reciproco, che la donna ha rifiutato in questo caso, e la rottura irrimediabile del rapporto che Mons. Huysmans si rifiuta di sostenere, poichè crede che non sia il caso e che non abbia il diritto di mentire.

[67] Can. 290: L’ordinazione sacra, una volta validamente ricevuta, non è mai annullata. « Un chierico perde lo stato clericale 1° con sentenza giudiziaria o decreto amministrativo che dichiara la nullità dell’ordinazione sacra; 2° con la pena di licenziamento legalmente imposto; 3° con un rescritto della Sede Apostolica; ma questo rescritto è concesso dalla Sede Apostolica ai diaconi per gravi motivi ed ai preti per motivi molto gravi »

[68] Can. 293: Il clero che ha perduto lo stato clericale non può essere di nuovo iscritto tra i chierici, se non con un rescritto della Sede Apostolica.

[69] Attività della Santa Sede 2015, Libreria editrice vaticana, p. 725.

[70] Can. 290, 1°, De regulis servandis ad nullitatem ordinationis declarandam, 16 octobre 2001, in Notitiae, 2002, vol . XXXVIII, pp. 15-26; AAS [XCIV, 2002, Vol. 1, pp. 292-300.

[71] Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti: «Lettera circolare agli ordinari diocesani ed ai superiori generali degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica» in La documentation catholique, 94, 1997, p. 824-825.

[72] Cf Pastor Bonus, art 85-92.

[73] Durante l’Assemblea plenaria di febbraio 1997, la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli ha chiesto al Santo Padre facoltà speciali per consentirle di intervenire, per via amministrativa, in situazioni penali specifiche, e questo, in margine  alle disposizioni generali del Codice. Queste «facoltà» sono state aggiornate e ampliate nel 2008, ed altre, di natura simile, sono state concesse successivamente alla Congregazione per il clero. www.vatican.va/resources/resources_arrieta-20101202_fr.html

[74] Mendonça (R.P. Augustine), The Bishop as the Mirror of Justice and Equity in his Particular Church: Some Practical reflexions on Episcopal Ministry, intervento presentato a Halifax alla conferenza annuale (21-24 ottobre 2002) della Canadian Canon Law Society.

[75]Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Coram Cacciavillan, Exercizio del mistero sacerdotale (Ecc.mo Vescovo diocesano Cogregazione per il clero), Prot. n° 320108/01 CA du 18 mars 2006, in Ius Ecclesiae, XXIII, 2011 n° 3, p. 651-668;

[76] http://luttercontrelapedophilie.catholique.fr/

[77] Fulup (Tadig), Tout est bien, Nantes 2014, ed. Les sentiers du livre, p. 157-158.

[78] Congregazione per la dottrina della fede: Nuove norme sui reati più gravi, articolo 8, 15 luglio 2010, www.vatican.va/resources/resources_norme_fr.html

[79] Ibidem.

[80] Arieta (Mgr Juan Ignacio), Le cardinal Ratzinger et la révision du système pénal canonique: un rôle déterminant, www.vatican.va/resources/resources_arrieta-20101202_fr.html

[81] Negli Stati Uniti, un giudice federale ha approvato, lunedì 9 novembre 2015, un piano di fallimento per la diocesi di Milwaukee, che gli consentiva d’indennizzare molte centinaia di vittime di abusi sessuli da parte di membri del clero. Nel mese di dicembre 2015, la diocesi cattolica di Duluth (Minnesota) è fallita per poter risarcire le vittime di abusi sessuali. E’ la quindicesima diocesi americana in questa situazione. http://www.la-croix.com/Urbi-et-Orbi/Monde/Etats-Unis-un-nouveau-diocese-en-faillite-a-cause-des-abus-sexuels-2015-12-09-1390748

[82] Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, lettera circolare del 6 giugno 1997, in Origins 27, (1997-1998), 169-172.

[83] Morrisey (Rev. Francis G.), « Penal Law in the Chirch today: Recent Jurisprudence and Instructions » in Advocacy Vademecum, edito da Patricia M. Dugan ed. Wilson & Lafleur, Collection Gratianus, Montréal 2006, p. 49-66.

[84] Morrisey (Rev. Francis G.), «Penal Law in the Church today: Recent Jurisprudence and Instructions» in Advocacy Vademecum, edito da Patricia M. Dugan ed. Wilson & Lafleur, Collection Gratianus, Montréal 2006, p. 59, tradotto dall’inglese.

[85] CDC Prot 458/03-30624.

[86] CDC Prot n° 458/2003.

[87] Can. 1404 — La Prima Sede non è giudicata da nessuno.

[88] Fulup (Tadig), Tout est bien, Nantes 2014, ed. Les sentiers du livre, p. 7, 164-167;

[89] En breton, Tadig veut dire papa.

[90] Fulup (Tadig), Tout est bien, Nantes 2014, ed. Les sentiers du livre, p. 166.

[91] Prot. 48091/13 CA, in Monitor eccelsiasticus, CXXXI (2016), p 37-39.

La giustizia per i laici

Ecco un estratto del libro sul « La giustizia amministrativa nella chiesa cattolica » (imprimatur del testo francese ricevuto il 11 ottobre 2017)

Capitolo 4: La giustizia per i laici

 

Alla fine dell’anno 2014, il numero dei cattolici nel mondo era di 1,27 miliardi[1]. Riguardo ad essi, la Costituzione dogmatica della Chiesa ha ricordato il principio di obbedienza che scuote tanti nostri contemporanei del mondo occidentale alla libertà individuale esasperata che ha l’abitudine di contrapporre libertà individuale e autorità[2].

I laici, come tutti i fedeli, devono abbracciare, con prontezza di obbedienza cristiana, ciò che i sacri pastori, rappresentanti del Cristo, decidono a nome del loro magistero e della loro autorità nella Chiesa[3].

Tuttavia, il cardinale Kasper sostiene che il Concilio abbia capovolto la situazione, cessando di considerare i laici  «come  degli incaricati e come il braccio allungato del clero [4]», nella misura in cui detengono la loro missione del Cristo stesso, in virtù del battesimo e non di un mandato del clero[5]. Alcuni vescovi in gran parte fanno appello ai laici, come quello di Dallas[6]:

Io li consultavo su tutte le decisioni pastorali che affrontavo (…) Volevo che i sacerdoti fossero quello che si suppone avrebbero dovuto essere: sacramentali e insegnanti della fede. E lasciare l’amministrazione  a persone che fossero più competenti di loro, i laici[7].

Nel 1983, il codice ha introdotto un nuovo capitolo sui diritti e doveri dei fedeli in generale e dei laici in particolare. I canoni da 208 a 231 costituiscono una novità innegabile rispetto al codice del 1917, e sembrano essere stati relativamente accolti sia dalla gerarchia che dai fedeli. Tuttavia, l’accettazione di queste disposizioni non è priva di tensioni, come testimonia il cardinale Kasper:

Sono preoccupato soprattutto per […] la crescente distanza tra la visione gerarchica «in alto» e delle parti della Chiesa  «in basso» e che, per una parte, è già quasi uno scisma di fatto[8] […] La consapevolezza dei laici fa parte dei risultati soddisfacenti del Concilio; ma è diventata dopo il Concilio anche fonte di molti equivoci e di nuove controversie.[9]

Una testimonianza raccolta a Dakar[10] dimostra che la maggior parte dei fedeli cattolici, compresi quelli meglio formati, non conosce l’esistenza di una giustizia amministrativa nella Chiesa. In caso di conflitto, molti pensano che se si rivolgono alla gerarchia ecclesistica piuttosto che ai tribunali civili, rischiano di essere danneggiati poichè non ci sarà nessuno a difendere il loro punto di vista.

Per apprezzare il ruolo della giustizia amministrativa della Chiesa riguardo ai laici, abbiamo estratto dal nostro database 742 ricorsi di cui era specificata la natura del richiedente e, fra essi, 153 ricorsi di contenzioso derivanti da laici[11],  ossia il 27%. Abbiamo aggiunto 27 ricorsi sui decreti del Pontificio consiglio per i laici[12]. Ne è risultato un campione di 180 ricorsi registrati dal Supremo Tribunale riguardante i laici, che analizziamo brevemente nel presente capitolo, senza la pretesa di scrivere un trattato del diritto e della giurisprudenza, che richiederebbe un migliaio di pagine.

Contrariamente a quanto ci si può aspettare, non è il Pontificio consiglio per i laici le cui decisioni sono le più contestate dai laici, ma la Congregazione per il clero[13].

Ecco le principali questioni controverse riguardanti i laici[14], che sono oggetto di ricorso di contenzioso amministrativo.

Raggruppando dimissioni e trasferimenti in una rubrica relativa ai decreti specifici per i laici, compaiono quattro grandi aree che portano al piano seguente:

  1. I raggruppamenti e soppressioni di parrocchie;
  2. La riduzione delle chiese ad uso profano non indecoroso;
  3. I decreti specifici relativi ai laici;
  4. Le associazioni dei fedeli;
  5. Gli altri casi.
    1. Il rimodellamento delle parrocchie

 

L’urbanizzazione, la mobilità e la secolarizzazione della società impongono alla Chiesa la necessità di adattarsi, non guardando il passato, ma cercando nuove soluzioni sinodali, tra cui la ristrutturazione delle parrocchie. La legge applicabile al rimodellamento delle parrocchie è descritta principalmente nei canoni 515-520 «sull’organizzazione interna delle Chiese  particolari».

Nella sua tesi[15], Elisabeth Abbal afferma che tra il 1980 ed il 2015, tutte le diocesi della Francia hanno rimodellato le loro parrocchie, creando, raggruppando o abolendo parrocchie e raggruppamenti parrocchiali. La situazione è molto diversa da una diocesi all’altra. Così a Poitiers, molte parrocchie sono state raggruppate insieme. A Strasburgo nessuna delle 567 parrocchie è stata soppressa, ma sono state create comunità di parrocchie, permettendo al parroco di essere contemporaneamente responsabile di diverse parrocchie. ATulles non c’è stata ordinazione di giovani sacerdoti per 20 anni, per cui le parrocchie sono state raggruppate in 22 gruppi parrocchiali per adattarle in passato al numero di curati in grado di esercitare un incarico curiale, e in futuro, al dinamismo delle squadre pastorali e missionarie di animazione, sostenute dalle confraternite locali presbiterali.

Da un sondaggio di 53 fedeli cattolici praticanti[16], Louisa Plouchart ha constatato che il 66% dei parrocchiani non sono preoccupati dei rimodellamenti, e prendono parte alla vita della nuova parrocchia. Si può anche dedurre che un terzo dei parrocchiani sono ugualmente un pò preoccupati. Nella misura in cui i fedeli sono legati alla loro parrocchia, scaturiscono delle tensioni, che a volte si traducono in ricorsi gerarchici e di contenzioso.

Oltre ai canoni 50, 51, 120 à 123, 127 e 166, la legge applicabile ai raggruppamenti di parrocchie deriva principalmente dal canone 515 § 2:

Can. 515 — § 2. Spetta unicamente al Vescovo diocesano erigere, sopprimere o modificare le parrocchie; egli non le eriga, non le sopprima e non le modifichi in modo rilevante senza aver sentito il consiglio presbiterale.

 

Quando una parrocchia è modificata, possono esserci vari ricorsi, di un curato (Cf. Prot. 43915/10 CA) ma anche dei laici che frequentano la parrocchia. Di solito sono inviati alla Congregazione per il clero, che riscontra «varie difficoltà negli ultimi anni». Grazie alla giurisprudenza che ne deriva, la Congregazione pubblica il 30 aprile 2013, una serie di raccomandazioni ai vescovi per la modifica delle parrocchie e la chiusura delle chiese parrocchiali, di cui di seguito alcuni passaggi:

E’ necessario distinguere chiaramente le tre procedure canoniche: 1) di modifica delle parrocchie 2) di riduzione di chiese ad uso profano 3) di alienazione degli edifici. […] Ogni procedura ha le proprie regole che devono essere rispettate correttamente e attentamente.

Non vi è alcuna procedura per chiudere temporaneamente una chiesa, per esempio per riparazioni. Vale lo stesso per limitarne  l’uso, ad esempio abolendo la messa della domenica, nella misura in cui la chiesa resta aperta ai fedeli.

Per sapere se esiste una giusta causa per modificare una parrocchia (c.515§2), ogni caso deve essere trattato separatamente ed il decreto deve essere motivato.

Ogni tipo di decisione (modifica di parrocchia, riduzione di una chiesa ad uso profano, destinazione dei beni), deve essere oggetto di un decreto scritto separato, adeguatamente comunicato al momento della sua adozione[17].

A volte la decisione della Congregazione per il clero rigetta il ricorso, considerando che il vescovo non ha violato la legge, nè nel merito,  nè nella procedura[18] ed i richiedenti depositano a volte ricorsi di contenzioso amministrativo, che sono rigettati in limine; non ammessi alla discussione, o ammessi alla discussione e poi accettati o rigettati.

Il 20 giugno 1992, il Collegio esamina il ricorso di due parrocchiani, considerando che sono nella legalità per depositarli, poichè il decreto della Congregazione del clero non rispetta i canoni 515-2 e 1222-2, e alla fine, decide che il vescovo dove restituire alla chiesa parrocchiale il suo statuto precedente[19].

 

Tra le controversie trattate dalla Segnatura Apostolica, alcune riguardano le parrocchie affidate a religiosi, il cui profilo è modificato dal vescovo senza previo accordo con i religiosi interessati. La Congregazione per il clero segnala anche difficoltà a proposito della proprietà dei beni delle parrocchie o delle diocesi modificate.

Le diocesi di Barbastro-Monzon[20] e di Lerida[21] sono state in contrasto tra loro riguardo alla proprietà del patrimonio ecclesiastico della Frangia d’Aragona in un contesto caratterizzato da tensioni nazionaliste tra Catalani ed Aragonesi, a seguito delle modifiche dei confini tra le diocesi[22]. Diversi libri[23] e siti web[24] descrivono l’epopea giuridica civile e canonica che ne deriva[25].

Tuttavia, il maggior numero di ricorsi riguarda la sorte delle chiese nelle parrocchie soppresse, che portano ad approfondire la questione della riduzione delle chiese ad uso profano non indecoroso.

 

  1. La riduzione delle chiese ad uso profano

 

Nel 2007,  appare un articolo sulla stampa francese[26] e provoca una presa di coscienza sul rischio di distruzione delle chiese. Vengono raccolte 25000 firme, mentre l’osservatorio del patrimonio religioso [27] stima che il patrimonio francese è di circa 100 000 chiese e monumenti culturali.

In Francia, ogni anno vengono distrutte circa venti chiese parrocchiali, come la cappella di Saint-Bernard a Clairmarais (diocesi di Arras), la cappella funeraria dei conti di Hitte (Montfort, diocesi d’Auch). A Montfort, nel Gers, (proprietari del castello di Esclignac).

Quanto agli usi correnti delle chiese ridotte all’uso profano, consistono in imprese sociali come il Farlab di Lille o il centro dei ciechi a Oran, in colombari (luoghi di sepolture), in ristoranti ecc. Ci sono anche chiese ridotte ad uso profano per le quali il primo acquirente rispetta la clausola di uso non indecoroso ma una volta trasferite ad un nuovo acquirente vengono adibite ad un uso indecoroso, come un bar o una sala da ballo.

 

  • Il diritto applicabile

 

Il Codice di diritto canonico definisce una chiesa[28], ricordando i riti della dedicazione e della benedizione, che vietano gli usi profani dell’edificio[29].

Lasciando da parte i casi di profanazione che necessitano di una nuova dedicazione o benedizione, si distinguono due tipi di casi nei quali una chiesa può essere ridotta ad uso profano non indecoroso perdendo così il suo carattere sacro[30].

Si tratta in primo luogo del caso, previsto dal canone 1222 §1, delle chiese che sono state distrutte e che non è stato possibile riparare[31]. In molti paesi, il proprietario della chiesa è abitualmente la parrocchia o la diocesi, e il motivo della distruzione è finanziaria. Prima di adottare una tale decisione, il vescovo deve cercare tutte le soluzioni possibili, per esempio vendendo terre e altri edifici, facendo appello agli sponsor, o mobilitando le proprie risorse. Tuttavia anche se la chiesa tedesca spende più di 500 milioni di euro all’anno per riparare le chiese, non possono essere riparate tutte ed alcune sono vendute. E’ lo stesso anche negli Stati Uniti[32].

Per la Francia non è lo stesso, poichè ci sono circa 45000 chiese parrocchiali, di cui il 35% costruite nel XIX secolo[33] di cui, nella stragrande maggioranza, la proprietà e la manutenzione spettano ai comuni, quindi la decisione di distruzione è del sindaco quando la chiesa non è classificata patrimonio storico, il che vale per la maggior parte di esse. Così, considerando il costo elevato della manutenzione per un’affluenza di fedeli in diminuzione, i sindaci a volte decidono di abbatterle. Una trentina di chiese sarebbero state già distrutte in Francia e quasi 10 000 chiese sono minacciate di distruzione. I vescovi, naturalmente, sono interpellati, in particolare per prendersi in carico di una parte dei lavori di restauro, ma molto spesso, declinano questa possibilità.   Molte controversie che si verificano[34] sono poi in gran parte portate davanti ai tribunali amministrativi civili, che producono  una giurisprudenza abbondante e hanno ispirato la circolare del ministro francese dell’Interno del 29 luglio 2011[35] che integra la decisione del Consiglio di Stato del 19 luglio 2011. Trattandosi di diritto civile, eliminereno questa problematica dal campo del nostro studio. Va diversamente per le chiese che non sono distrutte, e per le quali la decisione di ridurle ad uso profano proviene dall’Ordinario del luogo[36]. Questo caso, disciplinato dal canone 1222 §2, è possibile quando si sommano 5 condizioni:

  • cause gravi;
  • audizione del Consiglio presbiterale,
  • consenso di coloro che hanno diritti legittimi sull’edificio;
  • assenza di danni al bene delle anime;
  • garanzie minime per un utilizzo futuro, che deve essere appropriato

 

  • Le difficoltà e i ricorsi

 

La decisione del vescovo è una decisione amministrativa, suscettibile di ricorso amministrativo. Quando c’è una controversia[37], la Congregazione del clero è competente ai sensi dell’articolo 98 del Pastor bonus[38], e accetta o rigetta a volte il ricorso dei parrocchiani, tenendo conto o non se il vescovo ha violato una legge nel merito o nella procedura[39].

Le sue decisioni sono soggette a ricorsi presso la Segnatura Apostolica, e questa facoltà non è solo teorica, poichè molti ricorsi di contenzioso amministrativo sono presentati al Supremo Tribunale. Quest’ultimo ha pubblicato alcune sentenze riguardanti la demolizione[40], la riparazione[41], la riduzione di una chiesa a uso profano, per esempio in occasione di una soppressione[42] o di un raggruppamento[43] di parrocchie. Queste sentenze sono state oggetto di analisi da parte di Mgr. Frans Daneels, nel 1998[44] poi nel 2010[45], nonchè di Mgr. Gian-Paolo Montini nel 2000[46] e di Nicholas Schöch nel 2007[47].

Nella sua analisi delle «grandi sentenze» della giurisprudenza amministrativa, Javier Canosa evoca la sentenza del 20 giugno 1992 che riconosce per la prima volta ai fedeli, membri di una comunità parrocchiale, la possibilità di depositare validamente un ricorso relativo ad una decisione che riguarda la parrocchia (Prot 22036/90 CA) [48].

Il numero dei ricorsi di contenzioso depositati presso il Tribunale della Segnatura Apostolica, per riduzioni di chiese ad uso profano, è in forte aumento dall’anno 2011, segno che le controversie si verificano sempre più frequentemente tra i fedeli che vogliono mantenere una chiesa come luogo di culto e un vescovo che si oppone. La ragione sta nel fatto che il numero di chiese ridotte ad uso profano aumenta considerevolmente nelle regioni sviluppate in cui il numero di fedeli e di sacerdoti diminuisce.

Numero di ricorsi di contenzioso per anno di registrazione
Anni 1990-1999 2000-2009 2010-2013
Numero di contenziosi 5 4 16
Fonte= database

Purtroppo, le sentenze pubblicate sono poche e vecchie, per cui è necessario ricorrere ai commenti dei membri del Supremo Tribunale per avere una visione attuale del diritto, chiarito dalla giurisprudenca, come lo esponiamo di seguito in modo sintetico:

  • un laico deve fornire la prova che subisce un danno affinchè il suo ricorso possa essere accettato[49];
  • la chiusura definitiva di una chiesa equivale alla sua riduzione ad uso profano, anche se il vescovo non ha preso una decisione definitiva relativa al suo uso successivola[50];
  • l’applicazione del canone 1222 §2, richiede che ci siano tutte le condizioni imposte[51]. In particolare, l’assenza di effetti negativi sul bene delle anime non rappresenta, di per sé, una ragione sufficiente [52];
  • la mancanza di sacerdoti o la soppressione di una parrocchia non costituisce un motivo serio sufficiente per ridurre una chiesa ad uso profano, perchè è già accaduto nella storia che in assenza di sacerdote, le persone laiche e pie considerano la chiesa come un luogo sacro a testimonianza della fede cattolica[53];
  • i gravi motivi sollevati devono essere presenti al momento del decreto e non rappresentare soltanto timori per il futuro;
  • al contrario, il Supremo Tribunale ha accolto come grave motivo l’incapacità dei parrocchiani di mantenere una chiesa;
  • quando una chiesa ha subito danni e deve essere riparata ma per ragioni finanziarie si fa una scelta diversa, l’impossibilità morale non può essere provata, conviene anche ricorrere al canone 1222, § 2, sapendo che il vescovo ha il potere di decidere se il problema finanziario rappresenta o meno un motivo grave, dopo aver sentito il parere previsto a tale scopo;
  • l’esigenza finanziaria di una diocesi non è un motivo serio sufficiente per vendere una chiesa che appartiene al suo patrimoniole[54];
  • prima di decidere, è necessario fare uno studio appropriato sullo stato dell’edificio, sul costo della riparazione, avere la possibilità di reperire fondi, prima che il vescovo imponga ad una parrocchia o ad un istituto religioso di riparare una chiesa che non è la chiesa parrocchiale;
  • riguardo al Consiglio presbiteriale, la sua udienza deve essere incentratata esplicitamente sulla riduzione ad uso profano di una chiesa e non solo sulla soppressione di parrocchie, distinguendo bene le due decisioni[55];
  • l’altare e gli oggetti di culto non perdono il loro valore sacro con la riduzione della chiesa ad uso profano non indecoroso. Devono essere trasportati altrove.

C’è anche una giurisprudenza per la proprietà dei beni delle chiese ridotte ad uso profano, tenedo conto che un altare o un tabernacolo rimangono consacrati[56]. Ci limiteremo a dare due esempi.

Quando una chiesa è stata ridotta ad uso profano, una delle parti ha segnalato l’esistenza di una donazione precedente del terreno sul quale era costruita la chiesa, con una clausola morale che specifica che se la chiesa dovesse essere venduta, il terreno dovrebbe ritornare alla famiglia ed ai suoi discendenti. La parte ha perso il ricorso, poiché il suddetto motivo non era incluso esplicitamente nel contratto, in quanto, era scritto, invece che il terreno era libero da servitù[57].

Un’altra giurisprudenza specifica che un titolo di proprietà o una donazione non concede necessariamente dei diritti sulla chiesa parrocchiale, a meno che un atto giuridico valido specifichi esplicitamente che la donazione o la  disponibilità è condizionata ad un determinato uso di questa chiesa[58].

 

Mgr. Daneels conclude la sua analisi della giurisprudenza in questi termini:

Sembra, finalmente, che la Congregazione del clero abbia riformato in molte occasioni le decisioni di vescovi diocesani che riducevano una parrocchia ad uso profano non indecoroso, ma non è facile per un vescovo ottenere dalla Segnatura una decisione che non convalidi quella della Congregazione. La soppressione di una parrocchia non implica automaticamente la riduzione di una chiesa ad uso profano. Ma sembra anche che non sia facile per i parrocchiani dimostrare davanti alla Segnatura l’illegittimità di una decisione della Congregazione del clero riguardante una decisione del vescovo[59].

Ecco in ogni caso un esempio di azione del Supremo Tribunale in questo campo.

Un gruppo di parrocchiani americani presenta un ricorso gerarchico contro una decisione del vescovo del 12 giugno 2007 relativa alla riduzione di una chiesa ad uso profano. La Congregazione del clero  rifiuta inizialmente il ricorso, visto che proviene da un gruppo di persone senza personalità giuridica per depositare tale ricorso. Dopo che il ricorso è ripresentato da persone intuiti personae, la Congregazione convalida il decreto del vescovo ed i parrocchiani depositano un ricorso di contenzioso amministrativo. Il 21 maggio 2011, il Supremo Tribunale dichiara che vi è stata violazione di legge nel decreto della Congregazione del clero del 5 agosto 2008, perché il vescovo non si era appellato a seri motivi che giustificavano la riduzione di questa chiesa ad uso profano[60].

 

A condizione che la decisione sia applicata, si trata di un esempio in cui la giustizia amministrativa della Chiesa ha svolto il ruolo di risoluzione di un conflitto, facendo rispettare il diritto canonico. La procedura è durata quattro anni e mezzo, fino all’ultima sentenza del 18 novembre 2011.

 

  1. Decreti particolari per i laici

 

La Chiesa impiega un numero crescente di laici retribuiti o volontari per vari compiti di apostolato, di insegnamento e di servizio. A volte, rifiuta incarichi a persone competenti che hanno possibilità di essere assunti, oppure ritira incarichi a persone che li assumevano, e questo può causare incomprensioni e conflitti.

Quando il Consiglio per i laici non è in grado di risolverli, la Segnatura Apostolica deve occuparsene, dando a volte ragione ai richiedenti contro il dicastero interessato. Questi ricorsi si concentrano principalmente sui seguenti argomenti:

  • ritiro incarichi di insegnamento o di rettore di università [61];
  • rifiuto di ammissione negli ordini sacri[62];
  • licenziamento dalla Fabbrica di San Pietro[63];
  • rimozione dall’incarico di difensore del vincolo[64];
  • Espulsione da una casa appartenente alla Chiesa[65];
  • sospensione di un diacono sposato[66];
  • rimozione da un incarico di professore di seminario[67];
  • espulsione da una chiesa parrocchiale.

Ecco un esempio:

in un caso trattato nel 1987, quattro laici degli Stati Uniti sono espulsi dalla loro parrocchia dopo aver denunciato abusi liturgici ed errori dottrinali del loro curato. La Segnatura Apostolica rimanda il ricorso ai dicasteri competenti, ossia in quel momento, il Consiglio dei laici, la Congregazione per la dottrina della fede [68]. Se si tratta dello stesso caso[69], il Tribunale non accetta in appello il ricorso contro una decisione della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, perchè il dicastero giustifica il suo rifiuto per il fatto che i parrocchiani seminavano disordine, manifestando rumrosamente contro l’operato del nuovo sacerdote, per cui il ricorso risulta infondato.

In un altro ambito, specificheremo che i ricorsi relativi al lavoro degli impiegati della Santa Sede, contro gli atti commessi dal servizio competente, sono gestiti dall’Ufficio del lavoro della Sede apostolica, che prepara arbitrati non suscettibili di ricorso presso il Supremo Tribunale[70].

 

  1. Le associazioni di fedeli

 

«Nella storia della Chiesa, le associazioni di fedeli hanno avuto una linea comune», ci ricorda Giovanni Paolo II[71]. Tuttavia c’è voluta una controversia che opponeva un vescovo argentino contro la Società di San Vincenzo di Paoli  perchè nel 1921, la Sacra congregazione del concilio superasse la sua visione ristretta del codice del 1917 e riconoscesse:

La legittimità dell’autonomia dei laici nella costituzione e direzione delle associazioni laiche, distinguendo chiaramente in quell’occasione, le associazioni ecclesiastiche dalle associazioni laiche[72].

Il concilio cita in effetti la resolutio Corrienten[73] nel decreto del 1965 sull’apostolato dei laici, quando evoca in questi termini il diritto dei laici di fondare associazioni, di dirigerle e di aderire a quelle esistenti:

Salvo il dovuto legame con l’autorità ecclesiastica, i laici hanno il diritto di creare associazioni e guidarle, e di aderire a quelle già esistenti[74].

Nel 1983, il Codice afferma questo diritto dei fedeli poi, nel 1988, l’esortazione apostolica post sinodale  Christifideles laic porta ad un compiacimento dei progressi compiuti. Inoltre nel 2011, Papa Benedetto XVI ricorda:

La palese apertura al contributo dei laici e la dichiarazione dei «criteri ecclesiali» inequivocabili da parte dei Christifideles laici, hanno permesso di far maturare una «profonda consapevolezza della dimensione carismatica della Chiesa», [che ha ] portato ad apprezzare ed a valorizzare sia i carismi più semplici che fornisce la divina provvidenza alle persone, che quelli che generano grande fecondità spirituale, educativa e missionaria[75].

Papa Francesco va nella stessa direzione:

Ringraziamo dunque il Signore per gli abbondanti frutti e per le numerose sfide di questi anni. Possiamo ricordare, ad esempio, la nuova stagione aggregativa che, accanto alle associazioni laicali di lunga e meritevole storia, ha visto sorgere tanti movimenti e nuove comunità di grande slancio missionario; movimenti da voi seguiti nel loro sviluppo, accompagnati con premura, e assistiti nella delicata fase del riconoscimento giuridico dei loro statuti[76].

Eppure il numero delle associazioni di fedeli giuridicamente riconosciute è basso, come ricorda Olivier Echappé:

L’osservazione della realtà ecclesiale del nostro paese [La Francia] si basa sulla constatazione contraddittoria della straordinaria fioritura del modello associativo nella Chiesa, come del resto in tutta la società, e del notevole successo della legge del 1° luglio 1901, mentre in modo correlativo le cancellerie episcopali non crollano sotto il peso delle richieste di recognitio o di probatio.[77]

Nel 2011, l’autore ritiene, a partire dalle pubblicazioni del Pontificio Consiglio per i laici[78] e di qualche diocesi, che il numero di associazioni di fedeli per cattolico[79] è di circa mille volte inferiore al numero di associazioni civili per abitante[80].

CatCath.

1

Ass
Can2.
Ass. / fedfid.

3

M.
ab.hab.4.
Ass civ.

5

Ass /
M. ab.6
Ass can / Ass civ

7

Associazioni internazionali 1 000 122 0,12 60,00 9 910 165 1 354
Francia 36,00 78 2,17 60,00 983 803 16 397 7 568
Diocesi di Parigi 1,33 11 8,29 2,21 71 222 32 208 3 885
New York / Stati Uniti 0,45 19 41,85 312,00 1 900 000 6 090 146
Diocesi di Créteil 0,79 3 3,81 1,31 39 000 29 751 7 800
Diocesi di Saint Denis 0,90 1 1,11 1,51 45 000 29 871 27 000
Diocesi di Nancy 0,44 71 162,10 0,73 11 616 15 912 98

 

Anche se i risultati devono essere presi con cautela, la differenza è enorme, ci si può chiedere se il diritto canonico non sia un ostacolo alla creazione di associazioni di fedeli. Nel 1985 il Cardinale Ratzinger testimoniava in tal senso per i nuovi movimenti:

E’ vero che questi movimenti causano anche qualche problema, e in una certa misura dei pericoli, ma è la stessa cosa per tutto ciò che è vivente […] tutto questo non deriva dalla pianificazione di un’amministrazione pastorale ma nasce da sé. Pertanto, gli organismi amministrativi – proprio quando vogliono essere molto aperti al progresso – non sanno che fare; questo non si adatta alla loro idea. Così si creano tensioni quando si tratta di inserire questi movimenti nell’attuale struttura delle istituzioni[81].

Nel 1983, il codice di diritto canonico riprende i principi fissati dal decreto del Concilio sull’apostolato dei laici, e li disciplina giuridicamente con i canoni 215 e seguenti:

Can. 215 — I fedeli sono liberi di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l’incremento della vocazione cristiana nel mondo; sono anche liberi di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità[82].

Una volta costituite in base ai canoni 298 e 299 §1, queste associazioni diventano associazioni di fatto, ma sono ammesse nella Chiesa solo in base all’applicazione di uno dei canoni seguenti:

  1. canone 299 §3[83] per le associazioni private i cui statuti sono riconosciuti dall’autorità competente, (recognitio);
  2. canone 322 per le associazioni dotate di personalità giuridica (probatio)[84];
  3. canoni 298 §2[85] e 299 §2[86] per le associazioni lodate e raccomandate dalla Chiesa;
  4. canone 300[87] per le associazioni private cattoliche;
  5. canone 301§3[88] per le associazioni pubbliche di fedeli;
  6. canone 302[89] per le associazioni clericali [90].

Dopo il sinodo ordinario dei vescovi del 1987, Papa Giovanni Paolo II specifica quali criteri devono rispettare le associazioni per essere riconosciute dalla Chiesa, senza fare distinzione tra i sei tipi di riconoscimento di cui sopra[91].

Sempre nella prospettiva della comunione e della missione della Chiesa, e non in contrasto con la libertà di associazione, bisogna tener conto della necessità di criteri ben chiari e precisi di discernimento e di riconoscenza delle associazioni di laici, chiamati anche «criteri di ecclesialità». Come criteri fondamentali per il discernimento di ogni associazione di fedeli laici nella Chiesa si possono ricordare i seguenti criteri:

  • la priorità della vocazione alla santità di ogni cristiano;
  • l’impegno a professare la fede cattolica;
  • la testimonianza di una comunione solida e forte nella convinzione, in relazione filiale con il Papa;
  • l’accordo e la cooperazione con il fine apostolico della Chiesa;
  • l’impegno ad essere presente nella società umana per il servizio della dignità integrale dell’uomo.
  • i criteri fondamentali che abbiamo esposto trovano verifica nei frutti concreti che accompagnano la vita e nelle opere delle diverse forme associative, in particolare nel gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l’aiuto alla consapevolezza della vocazione al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa sia a livello nazionale che internazionale; l’impegno nella catechesi e la capacità d’insegnamento per la formazione dei cristiani; l’impulso a garantire una presenza cristiana in vari ambiti della vita sociale; la creazione e l’animazione di opere caritatevoli, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso tutti; la conversione alla vita cristiana o il ritorno alla comunione di battezzati «lontani».

Dal nostro punto di vista, una delle principali difficoltà incontrate dalle associazioni di fedeli riguarda il riconoscimento da parte della Chiesa e l’acquisizione della personalità giuridica. In assenza di regole di applicazione dei criteri di ecclesialità per i diversi livelli di riconoscimento:

  • da un lato, il cardinale Lluis Martinez Sistach[92] considera che il riconoscimento degli statuti include criteri soggettivi, come l’utilità, per evitare la dispersione di forze e la moltiplicazione di associazioni aventi finalità analoghe;
  • senza discostarsi molto, L. Navarro[93], pensa che la recognitio è legata alla verifica degli statuti, ma anche all’analisi di altre fonti d’informazione per conoscere la realtà effettiva dell’associazione. E’ lo stesso per Roch Pagé[94];
  • invece, S. Pettinano parla di un diritto al riconoscimento[95], mentre Feliciani scrive: [….L’intervento ministeriale] può essere considerato non come una decisione discrezionale, ma come un atto obbligato, nel senso che si limita alla dichiarazione che, alla verifica delle strutture delle associazioni, dei suoi mezzi e fini, non c’è nulla di contrario alla fede, alla disciplina e all’integrità dei costumi. […] Per quanto riguarda le ragioni di opportunità pastorali, è difficile conciliarle con il diritto di associazine riconosciuto ai fedeli[96];
  • infine, canonisti come P.A. Bonnet[97] riconoscono che ci possono essere conflitti e ricorsi amministrativi.

In pratica, a volte si assiste a situazioni in cui un vescovo rimanda il riconoscimento, come possiamo vedere nell’esempio di seguito:

Un anno dopo essere stati eletti, i moderatori di una associazione di fedeli di 8000 membri, chiedono di essere ricevuti dal nuovo vescovo della diocesi, dove hanno la loro sede, «per testimoniare il loro percorso per raggiungere il riconoscimento». Il 13 luglio 2016, ricevono una lettera del vicario generale: «Mons. … mi incarica di farvi sapere che, dopo aver riflettuto, non gli sembra opportuno concedervi un appuntamento poichè le condizioni di riconoscimento non sono soddisfacenti alla luce delle informazioni in suo possesso. Pregherà per voi». Il canonista potrebbe porsi delle domande sul rispetto dei diritti dei fedeli: diritto di ricevere l’aiuto dei pastori (c.203), diritto al riconoscimento dell’ associazione (recognitio) e della personalità giuridica (probatio) (c. 299-3[98] e c.322-§1) dal momento in cui rispetta i criteri di ecclesialità, diritto ad una buona reputazione e a quella dei suoi membri (c.220) e diritto di difendersi (c.221), poichè le informazioni sono note al vescovo ma non ai moderatori, e possono dar luogo benissimo a menzogne.

 

La mancanza di riconoscimento canonico di un’associazione può portare ad un procedimento giudiziario nei tribunali secolari, invece di essere risolto dalla giustizia amministrativa canonica, come si può vedere nell’esempio seguente:

Nel 1980, a Parigi, l’arcidiocesi di Parigi firma una convenzione di 17 anni con l’Associazione Culturale di Carità della Missione Croata (ABCMC), affidandole l’uso della chiesa di Saint-Cyrille-Saint-Méthode. Nel corso del tempo, le tensioni si accumulano intorno a questioni materiali, per cui nel 2007 la convenzione non è rinnovata, ma l’associazione non accetta questa decisione e continua ad occupare i luoghi celebrando, tra le altre cose, le messe in croato e catechizzando i bambini. L’Arcidiocesi di Parigi intenta una causa all’ associazione davanti al tribunale civile e ottiene diverse decisioni della giustizia civile per farla uscire. Tuttavia una parte dei parrocchiani croati si ribella e protesta nelle strade, dicendo: «Siamo sconcertati, delusi e sconvolti che i fratelli cattolici si comportano così verso altri cattolici … In un momento in cui le chiese stanno chiudendo per mancanza di parrocchiani, per manzanza di manutenzione, dei cattolici che hanno ricostruito una chiesa con i propri fondi e l’hanno mantenuto in vita, siano  espulsi come degli impuri dai loro fratelli cattolici. E’ inammissibile». Da parte sua, il curato della parrocchia in cui è situata la chiesa si dice pronto ad accettare i Croati cattolici ma non la loro associazione[99].

 

Il Consiglio pontificio per i laici conferma che riceve regolarmente ricorsi, senza specificare se riguardano le associazioni di fedeli, come indica ogni anno nella sua relazione di attività nel modo seguente:

Il Consiglio pontificio per i laici ha risolto controversie sottoposte a verifica, da associazioni di fedeli con ricorsi amministrativi[100].

Tuttavia tutte le controversie non sono risolte dal Consiglio Pontificio, poichè il Supremo Tribunale deve occuparsi di alcuni ricorsi di contenzioso amministrativo relativi alle associazioni, in particolare su:

  • il loro carattere pubblico o privato (Prot. 23966/93/CA)
  • la possibilità di depositare ricorsi anche se la capacità giuridica non è stata loro riconosciuta ( Prot. 17445/ 85 CA et Prot. 17914/86 CA)[101]
  • la loro costituzione e la nomina dei loro moderatori (Prot. 32943/01 CA, Prot. 35378/03 CA)
  • la loro soppressione (Prot. 20012/88, Prot. 37399/05 CA).

Bisogna interrogarsi sul fatto che nessun giudizio pubblicato si basa sull’applicazione dei criteri di ecclesialità per il riconoscimento delle associazioni. Forse ci sono dei casi non pubblicati, o casi pubblicati senza precisione, vale a dire con pochi dettagli perchè l’autore possa collegarli ad un oggetto di discussione?

Un ricorso è stato rigettato dal Congresso relativo ad un gruppo di fedeli degli USA contro un decreto del Consiglio per i laici, a causa di mancanza di legittimità del richiedente[102]. Il Consiglio pontificio per l’interpretazione dei testi legislativi ha proposto una soluzione il 29 aprile 1987, in una interpretazione del canone 299 §3 [103]:

  1. — Un gruppo di fedeli che non ha personalità giuridica, nè il riconoscimento di cui al canone 299, § 3, può legittimamente presentare un ricorso gerarchico contro un decreto del suo vescovo diocesano ?
  2. — No, come gruppo; si, come fedeli, che agiscono separatamente o congiuntamente, a condizione che abbiano davvero subito un danno. Per la stima del danno, è necessario che il giudice goda di un appropriato potere discrezionale.

 

Forse i ricorsi sono stati depositati e rigettati in limine persino prima di essere registrati, perchè l’atto amministrativo che impediva il riconoscimento non aveva il carattere di atto amministrativo specifico?

Uno dei responsabili dell’associazione  «Call to Action Nebraska» ha depositato un ricorso al Supremo Tribunale contro una lettera del cardinale prefetto della congregazione dei vescovi, indirizzato al vescovo di Lincoln, che confermava la legalità di una decisione di quest’ultimo contenente, a determinate condizioni, un divieto che si è trasformato in scomunica per i membri di diverse associazioni diocesane, tra cui l’associazione « Call to Action Nebraska ». Il vescovo li accusava di avere idee contrarie alla dottrina cattolica, come il matrimonio dei sacerdoti e l’ordinazione sacerdotale delle donne. Il Segretario del Supremo Tribunale ha risposto che il Tribunale non era competente per gestire questo ricorso, nella misura in cui l’articolo 123 del Pastor bonus si riferisce ai decreti specifici promulgati o confermati da un dicastero della Curia romana, che non è così per un decreto diocesano generale né per un chiarimento di un dicastero riguardante la legalità di tale atto[104].

 

Salvo informazioni contrarie, non sembra che la giustizia amministrativa ecclesiastica abbia svolto pienamente il suo ruolo per chiarire il riconoscimento delle associazioni private di fedeli, come nel 1921 con la resolutio Corrientes.

 

  1. Altre materie oggetto di ricorso

 

Ci sono molte altre materie oggetto di ricorso, piu o meno frequenti, che non è possibile relazionare in dettaglio.

Oltre al caso dei dipendenti delle associazioni cattoliche, già citato nel capitolo introduttivo, si può citare il caso di cappellani ospedalieri o militari, nonché di dipendenti delle curie diocesane che a volte sono espulsi.

Un militare che è stato promosso vice-cancelliere di un ordinariato militare viene rimosso dal suo incarico all’arrivo di un nuovo cancelliere. La Congregazione per il clero rifiuta il suo ricorso gerarchico ed il Supremo Tribunale rigetta il suo ricorso di contenzioso per mancanza di fondamento perché l’arrivo di un nuovo cancelliere è una ragione considerata sufficiente in virtù del c. 485, la causa di espulsione non è considerata diffamatoria e la sussistenza della vittima non è in discussione poiché il suo stipendio continua a essere pagato dall’esercito[105].

Un altro caso frequente riguarda la proprietà dei beni delle associazioni, che è regolarmente oggetto di ricorso davanti al Tribunale civile, nonostante l’importanza canonica del problema evidenziato da Olivier Echappé :

Non si tratta di una ipotesi teorica: tutti sanno che in Francia, il patrimonio immobiliare delle scuole cattoliche è nelle mani di associazioni costituite in tutta fretta dopo la separazione e la spoliazione del 1905, che non hanno alcun statuto canonico, anche se il loro compito (e la giustificazione della loro esistenza), è quello di insegnare la dottrina cristiana in nome della Chiesa, che, canonicamente, conferisce loro il carattere pubblico e fa dei loro beni dei beni ecclesiastici[106].

Si può anche citare il caso di fedeli che non sentono di aver ricevuto l’aiuto che meritano dai loro pastori. Ecco un esempio che riguarda la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti:

A New-Sevilla, negli Stati Uniti, diversi parrocchiani sono sconvolti dalle innovazioni liturgiche che il loro nuovo sacerdote ha apportato. In segno di protesta, una parrocchiana fa una scenata a tal punto che il sacerdote è costretto a chiamare la polizia e che l’arcivescovo le ordina di cessare di turbare la liturgia. Ma persiste al punto che, il 1° dicembre 1986, il vescovo promulga al suo incontro un decreto penale extragiudiziario in applicazione del canone 1336, vietandole di entrare in chiesa. Allora deposita un ricorso gerarchico e, il 12 maggio 1989, il decreto è confermato dalla congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Nel mese di aprile 1989, la denunciante fa ricorso presso la seconda sezione del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, che afferma che ha agito per legittima difesa contro un aggressore che l’attaccava ingiustamente, pur mantenendo la moderazione richiesta. (c. 1323 5° b). Il 30 ottobre 1990, il Tribunale considera che l’arcivescovo aveva il diritto di emettere un divieto con decreto extragiudiziale in applicazione dei canoni 1720 e 1731 2°: che aveva rispettato le norme previste da questo canone in particolare ricevendo la denunciante. Di conseguenza il ricorso non viene ammesso alla discussione del Tribunale. Il 24 novembre, la denunciante deposita un nuovo ricorso ma il Tribunale rifiuta di metterlo alla discussione per mancanza di fondamento, visto che continuando a disturbare le celebrazioni liturgiche nonostante le sia stato vietato, la denunciante non ha rispettato la moderazione che le avrebbe permesso di essere esente da punizione[107].

 

In questo caso, il ricorso sembra essere stato illegale, ma tutte le situazioni non sono di questo tipo e ci sono anche casi di abuso da parte del potere ecclesiastico.

Dopo aver esaminato una serie di materie che sono state oggetto di ricorso, possiamo legittimamente chiederci se esistono ambiti aventi come oggetto quello di decisioni amministrative relative ai laici, e che sono oggetto di ricorso di contenzioso amministrativo. In Africa, ad esempio, i fedeli avrebbero senza dubbio il diritto di presentare un ricorso amministrativo sulla gestione della loro parrocchia, talvolta inadeguata, come riportato da Achille Mbala-Kyé[108] e Emmanuel Bizogo[109] sul Camerun.

Secondo la legge il parroco è il gestore dei beni della Chiesa (cfr 532 e c 1281-1288), ma spesso le casse delle parrocchie sono vuote durante i passaggi di servizio, vale a dire quando il parroco cambia. Infatti, ci sono difficoltà nella costituzione di consigli pastorali per gli affari economici e molte parrocchie non inviano i loro conti alla Procura. Spesso i conti delle parrocchie sono morti: il sacerdote non usa questo conto per i movimenti di spese e prodotti nella sua parrocchia. Non deposita i soldi, ma è in grado di lasciare il conto in rosso per anni.

In un altro ambito, ecco tre testimonianze canadesi relative alla ricezione della comunione in ginocchio, in cui è deplorevole che la Chiesa locale non sia stata in grado di risolvere situazioni, in quanto troviamo le prime due testimonianze su un sito web e la terza presso la Suprema Corte del Canada.

La settimana scorsa, sono andata alla messa della domenica con mio marito in una parrocchia vicina. Era la prima volta che ci andavo. Al momento della comunione, ci siamo avvicinati, e mi sono ingiocchiata davanti al sacerdote per ricevere l’ostia. Il sacerdote mi ha detto «No ! In piedi  !» Pensavo di aver capito male. «Hhm…scusi ?» «In piedi ! Qui la comunione si dà solo in piedi !» Allora mi alzo, un po’ stupita, ed il sacerdote mi mette l’Ostia sulla lingua. Moi marito, dietro di me, fa la stessa cosa, ed il sacerdote nega anche a lui la comunione in ginocchio[110]. Una volta ho visto nella mia parrocchia due sacerdoti che davano la comunione uno accanto all’altro. Il vicario ed un sacerdote «di passaggio». Il sacerdote «di passaggio» ha fatto come avete detto, vale a dire ha negato la comunione ad una persona che si era inginocchiata. Poco dopo, ho sentito il vicario sussurrargli «se lo fa di nuovo non metterà più piede in questa parrocchia[111]».

Un esempio di rifiuto dei sacramenti che è stato trattato dalla Suprema Corte  del Canada è il «caso Stellerton», che riguarda il rifiuto di dare l’Eucarestia a sei fedeli cattolici perchè volevano riceverla in ginocchio e non in piedi. La Corte ha dato ragione ai denuncianti[112].

In realtà, ci sono stati numerosi ricorsi gerarchici risolti dalla Curia romana:

La Congregazione è preoccupata per il gran numero di denunce… e pensa che il rifiuto di dare la Santa Comunione ad un membro dei fedeli, con il pretesto della posizione in ginocchio, rappresenti una grave violazione di uno dei diritti fondamentali dei fedeli cristiani…  Questo rifiuto non dovrebbe mai aver luogo… tranne nei casi…di peccato pubblico senza pentimento da parte della persona o della sua ostinazione all’eresia o scisma. Quando la Congregazione ha approvato la legislazione riguardante la posizione in piedi per ricevere la Santa Comunione…l’ha fatto affermando che le persone …che si inginocchiano non devono vedersi rifiutare la Santa Comunione… Infatti, Sua Eminenza il Cardinale Joseph Ratzinger ha recentemente evidenziato…che inginocchiarsi per ricevere la Santa Comunione ha a suo favore una tradizione secolare del tutto appropriata alla luce della presenza reale, vera e sostanziale di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate[113].

In un altro ambito, citiamo la contestazione contro un vescovo da parte dei suoi diocesani, per il quale Charles Wackenheim sembra dire che un ricorso amministrativo non s’applicherebbe[114].

In seguito a nomine di vescovi fortemente contestate, i diocesani interessati chiedono come possono farsi sentire, non dagli individui o attraverso lettere anonime, ma pubblicamente e collettivamente. Il Codice non dice nulla. Ci piacerebbe anche sapere ciò che prevede la legge quando un vescovo ha fallito pubblicamente la sua missione. Il codice prevede questa eventualità… nel caso di un curato (c.1740)[115]

Tali casi non sono così rari.

Nel 2015 in Francia, alcuni diocesani hanno dovuto confrontarsi su una decisione del loro vescovo che imponeva ai genitori di pagare la tassa per la chiesa prima di iscrivere i loro figli al catechismo. I diocesani si rivolgono ai   «Canonisti senza frontiere» per verificare la legge corrente[116]. Sembra che questa decisione derivi dal fatto che il vescovo ha presentato un permesso per costruire la sua futura casa, mettendo così a rischio le finanze della diocesi. Dopo essersi informati sulle procedure di ricorso gerarchico e contenzioso, i diocesani interessati decidono di non rendere pubblico il problema per non fare un torto alla Chiesa, né di avviare un’azione legale ritenuta troppo complessa.  Poco dopo, il vescovo viene allontanato per limite di età.

 

Dopo questo caso rimasto segreto, eccone un altro, reso pubblico:

Nel 2002 negli Stati Uniti, il giornale Boston Globe conduce un’inchiesta che rivela pubblicamente la responsabilità personale del Cardinale Arcivescovo, che ha coperto le azioni di decine di preti pedofili della sua diocesi. Indipendentemente dalla sua natura di parte, il film Spotlight [117] dimostra che la giustizia della Chiesa non è riuscita a capire seriamente le vittime..

 

Nel caso precedente, è la stampa, e non la giustizia ecclesiastica, che ha permesso di proteggere le vittime. Da ciò è scaturito un cambiamento della legge sul trasferimento e dimissioni di un vescovo, quando commette una negligenza che mette a rischio i minori[118]. Ecco un altro caso in cui la conferenza episcopale si è schierata dalla parte dell’opinione pubblica dopo che è stato rivelato uno scandalo finanziario.

Nel 2013 in Germania, il presidente della conferenza episcopale ha partecipato ad una petizione dei diocesani che chiedevano il trasferimento del vescovo: i fedeli della diocesi di Limbourg, indignati, hanno chiesto le dimissioni di Mons. T. Oltre 4000 di essi hanno già firmato una lettera aperta contro di lui. A Limburg, vicino Francoforte, la gente è sconvolta. Domenica, circa 200 oppositori si sono riuniti davanti alla cattedrale per protestare contro «il vescovo di lusso» come soprannominato dalla stampa, e le sue «manie di grandezza» [119].

 

In altri casi la petizione dei diocesani è giudicata inaccettabile:

nel 2013, in Nigeria, la nomina di Mons. Okpaleke come capo della diocesi di Ahiara fu respinta da alcuni cattolici per ragioni etniche. Il cardinale Onaiyekan è stato nominato amministratore apostolico di Ahiara in attesa di una soluzione. Nel 2017 una delegazione della diocesi accompagnata dal Presidente della conferenza episcopale della Nigeria visitò Roma dove fu ricevuta da Papa Francesco. Ha ascoltato i membri della delegazione e ha giudicato «inaccettabile la situazione in Ahiara» riservandosi di adottare le misure appropriate[120].

 

Gli sviluppi precedenti dimostrano che la giustizia ecclesiastica amministrativa interviene a volte nelle controversie tra i laici e la gerarchia ecclesiastica, ma la frequenza di questi interventi è bassa, il che porta all’esigenza di una giustizia amministrativa più vicina alle persone, per esempio a livello nazionale.

 

 

 

 

[1] Dall’annuario pontificio 2016.

[2] Sarah (Card. Robert), Dieu ou rien, Intervista di Nicolas Piat, Paris 2016, ed Pluriel, p. 249/420.

[3] Paolo VI, Lumen Gentium, Constitution dogmatique de l’Église, n° 37.

[4] Cf. Kasper (Card. William), L’Église catholique, son être, sa réalisation, sa mission. Paris, Cerf, Collection Cogitatio Fidei  avril 2014, p. 300/592.

[5] Paolo VI, Apostolicam actuositatem,

[6] E’ stato nominato prefetto del dicastero per i laici, la famiglia e la vita.

[7] Farrell (Mgr. Kevin) prefetto del dicastero per i laici, la famiglia e la vita, (doppia traduzione).

[8] Kasper (Card. William), L’Église catholique, op. cit. p. 15.

[9] Kasper (Card. William), L’Église catholique, op. cit. p. 295.

[10] Centre saint Augustin de Dakar, colloque du 22-24 février 2017 sur le thème sur: « Le repentir: genèse (s) et actualité (s)».

[11] Extraction au 7 novembre 2016: 88 ricorsi sono stati depositati da uomini, 43 da donne, 32 da uomini o donne.

[12] I 27 ricorsi di associazioni (13 casi), di vescovi (3 casi), di sacerdoti (4 casi) o di richiedenti non identificati (7 casi). Per esempio, un ricorso proveniente da un vescovo è stato esaminato il 13 giugno 1987 dal Collegio della Seconda sezione, che ha constatato una violazione della procedura seguita dal Pontificio consiglio per i laici. Cf. ASS (1987), p. 1293.

[13] Ecco la ripartizione per dicastero dei 184 ricorsi del nostro campione relativo ai laici:

  • Congregazione per il clero in 110 casi
  • Consiglio Pontificio per i laici in 35 casi
  • Congregazione responsabile dei consacrati in 17 casi
  • Congregazione per l’educazione cattolica in 7 casi
  • Congregazione per il culto divino in 3 casi
  • Congregazione per le Chiese orientali in 3 casi
  • Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli in 3 casi
  • Congregazione per i vescovi in 3 casi
  • Consiglio pontificio per la famiglia in un caso
  • Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica in un caso (difensore del vincolo)
  • Fabbrica di San Pietro in un caso

[14] Cause con lo stesso oggetto di discussione sono sottoposte anche da chierici o religiosi. Nella misura in cui sono trattate per i laici, non ci ritorneremo nei capitoli seguenti.

[15] Abbal (Elisabeth), Paroisse et territorialité dans le contexte français, Paris, Cerf, 2016, 520 p.

[16] Plouchart (Louisa),, 2013, « Le diocèse de Rennes, Dol et Saint-Malo: maillage paroissial et pratiques religieuses », p. 19 à 63, In B. Merdrignac, D. Pichot, L. Plouchart, G. Provost (Dir.) La paroisse, communauté et territoire, Constitution et recomposition du maillage paroissial, Rennes,  Ed. PUR, Coll. Histoire, 541 P.

[17] Congregazione per il clero, « Procedural guidelines for the modification of parishes and closure of parish churches », Roman replies, (2013), 5-12, tradotto e adattato dall’inglese.

[18] Per esempio nel caso citato da RR (2013), p. 13-17 riguardo ad una controversia sull’uso non indecoroso di una chiesa. (c.1210).

[19] ASS 1992. P. 1117, sul ricorso n° 22036.

[20] Diocesi spagnola creata nel 1995.

[21] Lleida in spagnolo.

[22] Si indica di solito con il nome di Frange d’Aragon (Franja de Aragón in castigliano, Franja d’Aragó in catalano, Francha d’Aragón in aragonese) un territorio della comunità autonoma di Aragona, in Spagna, al confine con la Catalogna e dove la lingua tradizionalmente parlata è il catalano.

[23] Aznar (Gil, F. R.) y Sanchez (Roman, R). Los bienes artísticos de las parroquias de la Franja: El proceso canónico (1995-2008), Fundación Teresa de Jesús, Zaragoza, 2009.

[24] Per esempio il sito di storia dell’arte di Antonio VALM

as: www.antonionavalmas.net/spip.php? Articolo 56  consultato l’11 agosto 2015.

[25] Antonio Valmas riporta 444 tappe sul sito sopracitato.

[26] De Ravinel (Sophie),  « Des maires sont contraints de détruire leur église. » Le Figaro, 18 mai 2007.

[27] www.patrimoine-religieux.fr/

[28] « Can. 1214: Per chiesa, si intende un edificio sacro destinato al culto divino in cui i fedeli hanno diritto ad entrare per l’esercizio del culto divino soprattutto quando è pubblico.

[29] Ci sono eccezioni in cui tutta o parte di una chiesa può essere utilizzata per scopi diversi dal culto senza che la chiesa perda il suo carattere sacro. Questo è particolarmente vero se la chiesa è temporaneamente chiusa, o prestata per un periodo ad una comunità cristiana non cattolica che poi la ripristina. Ciò vale anche se una parte della chiesa è adibita ad usi diversi da quelli del culto (amministrazione, sala di incontri, ecc.) a condizione che la chiesa non sia danneggiata. Così l’installazione di antenne sul tetto o di pubblicità sui muri durante lavori sono possibili senza che la chiesa perda il suo uso sacro. Cf. Nicholas Schöch, OFM, « Relegation of churches to profane use (c. 1222, §2): Reasons ad procedure », the Jurist, 67 (2007) 485-502

[30] Can. 1222: § 1 « Se una chiesa non può in alcun modo essere utlizzata per il culto divino e non è possibile ripararla, può essere ridotta dal Vescovo della diocesi ad un uso profano che non sia indecoroso». § 2: «Laddove altre cause gravi suggeriscono che una chiesa non può essere utilizzata per il culto divino, il Vescovo della diocesi, dopo aver sentito il consiglio presbiterale, con il consenso di coloro che rivendicano legittimamente i loro diritti su quella chiesa e a condizione che il bene delle anime non subisca alcun danno, può ridurla ad un uso profano che non sia indecoroso».

[31] Tali casi erano già previsti dal Concilio di Trento, poi dal canone 1187 del 1917.

[32] Provost (James H.), « Some Canonical Considerations on Closing Parishes », The Jurist, 53 (1993), 362.

[33] «Une vague de démolition d’églises menace le patrimoine» in Le Point.fr del 13 agosto 2013.

[34] Massin Le Goff (Guy), Conservatore dipartimentale delle antichità e oggetti d’arte del Maine-et-Loire, Consiglio generale del Maine-et-Loire , scrive: «Le violente reazioni di alcuni abitanti di questo comune di fronte a questo progetto non sono altro che il riflesso di un’emozione profonda che spesso genera un danno politico e soprattutto sociologico. Le opinioni si scontrano, nascono litigi, i ricorsi giudiziari si moltiplicano, le fratture tra sostenitori e oppositori si ripercuoteranno per decenni, facendo pesare sul comune un clima pesante di rancore». in Polémique autour de la démolition des églises: le cas du Maine-et-Loire messo on line il 03 novembre 2009, consultato il 15 luglio 2015. URL: http://insitu.revues.org/5563

[35] Circolare del Ministro dell’interno, di oltre mare , delle collettività territorialie dell’immigrazione, con riferimento NOR/IOC/D/11/21246C,  del 29 luglio 2011, indirizzata al prefetto di polizia ed ai prefetti (metropoli) sugli edifici del culto: proprietà, costruzione, riparazione e manutenzione,  regolamento urbanistico, fiscalità, pubblicata sul Journal Officiel e sul sito di Legifrance: datata 29 luglio 2011,: http://circulaire.legifrance.gouv.fr/pdf/2011/08
/cir_33668.pdf

[36] Habert (Mgr. Jacques), « Ces églises qui font l’Église »  Document de l’épiscopat,  Conférence des évêques de France, n° 6/7, Paris 2017.

[37] Cf. per esempio «US Catholics win rare victories on church closings» in USA today, March 5, 2011.

[38] La Congregazione si occupa di tutto quello che spetta alla Santa Sede per l’ordinamento dei beni ecclesiastici, e specialmente la retta amministrazione dei medesimi beni, e concede le necessarie approvazioni o revisioni; inoltre, procura perché si provveda al sostentamento ed alla previdenza sociale del clero.

[39] Diversi casi sono descritti nella rivista «Roman replies and CLSA advisory Opinion», 2011, p. 5-14. e RR (2013), p. 13-17 relativamente ad una controversia sull’uso indecoroso di una chiesa. (Canone 1210).

[40] Prot n° 17447/85 CA pubblicato da Ministerium Justitiae…, Montréal, 2011, 441-528.

[41] Prot n° 21024/89 CA, pubblicato da  Notitiae 26 (1990) 142-144 e da Ministerium Justitiae, op. cit. p. 461-466.

[42] Prot. N° 25500/94 CA pubblicato da Ministerium Justitiae, op. cit. p. 483-501.

[43] Prot. N° 24388/93 CA pubblicato da Ministerium Justitiae…, op. cit,. p. 502-528.

[44] Frans Daneels (Mgr.), «Soppressione, unione di parrochie e riduzione ad uso profano della chiesa parrochiale», Ius Ecclesiae 10 (1998) 111-148.

[45] Frans Daneels (Mgr.) «The reduction of a Former Parish Church to Profane use in the light of the Recent Jurisprudence of the Apostolic Signatura» in «Quod justum est et aequum». Scritti in onore del Cardinale Zenone Grocholewski per il cinquantesimo di sacerdocio», a cura di Mgr Marek Jedraszewski, Facoltà teologica dell’università di Poznan. 2013, (p. 165-169)

[46] Montini (Mgr Gian-Paolo), promotore della giustizia al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica «La cessazione degli edifici di culto», Quaderni di diritto ecclesiale 13 (2000) 281-299.

[47] Schöch (Nicolas), Vice difensore del vincolo al Tribunale della Segnatura Apostolica «Relegation of churches to Profane Use (c . 1222, §2): Reasons and Procedures», The Jurist 67 (2007), 485-502.

[48] Canosa (Javier), « Giustizia amministrativa ecclesiastica e giurisprudenza », in Ius ecclesiae XXIII, 2011, p. 563-582.

[49] Prot n° 21024/89 CA, Notitiae 26 (1990) 142-144 e Ministerium Justitiae, op. cit., p. 461-466.

[50] Frans Daneels (Mgr.), «Soppressione , unione di parrochie e riduzione ad uso profano della chiesa parrochiale», Ius Ecclesiae 10 (1998) 111-148, citato da Nicholas Schöch, op. cit. p. 488 et nota 12.

[51] Mgr Daneels si basa in particolare sulla sentenza coram Caffara del 21 maggio 2011, prot. 41719/08 CA.

[52] Mgr Daneels si basa in particolare sulla sentenza coram Burke del 21 maggio 2011, prot. 41719/08 CA nonchè  prot. 45242/11 CA.

[53] Idem.

[54] Prot. 31208/00 CA, decisione citata da Nicholas Schöch (op. cit.. p. 502 note 59.)

[55] Mgr Daneels si basa su tre sentenze: coram Burke (Prot. 42278/09 CA) del 21 maggio 2011;  coram Caffara (Prot. 41719/08 CA) del 21 maggio 2011  nonchè sul decreto del congresso del 11 maggio 2012 (Prot. n° 45190B/11 CA).

[56] Cf. can. 1238 § 2.

[57] Coram Burke, 11 mai 2011, Prot41719/08 CA, The Jurist 73 (2013) 597-643 tradotto dall’inglese nel testo della decisione latina «The said premises are free from encombrances that the said party of the first part will forever warrant the title to said premises».

[58] Thomas J. Paprocki, Parish closings and administrative recourse to the apostolic see: recent experiences of the archdiocese of Chicago, The Jurist, 55 (1995), p. 894.

[59] Traduzione dal testo inglese di Mgr Daneels in op. cit. p. 168.

[60] Coram Burke, 11 maggio 2011, Prot. 41719/08 CA, The Jurist 73 (2013) 597-643

[61] Prot 30266/99 CA citato da ASS (1999) p. 936.

[62] Prot 30677/99 CA e 30678/99CA citati da ASS (1990), p. 892.

[63] Caso senza riferimento, citato da ASS (1978) p. 625.

[64] Prot. 36007/04 CA non ammesso alla discussione per decisione del Congresso l’1/06/06 poi del Collegio il 28/04/2007.

[65] Prot. 23208/92 CA non ammesso alla discussione per decisione del Congresso del 23/11/1992.

[66] Un diacono sposato ha depositato un ricorso nel 1987 per essere stato sospeso ma la sua richiesta non è stata ammessa alla discussione. (ASS (1988), p. 1405.

[67] Cf. ASS (1988), p. 1405, Coram Stickler, le 28 gennaio r 1988. N° di registrazione  (Prot) non indicato, ,

[68] Caso citato da ASS (1987), p. 1292.

[69] Prot 18881/87 CA

[70] Cf. art 136 del Regolamento generale della Curia romana, 1999,

[71] Gian-Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici, n° 29.

[72] Miayoukou (Hervé), « L’émergence en droit canonique des associations privées de fidèles » L’année canonique, 52, 2010, p. 249-256.

[73] Cf. S.C. del Concilio, risoluzione du Concile, risoluzione Corrienten., 13 novembre 1920: AAS 13 (1921), p. 139.

[74] Paolo VI, Apostolicam actuositatem, n° 19.

[75] Sito del Consiglio pontificio dei laici, www.laici.va, consultato il 27 novembre 2011 nella rubrica «venti anni dopo»

[76] Francesco (papa), Discorso del 17 giugno 2016 davanti all’Assemblea del Pontificio Consiglio per i laici.

[77] Echappé (Olivier), «Les biens des associations d’Église», L’année canonique, 47, 2005, p. 51-62. Tradotto dal Francese.

[78] Ryłko (Cardinal Stanisław), Arcivescovo titolare di Novica, Presidente del Consiglio Pontificio per i Laici Archevêque titulaire de Novica, «préface du répertoire des associations» consultato sul sito del Vaticano il 17 novembre 2011;

[79] Colonna 1: milioni di fedeli; colonna 2: numero di associazioni di fedeli riconosciute; colonna 3: numero di associazioni di fedeli riconosciute per milione di cattolici = ratio col. 1/col 2.

[80] Colonna 4: numero di abitanti; colonna 5 numero di associazioni civili; colonna 6: numero di associazioni civili riconosciute per milione di abitanti; colonna 7= colonna 1 / colonna 4 .

[81] Ratzinger (Cardinal Joseph), «Entretiens sur la foi», commenti riportati da Vittorio Messori, Paris 1985, Fayard, p. 48/252. Tradotto dal Francese.

[82] CIC/83 C 215

[83]. § 3. Nessuna associazione privata di fedeli è ammessa nella chiesa a meno che i suoi statuti siano riconosciuti dall’autorità competente.

[84] Le condizioni per ottenere la personalità giuridica sono specificate nel canone 114: occorre che le associazioni siano: 1) disposte per scopi cf. §3) che siano coerenti con la missione della Chiesa (opere di pietà, di apostolato, di carità, cf §2); orientate verso una veduta più ampia di quella degli interessi dei membri) ori; 3) dotate di mezzi sufficienti per garantirne la sostenibilità.

[85] § 2. Che i fedeli si iscrivano di preferenza alle associazioni fondate, elogiate e raccomandate dall’autorità ecclesiasticha competente.

[86] Can 299 § 2. Tali associazioni, anche se sono lodate o raccomandate dall’autorità ecclesiastica, sono chiamate associazioni private.

[87] Can. 300 —Nessuna associazione assuma il nome di « cattolica », se non con il consenso dell’autorità ecclesiastica competente a norma del can. 312.

[88] § 3. Le associazioni di fedeli fondate dall’autorità ecclesiastica competente sono chiamate asociazioni pubbliche.

[89] Can. 302 — Le associazioni di fedeli si chiamano clericali se sono dirette da chierici, assumono l’esercizio dell’ordine sacro e sono riconosciute come tali dall’autorità competente.

[90] In termini di competenze, il Supremo Tribunale specifica che i ricorsi relativi alle pie associazioni sono di competenza della Congregazione per il clero e non del Consiglio per i laici (Prot.   13782/81 CA)

[91] GIAN-PAOLO II, Esortazione post sinodale Christifideles laici del 30-12-1988 (AAS 81 [1989] 393-521)

[92] Martinez Sistach (cardinal Lluis), Associations of Christ’s Faithful, coll. Gratianus, Montréal, Wilson & Lafleur Ltée, 2008, 24×16, p. 113/174 p.

[93] Navarro (L.), Diritto di associazione, cf. nota 2.

[94] Pagé (Roch), « La reconnaissance des associations de fidèles » in Studia canonica, 19, (1985), p. 332-333.

[95] Pettinato (S.), «Le associazioni dei fedeli: la condizione giuridica dei battezzati», in Il fedele cristiano, Bologna, 1989, p. 234 Citato da P.A. Bonnet, «Recognitio statutorum consociationum privatum», in Periodica 90 (2001) 3-43, p. 41 nota 184.

[96] Feliciani (Giorgio). “Il diritto di associazione e le possibilità della sua realizzazione all’ordinamento canonico”, in Das konsoziative Element in der Kirche. Akten des VI. Internationalen Kongresses für kanonisches Recht, München, 14.-19. September 1987, St. Ottilien, EOS, 1989, pp. 397-418. Citato da P.A. Bonnet, Recognitio statutorum consociationum privatum, in Periodica 90 (2001) 3-43, p. 41 nota 184.

[97] Bonnet (Piero Antonio),  La «recognitio degli statuti delle associazioni private come garanzia di pluralismo nella chiesa» (can 299 § 3 CIC), Periodica 89 (2000) 531-563 e Periodica 90 (2001), p. 3-43.

[98] c. 300 § 3. Nessuna associazione privata di fedeli è ammessa nella Chiesa se il suo statuto non è riconosciuto dall’autorità competente.

[99] Riposte catholique, 23 juin 2017.

[100] ASS (2014), p. 845.

[101] Navarro (Luis) «La tutella giudiziaria dei sogetti senza personalità giuridica canonica» in Studi giuridici XLV, Roma 1977, p. 211-228.

[102] Numero di registrazione (Prot) non indicato Cf. ASS (1989), p. 1218, 9° caso 9ème cas.

[103] Consiglio pontificio per l’interpretazione dei testi legislativi. «Riguardo al canone 299 §3» DC 86 [1989] 214 (doppia traduzione)

[104] Prot. 39305/CA, RR (2007), p. 43-44. «Canon 1311 and followings».

[105] Prot. 48091/13 CA, in Monitor eccelsiasticus, CXXXI (2016), p 37-39.

[106] Echappé (Olivier), «Les biens des associations d’Église», L’année canonique, 47, 2005, p. 51-62.

[107] Notitiae 26 (1990) 711-713 et Ministerium Iustitiae, op. cit., p. 603.

[108] Mbala-Kyé (Achille) « una parrocchia di Yaoundé alla ricerca di autofinanziamento, Rigore di gestione e corresponsabilità », recherches africaines n°3, imprimerie saint Paul Yaoundé, 1998 p. 8.

[109] Bidzogo (Emmanuel), Eglises en Afrique et autofinancement, L’Harmattan, Paris 2006, p. 87 et 88/140.

[110] Forum della famiglia cattolica , http://forumfc.clicforum.com/t2736-Refus-de-la-communion-a-genoux.htm

[111] Ibidem

[112] Cogan (Patrick J.), the protection of rights in hierarchical churches: an ecumenical survey, The Jurist, 46 (1986), p. 227. Tradotto dall’inglese.

[113] Medina Estevez (cardinal Jorge), Notitiae, rivista della Congregazione per il culto divino e la Disciplina dei sacramenti, novembre-dicembre 2002. (doppia  traduzione)

[114] Personalmente, tenderei a pensare che un ricorso gerarchico di contenzioso, in teoria è possibile, ma le sue possibilità di successo in tempi ragionevoli sono minime, cosicchè i diocesani preferiscono spesso la via diplomatica o la via mediatica.

[115] Wackenheim (Charles), Une Église au péril de ses lois, Montréal, 2007, Novalis, p. 27/204 p.

[116] www.canonistes.org/un-pretre-peut-il-mettre-des-conditions-a-linscrition-au-catechisme-et-notamment-le-fait-davoir-paye-le-denier-du-culte/

[117] Il film Spotlight ne è il risultato. Ha ottenuto un oscar al festival di Cannes del 2016 da una giuria che senza dubbio non aveva una posizione molto obiettiva nei riguardi della chiesa cattolica.

[118] Francesco (Papa), lettera apostolica sullo stile del motu proprio: «Come una madre amorevole»

[119] Cf. Apic et KNA, www.news.va/fr/news/les-depenses-faramineuses-de-leveque-de-limbourg-e

[120] Wackenheim (Charles), Une Église au péril de ses lois, Montréal, 2007, Novalis, p. 27/204 p. et Zenit, 8 juin 2017, Anne Kurian

[120]www.canonistes.org/un-pretre-peut-il-mettre-des-conditions-a-linscrition-au-catechisme-et-notamment-le-fait-davoir-paye-le-denier-du-culte/

[120] Il en a notamment résulté le film Spotlight. Celui-ci a obtenu un oscar au festival de Cannes de 2016, par un jury qui n’avait sans doute pas une position très objective par rapport à l’Église catholique.

[120] François (Pape), Lettre apostolique en forme de motu proprio : « Comme une mère aimante »

[120] Cf. Apic et KNA, www.news.va/fr/news/les-depenses-faramineuses-de-leveque-de-limbourg-e

[120] Zenit, 8 juin 2017, Anne Kurian

 

DroitAdministratif

En 2017, la justice administrative de l’Eglise catholique célèbre un jubilé puisque la 2ème section du Tribunal suprême de la Signature apostolique, a été créée le 15 août 1967 en vue de « trancher les contestations nées de l’exercice du pouvoir administratif ecclésiastique »,
célèbre son jubilé après avoir traité près de 1500  causes faisant jurisprudence.

A l’occasion de ce jubilé « Canonistes sans frontières » désire faire connaître la justice administrative  de l’Eglise aux fidèles catholiques pour les aider à faire respecter leurs droits, et pour aider la hiérarchie à faire respecter leurs obligations en vue du bien commun de l’Eglise et de la communion ecclésiale, comme le désirait déjà saint Yves.

D’autres, avant nous, comme Cathy Caridi,  contribuent à vulgariser le droit auprès des fidèles anglophones, avec son site « Canon law made easy » classé autour des rubriques suivantes  : droits des fidèles ; droits des clercs ; vie paroissiale ; éducation catholiquesacrements non-catholiques ; etc.

Canonistes sans frontières  a déjà reçu le support de plusieurs radios et médias qui ont consacré des émissions à la justice administrative de l’Eglise catholique.

Un ouvrage de vulgarisation « La justice administrative de l’Eglise catholique » (Harmattan 2017) a été spécialement écrit pour le jubilé, avec une table des matières, rappelée ci-après, qui  fera l’objet d’articles progressivement mis en ligne   :

  1. Eclairage historique
  2. Principes, organisation et procédures
  3. Les sources de jurisprudence
  4. La justice pour les laïcs
  5. La justice pour les clercs
  6. La justice pour les consacrés
  7. La justice face aux charismes
  8. la justice par Dicastères
  9. Retour sur la procédure
  10. Conciliation et médiation
  11. Propositions pour l’avenir
  12. Conclusions

Prière à saint Yves

DroitDuMariage

Le droit du mariage constitue une part importante du Droit canonique.

Tout en restant fidèle au message du Christ, ce  droit évolue pour s’adapter à l’évolution du monde et des mentalités. Parmi les changements notables signalons notamment :

Pour les canonistes, l’espace réservé aux membres offre en outre des jurisprudences de la Rote romaine traduites en français par l’abbé Jacques Gressier

Bibliothèque numérique de droit canonique

Bienvenue dans la Bibliothèque numérique de  droit canonique

Canonistes sans frontières a commencé à créer une bibliothèque en ligne, destinée en priorité  à ceux qui sont éloignés des bibliothèques de droit canonique ou qui n’ont pas les moyens financiers pour acquitter les droits d’entrée permettant d’y accéder.

Nous avons commencé à collecter des textes du magistère, des thèses et ouvrages de droit canonique en postérieurs à 1983, et nous les avons indexés par mot-clé et par canon pour permettre aux internautes et aux mobinautes, de les retrouver simplement en indiquant le numéro d’un canon dans la barre de recherche.

Nous remercions toutes les personnes de bonne volonté de nous adresser leur mémoire, thèse, articles de droit canonique pour que nous puissions les mettre gratuitement à disposition des canonistes et des fidèles catholiques intéressés.

Nous vous invitons également à faire connaître notre campagne  de collecte et de publication des mémoires et ouvrages de droit canonique

 

Saint Yves

Saint Yves, tant que tu as vécu parmi nous,  tu as été l’avocat des pauvres, le défenseur des veuves et des orphelins, la Providence de tous les nécessiteux.

Écoute aujourd’hui notre prière.

Obtiens-nous d’aimer la justice comme tu l’as aimée.

Fais que nous sachions défendre nos droits,sans porter préjudice aux autres, en cherchant avant tout la réconciliation et la paix.

Suscite des défenseurs qui plaident la cause de l’opprimé
pour que justice soit rendue dans l’amour.

 

(prière trouvée à l’église saint Yves des Bretons à Rome)

 

Informations sur la justice administrative

Emissions radio

Quatre radios catholiques ont déjà publié une émission à propos de la justice administrative de l’Eglise qui célèbre actuellement son 50ème anniversaire :

 

38_Pinto_22fevrier2008

Coram  PINTO

 Incapacité d’assumer

 Bogota (Colombie) – 22 février 2008

P.N. 17.063

Constat de nullité

 __________

PLAN  DE  L’IN  JURE

  1. Incapacité d’assumer et obligations essentielles du mariage
  1. Incapacité d’assumer et communauté de vie conjugale
  1. La nature psychique de la cause de l’incapacité d’assumer
  1. La preuve de l’incapacité d’assumer

__________

EXPOSÉ  DES  FAITS  (résumé)

 Silveriano P., demandeur en la cause, épouse Maria, partie appelée, le 8 janvier 1972. Ils s’étaient rencontrés en 1961. Au moment de leur mariage Silveriano a 24 ans et Maria 23.

 La vie conjugale, sans enfants, connaît l’échec en raison de discordes entre les époux. Douze ans après son mariage, Maria quitte Silveriano.

 Le 11 septembre 1985, Silveriano, désireux de retrouver sa liberté, présente un libelle au Tribunal Régional de Bogota, demandant la déclaration de nullité de son mariage pour incapacité d’assumer les obligations essentielles du mariage, pour des causes de nature psychique, de la part des deux époux ou au moins de l’un d’eux. La partie appelée, convoquée, ne répond pas. Le mari demandeur est entendu, ainsi que des témoins, et une expertise portant sur le mari est effectuée. Le 3 septembre 1987, le Tribunal rend une sentence positive, reconnaissant l’incapacité d’assumer de chacun des époux. Cependant le Tribunal d’appel de Colombie, après un complément d’enquête où est entendue l’épouse partie appelée, infirme, le 28 juin 1990, la décision de la 1° instance.

 Sur appel de la partie appelée, la cause est transmise à la Rote en 1995. A la demande de l’avocat de l’épouse, présentée le 2 mai 1986, deux chefs de nullité, à juger comme en première instance, sont ajoutés : dol de la part du mari pour extorquer le mariage et condition d’avoir des enfants de la part de l’épouse. Une expertise est à nouveau effectuée.

 Nous devons répondre à ces chefs en troisième degré de juridiction.

 *

*     *

EN  DROIT

  1. Attendu qu’il n’y a eu qu’un seul doute, soit un seul chef, présenté et débattu dans les trois degrés de jugement, à savoir l’incapacité des parties d’assumer les obligations essentielles du mariage, auquel les Pères soussignés ont répondu affirmativement dans leur décision, tandis que les chefs de dol et de condition ont été ajoutés inutilement et presque sans fondement en troisième instance, sur la requête de l’avocat commis d’office de l’épouse partie appelée, il n’y a aucune raison, dans cette partie IN JURE, d’étudier ces deux derniers chefs.
  1. Incapacité d’assumer et obligations essentielles du mariage

 C’est le consentement des parties exprimé entre personnes juridiquement habiles qui fait le mariage. Pour qu’il y ait habilité, il faut avant tout que les contractants jouissent de la capacité de comprendre, d’évaluer, ainsi que d’assumer et de donner l’objet du contrat matrimonial.

Pour que le mariage soit déclaré nul, l’incapacité doit exister au moment du consentement, peu important qu’elle demeure éventuellement dans la vie conjugale ou qu’elle disparaisse.

Cette incapacité doit concerner les obligations essentielles du mariage en l’absence desquelles le consentement ne porte sur rien.

On dit que ces obligations sont essentielles, car il faut les distinguer d’autres obligations qui sont considérées comme un complément dans l’alliance conjugale, par exemple une parfaite harmonie entre les parties, ou le succès du mariage, ou la difficulté qu’on appelle aujourd’hui incompatibilité de caractère entre les époux, si l’on regarde le bien des conjoints, étant donné la constante doctrine de Notre Ordre selon laquelle « n’appartiennent pas à ‘l’être’ d’une chose mais plutôt à son ‘bien’ être, les éléments qui rendent plus facile l’exécution des obligations »[1].

 Sans aucun doute, même s’il est difficile de déterminer toutes et chacune des obligations, il faut compter celles qui proviennent des propriétés essentielles du mariage (c. 1056) ou de ses ordonnancements naturels (c. 1055), ainsi que les éléments nécessaires qui constituent l’état matrimonial. Ainsi la jurisprudence reconnaît de façon appropriée que les obligations conjugales essentielles sont contenues dans les trois biens du mariage, c’est-à-dire le bien des enfants, celui du sacrement et celui de la fidélité, auxquels il faut ajouter le bien des conjoints[2], qui requiert une nécessaire connexion entre le mariage in fieri, le mariage-alliance, et le mariage in facto esse, le mariage-état de vie.

  1. Incapacité d’assumer et communauté de vie conjugale

 « La vie conjugale in facto esse, a écrit Mgr Pompedda, c’est-à-dire dans son existence, consiste avant tout en un rapport interpersonnel, où entre les parties précède ou est exigée une saine, c’est-à-dire authentique, structure interpersonnelle. Si donc chez le contractant existait (et est prouvé) un grave défaut d’une telle intégration, celui-là est à considérer comme incapable de comprendre la nature de la communauté conjugale, et par conséquent de porter un jugement sur l’instauration d’une semblable communauté pérenne de vie, et cela tout en restant capable de remplir les autres devoirs qui sont étrangers à une telle intégration intrapersonnelle et interpersonnelle »[3].

Le nécessaire rapprochement entre les deux figures citées, c’est-à-dire le mariage in fieri et le mariage in facto esse, a été l’objet d’une abondante jurisprudence de Notre Ordre bien avant la célébration du Concile Vatican II. On lit par exemple dans une sentence c. Anné, du 22 juillet 1969, « Bien plus, si de l’histoire de la vie du marié, suivant l’avis des experts, il apparaît nettement que chez l’époux, dès avant le mariage, manquait gravement l’intégration intrapersonnelle et interpersonnelle, celui-ci doit être réputé inapte à saisir comme il convient la nature elle-même de la communion de vie ordonnée à la procréation et à l’éducation des enfants qu’est le mariage, et par conséquent incapable, pareillement, de juger et de raisonner correctement à propos de l’instauration de cette communauté définitive de vie avec une autre personne. C’est pourquoi, dans ce cas, fait défaut la discretio judicii qui peut conduire à une décision délibérée valide de la communauté conjugale. Sans aucun doute le sujet peut rester capable de remplir d’autres devoirs qui sont étrangers à cette intégration intrapersonnelle et interpersonnelle »[4].

 Dans une autre sentence, du 25 février 1969, Mgr Anné avait insisté sur « l’intime conjonction des personnes par laquelle l’homme et la femme deviennent une seule chair, et à laquelle tend comme vers un sommet cette communauté de vie. Cela montre que le mariage est une relation avant tout personnelle et que le consentement matrimonial est un acte de volonté par lequel les époux ‘se donnent et se reçoivent mutuellement’ […]. C’est pourquoi le mariage ‘in facto esse’, c’est-à-dire le mariage-état de vie, doit – dans ses éléments essentiels – être recherché comme objet formel substantiel, au moins implicitement et médiatement, dans le mariage ‘in fieri’, c’est-à-dire le mariage-alliance […]. Certes dans le mariage-état de vie peut manquer la communauté de vie, mais ne peut jamais manquer le droit à la communauté de vie »[5].

  1. Orietta Fumagalli Carulli a très bien présenté l’espèce d’incapacité du n. 3 du c. 1095 : « L’autonomie du nouveau chef de nullité est faite. Elle repose sur l’impossibilité de donner l’objet du contrat matrimonial et précisément sur la Règle du droit : ‘A l’impossible, personne ne peut être obligé’, ou sur la règle analogue : ‘Personne n’assume validement une obligation qu’il ne peut pas remplir’. Cette impossibilité dérive ou de quelque maladie, ou d’une anormalité, pourvu qu’elle soit grave, même si elle n’est pas maladive, pour des causes de genres divers, parmi lesquelles sont particulièrement importantes, en plus des anomalies psychosexuelles, l’incapacité de relation interpersonnelle qui existe par exemple dans les cas de grave égoïsme ou narcissisme, et l’immaturité affective »[6]. L’auteur poursuit à propos du concept de maturité interpersonnelle des conjoints : « Comme il me paraît juste, on ne voit pas seulement, dans l’évaluation conciliaire de l’amour conjugal, les raisons pour une considération moins matérialiste du ‘droit au corps’, mais encore celles pour un élargissement de l’objet même du consentement, dans le sens qu’il doit comprendre, outre le ‘droit au corps’, le ‘droit à la communauté de vie’ […]. L’incapacité (dans cette direction) doit être jugée aussi en référence au rapport interpersonnel d’intégration réciproque qu’engendre le mariage et qui est à comprendre comme certainement plus ample et diversement qualifié que le rapport sexuel pourtant nécessaire. L’incapacité, pour donner des exemples concrets, sera à considérer présente dans les formes graves de narcissisme, égoïsme, psychopathies constitutionnelles etc. »[7].
  1. La nature psychique de la cause de l’incapacité d’assumer
  1. De là nous en venons au cœur du problème, c’est-à-dire à la cause de nature psychique de l’incapacité d’assumer les obligations du mariage, pour laquelle ont été versés des flots d’encre ces derniers temps. En fait, l’expression générale « pour des causes de nature psychique » inclut non seulement les psychoses, mais encore les névroses, comme l’immaturité psycho-affective et psychosexuelle, et toutes les anomalies ou situations psychologiques qui attaquent les facultés psychiques.[8]

« Sous la formule ‘de nature psychique’, écrit une sentence c. Monier, du 11 avril 2008, il faut faire remarquer qu’il n’est pas requis par la loi une maladie mentale strictement dite ou une véritable psychopathie, mais qu’il suffit d’une anomalie ou d’un désordre, tirant son origine d’une cause psychique, qui ne rend pas seulement difficile, mais véritablement impossible, la capacité d’assumer les obligations conjugales »[9].

Un maître bien connu nous enseigne : « Les psychopathies, bien qu’elles ne soient pas reconnues comme de véritables maladies mentales, peuvent tellement troubler le sujet ou concerner spécifiquement le mariage ou quelques circonstances du mariage, qu’elles rendent le contractant inhabile à donner un véritable consentement matrimonial »[10].

  1. L’immaturité psycho-affective, dont souffrent largement les jeunes actuels lorsqu’ils se marient, consiste dans une « fixation du processus de l’évolution psycho-affective dans la période de l’enfance avec le mode d’agir propre à cet âge, ou dans une régression vers la période antérieure »[11].

« La difficulté majeure […] est dans l’évaluation de la maturité-immaturité, cette maturité-immaturité qui est grave et qui est en rapport avec les obligations essentielles du mariage du fait que ces termes indiquent une relation dynamique, soit vers une évolution de la personnalité humaine jusqu’à la mort, soit parce qu’ils entrent dans la qualification du tempérament, du caractère, du substrat endothymique de la personnalité, toutes choses qui agissent de diverses façons et inter-agissent dans la même personne, et cela selon les inégalités du temps, d’espace, de culture, de société »[12].

Quelle que soit la nature psychique de la cause de l’incapacité, il faut toujours avoir devant les yeux la distinction entre l’incapacité et la simple difficulté.[13]

  1. La preuve de l’incapacité d’assumer
  1. Quant à la preuve de l’incapacité psychique d’assumer les obligations conjugales, trois éléments sont à examiner : a. la nature, l’origine et le degré de la perturbation psychique ; b. l’existence de la perturbation psychique à l’époque du mariage ; c. l’influence de la perturbation sur le consentement matrimonial.

Cette incapacité est prouvée directement par l’œuvre des experts dans le diagnostic de la nature pathologique de l’anomalie présumée, et indirectement par les faits, circonstances et indices présentés en jugement par les parties et les témoins.

EN  FAIT  (résumé)

La cause présente a débuté en 1986. Elle est parvenue à la Rote en 1995, où en 2005, après le changement d’avocat et le départ pour limite d’âge du ponent, Mgr Serrano, a été nommé le ponent actuel. Les Pères trouvent ce parcours judiciaire vraiment trop long !

  1. Le chef du dol

Quel que soit le problème de la rétroactivité de ce chef, puisque le mariage a été célébré le 8 janvier 1972, donc sous le régime du Code de 1917, le dol n’est absolument pas prouvé.

L’épouse en effet déclare avoir été trompée par son mari, qui lui a caché qu’il était stérile. Les témoins parlent vaguement de cette stérilité, qui reste donc incertaine et dont les actes ne contiennent aucun document clinique. Par contre ils montrent clairement que le mari ignorait son état et les examens médicaux que celui-ci a subis après son mariage démontrent sa bonne foi. Il faut ajouter que Maria a épousé Silveriano contre l’avis de ses parents et parce qu’elle aimait le jeune homme, et qu’après avoir découvert, après son mariage, la stérilité de son mari elle n’a pas quitté celui-ci. Enfin les témoins assurent que l’échec du mariage est dû uniquement à l’infidélité de l’épouse.

  1. Le chef de condition

Ni Maria, ni les témoins, ne parlent de l’apposition, explicite ou implicite, d’une condition de l’épouse sur le rapport nécessaire entre la validité du mariage et la génération d’un enfant. Maria n’avait aucune raison de douter des possibilités et de l’attitude de Silveriano. La séparation définitive des époux, décidée par Maria, est plutôt à attribuer à son amour pour un autre homme.

  1. L’incapacité d’assumer et de remplir les obligations essentielles du mariage, de

la part des deux époux

Les Pères estiment que cette incapacité est uniquement de la part du mari.

En ce qui concerne l’épouse, le demandeur et les témoins n’ont que des déclarations générales et lorsqu’ils parlent de son immaturité, c’est de façon très vague, comme le reconnaît le défenseur du lien lui-même.

Par contre, certains sont plus explicites à propos du mari : « Il n’a aucun sens de la responsabilité qu’il doit avoir », mais c’est peu.

Deux expertises ont été faites, l’une en 1987 par le docteur V., l’autre à la Rote par le professeur Callieri.

Le docteur V. a examiné les actes et interrogé le demandeur. Il indique chez celui-ci un trouble asthénique de la personnalité et considère qu’il n’avait pas au moment du mariage la capacité suffisante d’assumer les obligations essentielles du mariage. Il a d’ailleurs le même avis pour Maria, l’épouse.

Le professeur Callieri a étudié les actes et les conclusions de l’expert de première instance et il se dit certain de la présence d’une anomalie psychique au moins chez le mari : « La structure de la personnalité du demandeur est celle d’une personne de faible niveau intellectuel, d’une faible capacité d’autoréflexion critique, avec une tendance à la carence d’autonomie du jugement et de possibilité de décision […]. Un tel état psychologique est d’origine et de nature constitutionnelle […]. Un tel trouble, de par sa nature spécifique, n’est pas transitoire mais habituel […]. Le désordre psychique du mari […] rendait très difficile, pour ne pas dire proprement impossible, de remplir l’obligation conjugale […] de la réciprocité interpersonnelle de co-appartenance mutuelle ».

Cela étant, les Pères soussignés considèrent que la preuve de l’incapacité de l’épouse n’est pas rapportée, tandis qu’à partir des expertises, des faits attestés, et de la conduite du mari, ils affirment que celui-ci était incapable d’assumer et de remplir les obligations conjugales essentielles.

Constat de nullité

pour incapacité du mari d’assumer les obligations essentielles du mariage

 

 

Vetitum pour le mari

 

 

Pio Vito PINTO, ponent

Maurice MONIER

Jair FERREIRA PENA

 

__________

 

 

[1] C. DORAN, 18 mars 1988, SRRDec, vol. LXXX, p. 176, n. 5

[2] Cf. c. STANKIEWICZ, 23 juin 1988, SRRDec, vol. LXXX, p. 417, n. 5

[3] M.F. POMPEDDA, Nevrosi e personalità psicopatiche in rapporto al consenso matrimoniale, dans Perturbazioni psichiche e consenso matrimoniale nel diritto canonico, Rome 1976, p. 55

[4] C. ANNE, 22 juillet 1969, SRRDec, vol. LXI, p. 865

[5] Dans Il diritto Ecclesiastico, 1970, p. 227 ; cf. c. FERREIRA PENA, 26 mai 2000, SRRDec, vol. XCII, p. 417, n. 7

[6] O. FUMAGALLI CARULLI, Il matrimonio canonico dopo il concilio. Capacità e consenso, Milan 1978, p. 36 sq.

[7] Même endroit

[8] Cf. c. FUNGHINI, 17 janvier 1996, SRRDec, vol. LXXXVIII, p. 16, n. 10

[9] C. MONIER, 11 avril 2008, P.N. 19.673, n. 6

[10] M.F. POMPEDDA, Ancora sulle nevrosi e personalità psicopatiche in rapporto al consenso matrimoniale, dans Borderline, nevrosi e psicopatie in riferimento al consenso matrimoniale nel diritto canonico, Rome 1981, p. 58

[11] C. STANKIEWICZ, 17 décembre 1987, SRRDec, vol. LXXIX, p. 746, n. 9

[12] C. COLAGIOVANNI, 30 juin 1987, SRRDec, vol. LXXIX, p. 466-467, n. 7 et 11

[13] Cf. JEAN-PAUL II, Discours à la Rote, 5 février 1987, AAS, vol. LXXIX, p. 1457, n. 7 ; cf. sentence citée c. MONIER

38_Monier_22mai2009

Coram  MONIER

 Impuissance  relative  de  la  femme

 Gdansk (Pologne) – 22 mai 2009

P.N. 18.345

Constat de nullité

__________

PLAN  DE  L’IN  JURE

Introduction : Consentement et empêchement de mariage

  1. L’impuissance en général
  1. La loi
  2. Les conditions pour que l’impuissance soit un empêchement dirimant
  1. Le vaginisme

 Description du vaginisme

  1. La nécessaire antécédence du vaginisme
  2. La nécessaire perpétuité du vaginisme
  1. La preuve de l’empêchement d’impuissance
  1. Les dépositions des parties
  2. Les certificats médicaux et les expertises

_________

EXPOSÉ  DES  FAITS  (résumé)

 Zbigniew B. et Barbara S. font connaissance en 1967 et se marient le 18 avril 1976.

 Dès le début l’épouse éprouve de la répugnance pour son mari et la consommation du mariage est difficile. Les époux vont alors consulter un gynécologue qui diagnostique chez l’épouse un vaginisme.

 La vie conjugale est malheureuse par suite de discordes entre les conjoints. Enfin l’épouse est enceinte, mais, au motif de ses études à poursuivre, elle se fait avorter. La vie commune devient intolérable et les époux se séparent. Le divorce est prononcé en 1978.

 Désireux de retrouver la paix de sa conscience, le mari, le 25 novembre 1985, présente un libelle au Tribunal ecclésiastique de Gdansk, demandant la déclaration de nullité de son mariage pour simulation de la part de l’épouse et incapacité sexuelle de la part de celle-ci. L’instruction se déroule, avec une expertise. Le 8 septembre 1988 le Tribunal rend une sentence négative sur les deux chefs.

Neuf ans plus tard, le demandeur fait appel auprès du Tribunal de seconde instance de Warmia qui, le 1° décembre 1998, infirme la sentence du Tribunal de Gdansk.

 En troisième degré devant le Tour Rotal, le doute est concordé sous la formule suivante : La preuve est-elle rapportée que le mariage en cause est nul pour impuissance relative de l’épouse, partie appelée ? Un complément d’instruction est effectué, comprenant une nouvelle expertise de l’épouse.

EN DROIT

Introduction : Consentement et empêchement de mariage

 Pour contracter un mariage valide, il ne suffit pas que le consentement soit légitimement manifesté, mais il est requis par le droit que celui qui se marie ne présente aucun empêchement pour satisfaire aux droits et aux devoirs du mariage à donner et à recevoir mutuellement, tant pour le bien des conjoints que pour celui de la génération et de l’éducation des enfants.

A ce sujet Saint Thomas enseignait : « C’est pourquoi, de même que dans les autres contrats il n’y a pas d’obligation qui convienne si quelqu’un s’oblige à ce qu’il ne peut pas donner ou faire, de même il n’y a pas de contrat qui convienne au mariage s’il est fait par quelqu’un qui ne peut pas remplir le devoir charnel conjugal. Cet empêchement est appelé impuissance d’union charnelle, d’un terme général »[1].

  1. L’impuissance en général

 La loi

Le Code Pio-Bénédictin de droit canonique, au c. 1068, décrétait expressément : « § 1. L’impuissance antécédente et perpétuelle, soit de la part de l’homme, soit de la part de la femme, soit connue, soit inconnue de l’autre, soit absolue, soit relative, dirime le mariage de par le droit naturel. § 2. Si l’empêchement d’impuissance est douteux, soit d’un doute de droit soit d’un doute de fait, le mariage ne doit pas être empêché ». Le code actuellement en vigueur n’a rien défini d’autre au c. 1084.

  1. Les conditions pour que l’impuissance soit un empêchement dirimant
  1. Les conditions pour que l’impuissance soit un empêchement dirimant sont l’antécédence et la perpétuité. L’impuissance en effet doit subsister à l’époque de la célébration du mariage, même si elle avait été ignorée, tandis que l’impuissance qui survient pour de nombreux motifs, comme par exemple, un événement traumatisant ou une grave maladie, ne retient pas la note d’antécédence et par conséquent n’influe pas sur la validité du mariage.

Quant à la note de perpétuité, au sens juridique, elle se vérifie lorsque l’impuissance ne peut en aucune façon cesser, c’est-à-dire lorsqu’elle est considérée comme inguérissable.

Il y a une distinction entre l’impuissance organique et l’impuissance fonctionnelle. « Peu importe qu’elle soit absolue, c’est-à-dire par rapport à toutes les personnes de l’autre sexe, ou relative, c’est-à-dire n’existant que par rapport au partenaire »[2].

 Le vaginisme

  1. Description du vaginisme
  1. Parmi les espèces d’impuissance fonctionnelle se trouve le vaginisme, qui provient souvent de l’hyperesthésie de la vulve, soit suite à une tentative de première union sexuelle, soit à partir d’autres causes, en particulier d’ordre psychique. Le vaginisme dont il s’agit est ainsi décrit par le professeur Palmieri : « Une hyperesthésie morbide de la vulve et du canal vaginal, qui à la moindre stimulation se contractent de façon spasmodique, bloquant les voies génitales. A la contraction participent les muscles du périnée, de la hanche et du dos […]. Les tentatives pour vaincre cette situation provoquent des contractions encore plus fortes […]. A l’hypersensibilité locale s’ajoute d’habitude une névrose d’angoisse, c’est pourquoi la simple représentation des souffrances auxquelles l’union charnelle (ou de simples attouchements) l’exposerait provoque parfois chez la femme des crises de convulsion. Il ne manque pas de cas où complètement terrorisées par cette idée, ces malheureuses ont été poussées à des actes désespérés de violence contre elles-mêmes ou leurs conjoints. En substance, le vaginisme est essentiellement considérée (Walthard) comme un complexe de défense, déchaîné par une phobie »[3].

 La nécessaire antécédence du vaginisme

L’antécédence et la perpétuité de ce désordre sont traitées dans une sentence c. Bruno, du 3 avril 1987 : « Pour que soit établie l’antécédence du vaginisme il n’est pas exigé, au mépris de la loi morale, une preuve directe par une expérience prématrimoniale. Il suffit de connaître les causes qui provoquent l’instauration du vaginisme, et de les ramener rétroactivement, si c’est possible, à la période qui a précédé le mariage, parce que l’effet dure au moins tant que subsiste la cause. Un jugement, assez rapide pour un vaginisme secondaire, est beaucoup plus difficile lorsqu’il s’agit de vaginisme primaire. Et en effet, dans le vaginisme secondaire un examen médical peut permettre de déceler des causes anatomiques, qui entretiennent la maladie, et de leur évaluation attentive on remonte plus facilement à l’antécédence de cette maladie […]. Si cependant les causes anatomiques font défaut et qu’il s’agit de vaginisme primaire, la répulsion psychogène, qui explose dans la première tentative d’union charnelle, doit être considérée comme antécédente, puisque la cause est à chercher dans la nature psychique profonde de la femme […].

 La nécessaire perpétuité du vaginisme

En ce qui concerne la perpétuité, le vaginisme secondaire doit être considéré comme étant par lui-même purement temporaire. Cela ressort de sa nature même, parce qu’en général il est guéri par des soins appropriés. En effet son insanabilité ne se vérifie seulement que lorsque la base organique ne peut en aucune façon être écartée. Le vaginisme primaire, dans lequel la cause provient d’une répulsion psychogène absolue, est présumé perpétuel, parce que la science médicale ne peut le guérir dans des circonstances ordinaires […]. En pratique toutefois il faut suivre cette règle : chaque fois que le vaginisme est certain et que sa guérison ne peut pas être obtenue par les moyens ordinaires et licites employés par la science, ou qu’on prévoit qu’elle n’arrivera pas par des moyens ordinaires, il doit être considéré comme perpétuel »[4].


 

 

  1. La preuve de l’empêchement d’impuissance

 

  1. Les dépositions des parties

 

  1. Dans la phase de la preuve, on doit accorder une grande importance aux dépositions des parties et à leur crédibilité. A ce sujet, la Jurisprudence de Notre For fait remarquer : « Dans les causes d’impuissance surtout, les époux sont à entendre avec une très grande attention : il s’agit en effet d’actes qui par leur nature propre s’accomplissent, ou au moins sont tentés, dans le secret du lit, et donc ne sont connus que des époux, hormis Dieu. C’est pourquoi, dans les procès pour impuissance, les dépositions des conjoints, confirmées par le poids du serment, doivent être reconnues à juste titre comme l’argument premier. Celui-ci cependant n’obtient ordinairement la force de preuve pleine que s’il est appuyé par d’autres adminicules et arguments. Le juge formera toujours sa certitude sur le complexe des actes »[5].

 

Il ne manque pas de causes où ce qui est affirmé par une partie est nié mordicus par l’autre qui n’agit que par vengeance ou parce qu’elle s’estime offensée dans sa dignité, étant donné cette question si personnelle. Dans tous les cas le juge doit vérifier avec soin la crédibilité des parties dans leur exposé des faits.

 

  1. Les certificats médicaux et les expertises

 

On regardera comme étant de grande importance « les documents cliniques et toute déclaration, surtout faite à une époque non suspecte, des médecins ou des sages-femmes qui ont soigné le contractant.[6]

 

Il est très nécessaire d’avoir un rapport approprié d’expertise dans le domaine de l’impuissance, comme le statue expressément le c. 1680 : « Dans les causes d’impuissance ou de défaut de consentement pour maladie mentale, le juge utilisera les services d’un ou plusieurs experts, à moins qu’en raison des circonstances, cela ne s’avère manifestement inutile ; dans les autres causes, les dispositions du c. 1574 seront observées ».

 

En ce qui concerne le rôle de l’expert, ce dernier doit renseigner le juge sur les anomalies gynécologiques de la femme, leur nature, leur gravité, leur antécédence, leur possibilité de guérison ou non.

 

Sur l’acceptation par le juge des conclusions de l’expert, une sentence c. Defilippi enseigne excellemment : « Cependant, puisque l’expert est nommé soit en raison de son autorité spécifique en gynécologie, soit pour sa totale honnêteté, soit pour son habitude de traiter des causes devant les Tribunaux ecclésiastique, il ne peut pratiquement jamais arriver que le juge rende sa sentence contre les conclusions de l’expert, si elles sont au moins moralement certaines »[7].

 

A coup sûr, pour établir l’impuissance, comme le tient constamment Notre Jurisprudence, il ne suffit pas de présenter les difficultés dans l’accomplissement des actes conjugaux ; « il est requis la preuve juridique de sa perpétuité, qui n’est établie que si, par des arguments irréfutables et au jugement sûr des experts, aucun remède pour sa guérison ne peut ou ne pourra au cours du temps, dès la célébration du mariage, être utilisé pour supprimer cette impuissance[8] »[9].

 

EN FAIT (résumé)

 

 

La cause est difficile tant en raison des divergences entre les parties qu’en raison du manque de connaissance des témoins, qui s’explique d’ailleurs dans une cause portant sur l’intimité des conjoints.

 

  1. Les déclarations du mari

 

Le mari n’a pas connu les problèmes d’ordre sexuel de sa femme avant le mariage car ils n’ont pas eu de relations charnelles proprement dites à ce moment-là. Par contre, dit Zbigniew, « notre mariage n’a pas été consommé à cause des contractions et des douleurs vaginales qu’avait Barbara. Il y a eu plusieurs tentatives de consommer notre mariage, sur mon initiative, mais à un certain moment Barbara m’a menacé d’appeler la police […]. A cette occasion je me suis rendu compte pour la première fois du vaginisme de ma femme […]. J’ai constaté l’impuissance de ma femme environ deux semaines après notre mariage ».

 

Selon le mari, cet état a duré pendant tout le temps de la vie conjugale, et Barbara n’a pas essayé de se soigner sur ce point.

 

  1. Les déclarations de l’épouse

 

  1. L’épouse ne s’est rendu compte de son vaginisme qu’après le mariage. Elle indique qu’elle est allée consulter un médecin qui a constaté chez elle une structure anatomique normale et qui lui a dit que ses difficultés « résultaient de l’impossibilité ou, peut-être, de la peur de l’union charnelle ». Barbara déclare que ces difficultés ont disparu deux mois après son mariage et qu’elle a eu des rapports sexuels normaux et satisfaisants. Elle ajoute qu’elle a été enceinte mais qu’elle s’est fait avorter en raison de ses études.

 

En troisième instance à la Rote, elle a confirmé qu’elle avait eu des relations intimes normales et complètes.

 

Quelle est la crédibilité de l’un et de l’autre des époux ?

 

  1. En ce qui concerne la vie conjugale, Barbara déclare qu’elle n’a pas été heureuse en raison des infidélités de son mari et que celui-ci, qui est remarié civilement mais qui divorcera sûrement, « est un homme qui n’est pas fait pour vivre dans un mariage normal ».

 

Toutefois les Juges constatent que la conduite actuelle de Zbigniew montre qu’il est capable de mener une vie conjugale heureuse avec sa femme et ses enfants. Les allégations de Barbara à ce sujet ne sont pas conformes à la vérité.

 

  1. Les témoins

 

Deux témoins ont été interrogés. Ils ne savent rien sur l’intimité des conjoints et sur leur rupture.

 

  1. Le certificat médical du gynécologue et l’expertise du sexologue

 

  1. Un gynécologue a examiné l’épouse quatre jours après son mariage et il a diagnostiqué « les manifestations de vaginisme, qui rend impossible d’avoir des rapports sexuels ».

 

  1. Le docteur L., sexologue, a expertisé l’épouse. Il parle d’impuissance de la femme en raison d’un vaginisme, et il estime que cette situation peut se guérir « à condition, toutefois, que les partenaires s’acceptent affectivement ». Il évoque aussi la grossesse de l’épouse, mais « la grossesse est également possible en cas de vaginisme ». Enfin il déclare : « L’épouse affirme que, dès le début de son mariage elle a eu une aversion croissante vis-à-vis de son mari et donc que les conditions pour pouvoir se libérer du vaginisme ont disparu ».

 

En conclusion :

 

Il a manqué chez les conjoints une mutuelle acceptation et, en conséquence, a disparu la condition posée par l’expert pour surmonter l’aversion et en même temps l’impuissance de la part de la femme, conformément à ce qu’avait déjà énoncé la sentence du second degré.

 

Constat de nullité

pour impuissance relative de l’épouse

 

 

Maurice MONIER, ponent

Kenneth E. BOCCAFOLA

Pio Vito PINTO

 

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[1] SAINT THOMAS, Supplément, q. 58, a. 1, sed contra, 2

[2] C. BOTTONE, 4 juin 1999, SRRDec, vol. XCI, p. 441, n. 4

[3] Medicina forense, 1965, p. 58

[4] C. BRUNO, 3 avril 1987, SRRDec, vol. LXXIX, p. 215-216, n. 7-8

[5] C. EWERS, 16 décembre 1974, SRRDec, vol. LXVI, p. 744, n. 5

[6] C. PINTO, 27 octobre 1995, SRRDec, vol. LXXXVII, p. 591, n. 6

[7] C. DEFILIPPI, 17 février 1995, SRRDec, vol. LXXXVII, p. 141, n. 10

[8] Cf. DI FELICE, 31 octobre 1983, SRRDec, vol. LXXV, p. 566

[9] C. BOCCAFOLA, 27 février 1989, SRRDec, vol. LXXXI, p. 153, n. 5

FERREIRA PENA 27/05/2010

Coram  FERREIRA  PENA

 Défaut de discretio judicii

Incapacité d’assumer

 Tribunal ecclésiastique du Portugal

27 mai 2010

P.N. 19.800

Constat pour le défaut

de discretio judicii

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PLAN  DE  L’IN  JURE

  1. NATURE DE  L’ACTE  HUMAIN  DU  CONSENTEMENT
  1. LE DÉFAUT  DE  DISCRETIO  JUDICII
  2. Les hypothèses où se présente le défaut de discretio judicii
  3. Causes du défaut de discretio judicii
  4. Une cause spéciale du défaut de discretio judicii : l’immaturité psycho-affective
  5. L’enseignement du Professeur De Caro
  6. Les conséquences de l’immaturité psycho-affective sur la décision du

mariage

 

III.  L’INCAPACITÉ  D’ASSUMER

  1. Nature de l’incapacité d’assumer
  2. La cause de nature psychique de l’incapacité d’assumer
  3. L’incapacité concerne les obligations essentielles du mariage

 

  1. LE PROBLÈME  DE  L’HOMOSEXUALITÉ
  2. Nature de l’homosexualité
  3. Homosexualité et pratique homo-érotique
  4. L’examen nécessaire de la structure de la personne
  5. L’homosexualité idéopathique et l’homosexualité symptomatique

 

  1. RAPPEL DU  RÔLE  DES  EXPERTS

 

 

*   *   *

 

EXPOSÉ  DES  FAITS  (résumé)

 

Maria A., la demanderesse, et Manuel M., la partie appelée, font connaissance au collège par l’intermédiaire d’une amie de Maria, qui était la « petite amie » de Manuel. Lorsque celui-ci rompt avec sa « petite amie », Maria et Manuel se fréquentent et très vite deviennent amants.

 

Les fréquentations des jeunes gens, qui ne se voyaient pas souvent en raison de l’éloignement de leurs maisons familiales respectives, durent dix ans, interrompus par une semaine de réflexion où Manuel veut faire le point sur leurs relations. Le mariage est célébré le 17 juin 1995.

Pendant la cérémonie religieuse, Manuel fond en larmes. La demanderesse attribue cette émotion à l’absence du père de Manuel, mort quelque temps auparavant et que son fils aimait beaucoup. Ce n’est que plus tard qu’elle donnera un autre sens à ces larmes.

 

Le voyage de noces se passe au Canada. Selon Maria, Manuel a une conduite étrange, négligeant sa femme et étant surtout préoccupé au sujet de son ami Paul, à qui il téléphone après en avoir demandé l’autorisation à Maria, qui trouve curieuse l’attitude de son mari. Maria évite les disputes mais est affectée par le peu de relations conjugales qu’elle a avec Manuel, qui répond aux demandes de son épouse en invoquant sa fatigue et le fait que leur intimité n’est pas nouvelle.

 

La vie commune est en fait très limitée parce que les époux, en raison de leur lieu de travail, ne peuvent se retrouver qu’aux fins de semaine. De plus, quand Maria se déplace pour voir son mari, celui-ci a toujours de bons prétextes pour éviter les rapports conjugaux, et plus d’une fois il va chez son épouse avec son ami Paul.

 

Maria commençait à mal supporter cette vie conjugale difficile, lorsque Manuel lui révéla qu’il avait des relations sexuelles avec Paul et donc lui révéla son homosexualité. Stupéfaite, Maria resta sans voix, tandis que Manuel lui expliquait comment sa relation avec son ami Paul avait progressé. Il lui demanda aussi de garder le secret et d’un commun accord les époux décidèrent de prendre du temps pour réfléchir. Néanmoins la déception de Maria était trop forte et, vers la fin du mois d’août 1996, l’épouse signifia à son mari que leur mariage était terminé.

 

Le 28 novembre 2002, Maria adressa un libelle au Tribunal ecclésiastique du Portugal, demandant la déclaration de nullité de son mariage pour incapacité de son mari d’assumer et de remplir les obligations conjugales essentielles (c. 1095, 3°) et pour grave défaut de discretio judicii, toujours de la part du mari, le rendant incapable d’assumer avec liberté les responsabilités et obligations du mariage (c. 1095, 2°). Le libelle ajoutait le dol, par dissimulation par le mari de son homosexualité afin d’obtenir le consentement matrimonial de la demanderesse.

 

La sentence du 12 janvier 2005 fut négative sur tous les chefs. En appel, où fut réalisée une expertise, les Juges déclarèrent la nullité du mariage selon le c. 1095, 2° et 3°, mais rejetèrent le chef de dol.

 

En troisième instance à la Rote, le doute fut concordé sous la formule suivante : La preuve est-elle rapportée que le mariage en cause est nul pour grave défaut de discretio judicii concernant les droits et les devoirs essentiels du mariage à donner et à recevoir mutuellement, et pour incapacité d’assumer les obligations matrimoniales essentielles de la part du mari, partie appelée (c. 1095, 2° et 3°). Aucune instruction complémentaire ne fut effectuée.

 

 

 

EN  DROIT

 

  1. NATURE DE  L’ACTE  HUMAIN  DU  CONSENTEMENT

 

Le pacte conjugal par lequel se crée entre l’homme et la femme une communauté de toute la vie, ordonnée au bien des époux eux-mêmes ainsi qu’à la génération et l’éducation d’enfants, naît du seul consentement des parties, qu’aucune puissance terrestre ne peut suppléer (cf. c. 1057 § 2 ; 1055 § 1). Le consentement est un acte de volonté par lequel l’homme et la femme réalisent leur mutuelle donation (cf. c. 1057 § 2).

 

Il s’agit, en termes philosophiques, d’un acte humain, c’est-à-dire d’un acte qui procède d’une volonté délibérée, ou, en d’autres termes, qui résulte de la coopération ordonnée des facultés de l’âme humaine rationnelle, soit l’intelligence et la volonté. L’intelligence et la volonté coopèrent dans la réalisation de la décision délibérée du mariage, parce que cette décision délibérée suit un jugement qui n’est pas seulement théorique, mais pratique, c’est-à-dire qui vise non pas une pure énonciation abstraite – dans le cas, au sujet de la bonté de l’institution matrimoniale – mais une estimation concrète de l’opportunité, pour le contractant lui-même, de se marier hic et nunc avec la personne déterminée de son partenaire.

 

A propos du concours des puissances dans la libre décision délibérée de l’homme, comme est celle qui conduit à contracter mariage, nous avons un document magistral de saint Thomas d’Aquin : « Le propre du libre arbitre est l’electio (décision délibérée), du fait, en effet, que nous disons relever du libre arbitre la possibilité que nous avons de recevoir une chose en récusant une autre chose, ce qui est eligere (décider délibérément). Et donc il faut envisager la nature du libre arbitre à partir de l’electio. Pour l’electio il y a le concours de quelque chose de la part de la puissance cognoscitive, et de quelque chose de la part de la puissance appétitive. De la part de la puissance cognoscitive est requis le conseil, par lequel est jugé ce qui est préférable à autre chose ; de la part de la puissance appétitive est requis que soit accepté avec désir ce qui est jugé par le conseil »[1].

 

  1. LE DÉFAUT  DE  DISCRETIO  JUDICII

 

  1. Celui qui est affecté de l’incapacité de jouir de la nécessaire discretio judicii dans la décision délibérée du consentement matrimonial est, de par le droit naturel, inapte à contracter un mariage valide ; ce qui est formellement établi par le c. 1095, 2° ; « Sont incapables de contracter mariage les personnes […] qui souffrent d’un grave défaut de discretio judicii concernant les droits et les devoirs essentiels du mariage à donner et à recevoir mutuellement ».

 

  1. Les hypothèses où se présente le défaut de discretio judicii

 

A la lumière des enseignements cités de la philosophie scolastique, on comprend le large concept que la jurisprudence canonique accueille communément au sujet de la discretio judicii requise pour se marier validement, en affirmant que le défaut de discretio judicii ou de maturité du jugement peut se présenter « lorsque l’une des trois conditions ou hypothèses suivantes se vérifie :

1) ou bien manque la connaissance intellectuelle suffisante de l’objet du consentement à donner lorsqu’on contracte mariage ;

2) ou bien le contractant n’a pas encore atteint l’estimation suffisante proportionnée à l’affaire matrimoniale, c’est-à-dire une connaissance critique apte à ce si grand engagement qu’est le mariage ;

3) ou enfin l’un ou l’autre des contractants manque de liberté interne, c’est-à-dire de la capacité de délibérer avec une estimation suffisante des motifs et une autonomie de la volonté par rapport à toute impulsion interne »[2].

 

  1. Causes du défaut de discretio judicii

 

  1. Il ressort de ce qui vient d’être dit que la discretio judicii requise chez celui qui se marie peut manquer de diverses manières et pour de multiples causes. Parmi celles-ci on compte surtout les graves maladies psychiques ou psychoses, qui affectent profondément les opérations du raisonnement et souvent les détruisent ; ensuite les névroses, ou perturbations de l’anxiété, qui, en engageant le sujet dans des difficultés démesurées, empêchent d’habitude tant la claire vision des choses que la libre détermination à agir ; sans oublier les graves espèces de psychopathie, qui dans certains cas peuvent affecter sérieusement les facultés critiques et électives. Il ne faut pas non plus diminuer le poids de ce qu’on appelle l’immaturité psycho-affective, par laquelle on marque que n’a pas été atteint un degré suffisant de maturité du jugement, en raison de la fixation ou de la régression de la personnalité, pour de multiples raisons, à l’état de l’adolescence ou de la pré-adolescence, dans lequel le sujet manque encore d’une perception objective du monde et place au centre de tout sa personne, son plaisir, son intérêt.

 

  1. Une cause spéciale du défaut de discretio judicii : l’immaturité psycho
    affective

 

  1. a. L’enseignement du Professeur De Caro

 

Le professeur De Caro, psychiatre, a présenté une lumineuse description des manifestations dans lesquelles l’immaturité de la personne est perçue principalement sous son aspect affectif-émotif. Le Maître note parmi elles :

– l’incapacité de réfréner les impulsions des affects et des passions, qui non seulement exercent une influence sur les mœurs de celui qui se marie, mais se portent sur la sphère « noétique », c’est-à-dire la sphère de la perception et du jugement, en viciant d’une certaine façon la faculté critique et estimative elle-même ;

– une trop grande sujétion aux stimulations hédonistes ou érotiques, qui poussent l’individu de façon imprévue et irrésistible, en écartant la maîtrise de la volonté et de la raison ;

– le sens de l’incertitude dans les décisions, une propension à demeurer dans les schémas affectifs propres à l’enfance – par exemple avec la nécessité prépondérante d’adhérer à l’un ou l’autre de ses parents, le plus communément à sa mère ;

– la difficulté d’instaurer des relations interpersonnelles valides et sociales, même dans le domaine du travail, auquel le sujet préfère une vie inepte et vide de sens, ou imbriquée dans des expériences érotiques dangereuses ;

– l’incapacité d’affronter les nouvelles circonstances et de s’adapter à elles, qui comportent l’effort d’une nouvelle organisation, et qui engendrent de l’anxiété et des perturbations émotives ;

– l’incapacité ou le refus d’assumer le mariage comme un lien stable et irrévocable, fondé dans une véritable communauté de vie et dans une pleine et mutuelle oblation de soi ;

– les difficultés de transférer ses forces émotives de la sphère privée-égoïste (et peut-être narcissique) à la sphère publique-sociale.[3]

 

  1. Les conséquences de l’immaturité psycho-affective sur la décision du

mariage

 

Cela dit, il n’est pas bien nécessaire de nous arrêter sur les conséquences de la personnalité immature sur la décision du mariage. En effet, « dans l’immaturité affective, dans laquelle l’intelligence reste normale, ce qui est en jeu, ce n’est pas le jugement théorique, mais le jugement pratico-pratique, dû à l’arrêt ou à la régression du développement de la personnalité, dans son rapport avec l’affectivité.

 

A l’élaboration du jugement pratico-pratique concourent les facultés cognoscitives et les facultés appétitives, avec une causalité simultanée et réciproque. La volonté fera que l’intellect pratique examine et confronte les motifs tant positifs que négatifs pour célébrer ou non ce mariage ; la couleur affective dérivée de la volonté et de l’appétit sensitif présentera le mariage en question comme désirable ou non ; après l’évaluation de la motivation de la part de l’intelligence et de la volonté viendra le choix volontaire. Dans l’évaluation des motifs, doit nécessairement entrer la pondération responsable de ce que, substantiellement, impliquent les devoirs et les droits essentiels du mariage en ce qui concerne la procréation et l’éducation des enfants, la fidélité à l’autre conjoint, la communauté de vie conjugale au moins tolérable, les devoirs à observer durant toute la vie, dans les circonstances du cas concret.

 

Le processus délibératif antérieur exige l’oblativité et la responsabilité de l’adulte […]. L’immature affectif, fixé ou retourné à un stade de développement inférieur, célèbrera le mariage avec la motivation d’un adolescent ou d’un enfant »[4].

 

On ne devra pas omettre également une possible coercition de la liberté interne dont souffre l’individu immature, en raison d’un violent conflit des instincts et des affects, qu’il ne peut absolument pas régler par ses forces psychiques.

 

III.  L’INCAPACITÉ  D’ASSUMER

 

  1. Selon la norme du c. 1095, 3° sont également incapables de contracter mariage ceux « qui pour des causes de nature psychique ne peuvent assumer les obligations essentielles du mariage ».

 

  1. Nature de l’incapacité d’assumer

 

Dans cette troisième hypothèse, l’incapacité prévue par la loi ne vient pas de ce que celui qui se marie est incapable d’exprimer le consentement matrimonial en tant qu’acte, mais de son impossibilité de donner, c’est-à-dire de mener à effet, l’objet du consentement. En d’autres termes, si l’on préfère, l’incapacité ne regarde pas directement l’acte du consentement, mais son effet ; non pas tant le matrimonium in fieri que le mariage in facto esse ; et donc elle regarde l’état conjugal plus que le mariage-acte. Dans l’état conjugal en effet sont à remplir les obligations que le contractant, pour des causes de nature psychique, ne peut absolument pas mettre en pratique.

 

  1. La cause de nature psychique de l’incapacité d’assumer

 

  1. L’origine de cette incapacité est à chercher dans une cause de nature psychique. En d’autres termes, pour prononcer la nullité du mariage, il faut reconnaître, à l’époque de l’émission du consentement, une distorsion significative des fonctions psychiques qui se répercute sur la capacité du contractant de remplir les obligations propres à l’état conjugal, en affectant radicalement cette capacité et en la réduisant à néant.

 

Ne sont pas compatibles avec la cause de nature psychique l’infirmité morale, la paresse ou la mauvaise volonté, le laxisme acquis par l’éducation et des situations semblables. En effet une véritable incapacité ne peut pas dériver de ces facteurs, parce que l’homme de bonne volonté, par l’aide divine qui apporte des moyens surnaturels, peut surmonter, certes avec un effort nécessaire, de tels obstacles. De même il est insuffisant, pour réaliser une véritable incapacité, qu’il y ait de simples déficiences du caractère ou des traits d’imperfection de la personnalité, qui assurément peuvent rendre plus difficile, mais non impossible, l’instauration d’une communauté de vie au moins tolérable.

 

  1. L’incapacité concerne les obligations essentielles du mariage

 

  1. Seule possède une importance juridique, en vue de la nullité du mariage, l’incapacité qui concerne les obligations essentielles du mariage. En effet de nombreuses obligations découlent de l’alliance matrimoniale, mais toutes ne touchent pas à l’essence du contrat, puisque plusieurs visent au bien-être du mariage, c’est-à-dire à sa perfection et à sa réussite. La loi évidemment ne s’occupe pas de ces obligations, puisque le droit naturel veut que celui qui se marie soit apte à célébrer un mariage valide, la question de la réussite de la communauté étant donc mise de côté. C’est pourquoi il faut examiner à fond les obligations essentielles qui, bien qu’elles ne soient pas faciles à recenser, se trouvent sans aucun doute connexes aux fins et propriétés essentielles du mariage. A ce noyau appartiennent celles qui se rapportent à la classique trilogie augustinienne : le bien du sacrement, le bien des enfants et le bien de la fidélité ; mais – sous la conduite également du récent magistère conciliaire et pontifical – il faut aussi compter celles qui ont une relation avec la fin noble et primaire elle aussi du mariage, qu’on a l’habitude d’appeler le bien des conjoints. En effet appartient à l’essence de l’alliance conjugale la donation réciproque de l’homme et de la femme pour constituer entre eux une communauté de vie et d’amour dans laquelle, par l’étroite conjonction des œuvres et des personnes, elles se procurent mutuellement aide et service.[5]

 

  1. LE PROBLÈME  PARTICULIER  DE  L’HOMOSEXUALITÉ

 

  1. Nature de l’homosexualité

 

  1. Un obstacle à l’obtention de cet éminent bien du mariage, c’est-à-dire à la constitution d’une communauté de vie et d’amour entre l’homme et la femme, peut être cette « perversion ou plus justement inversion » de l’instinct sexuel qu’on appelle homosexualité.[6] Cette condition psychique se spécifie par le mouvement exclusif ou prévalent de l’appétit affectif et érotique vers des personnes du même sexe. Il s’agit là d’un état qui comporte de multiples manifestations, sous l’aspect intrapsychique ou externe, c’est-à-dire sous l’aspect de la façon d’agir.

 

  1. Homosexualité et pratique homo-érotique

 

Il faut tout d’abord distinguer la véritable homosexualité de la simple pratique homo-érotique, qui peut être due à des circonstances variées de personnes et de lieux : « autre chose en effet est la constitution viciée, autre chose est l’action homosexuelle »[7]. C’est pourquoi on ne doit pas compter parmi les homosexuels, par exemple, les adolescents qui se livrent entre eux à des jeux érotiques, ou ceux qui tombent dans des pratiques contre nature parce qu’ils sont mis à part, par exemple en prison, ou en bateau, dans des camps etc… Il s’agit dans ce cas d’une homosexualité « de situation, c’est-à-dire d’une homosexualité consciemment et délibérément choisie en raison des circonstances, mais avec la possibilité d’un retour à des relations hétérosexuelles lorsque la situation aura changé »[8]. Il faut de même prendre en compte la pseudo-homosexualité, « qui n’est rien d’autre qu’une anxiété mentale chez des hommes hétérosexuels sur leur prétendue homosexualité à cause de la perte de leur puissance sexuelle, de leur position sociale etc. »[9].

 

  1. L’examen nécessaire de la structure de la personne

 

Pour qu’on puisse parler de véritable homosexualité, il faut examiner la constitution, mieux, la structure de la personne. En d’autres termes, ont de l’importance dans le domaine de l’incapacité « les tendances homosexuelles, qui s’enracinent dans la structure anormale de la personnalité, parce qu’elles sont opposées à l’essence même et aux propriétés du mariage. Elles empêchent en effet ceux qui en souffrent de rechercher l’amour conjugal, ordonné aux enfants, d’user du mariage de manière humaine pour atteindre cette fin, de garder la fidélité dans un lien perpétuel et exclusif et de constituer une communauté de toute la vie ordonnée au bien et à l’intérêt mutuel »[10].

 

D’ailleurs on ne peut pas dire que toute forme d’homosexualité irrite le consentement matrimonial. Il y a en effet des degrés variés de cette anomalie, et « seule une forme grave d’homosexualité, présente au moment de la célébration du mariage et inguérissable, rend le sujet incapable de contracter mariage »[11].

 

On ne doit pas oublier en effet qu’il existe des homosexuels « qui ne répugnent pas absolument aux relations hétérosexuelles et qu’on classe parmi les bi-sexuels »[12]. Lorsqu’il s’agit de ces sujets, l’incapacité « ne dépend pas du degré d’exclusivité de la tendance homosexuelle, de sa cause innée ou acquise, ni non plus de la gravité de cette déviation »[13].

 

  1. L’homosexualité idéopathique et l’homosexualité symptomatique

 

  1. Une autre distinction à faire en ce domaine, et qui est d’une certaine importance, est celle entre l’homosexualité idéopathique, qui atteint la sphère strictement affectivo-sexuelle de la personne et qui vient par elle-même en considération, et l’homosexualité symptomatique, « qui est seulement un symptôme et un effet de certaines graves maladies névrotiques ou psychotiques »[14], ou même psychopathiques »[15].

 

Il résulte de cela que – si éventuellement la déviation de l’instinct sexuel n’est pas si grave, alors que par elle-même elle peut irriter le consentement – la nullité du mariage peut néanmoins être prononcée, compte tenu de la perturbation de la personnalité dont l’homosexualité ne constitue qu’un symptôme ou un indice.

 

Il peut donc se faire que chez un contractant la tendance homosexuelle prise en elle-même manque de signification autonome, c’est-à-dire qu’elle n’atteigne pas une gravité telle qu’elle le rende incapable de réaliser une communauté conjugale au moins possible à vivre, mais que cette tendance soit plutôt l’indice d’une grave immaturité, qui l’aurait privé, dans l’émission du consentement, de la décision convenablement délibérée et suffisamment libre de se marier. Il n’y a rien de remarquable si dans ces cas la nullité est prononcée pour le 2° plutôt que pour le 3° du c. 1095.

 

De façon significative, les récents documents de la Curie Romaine traitant de ce problème de l’homosexualité ont pris l’habitude de relier celle-ci à une grave immaturité[16], ou encore, dans ses formes transitoires, l’ont interprétée comme « l’expression d’un problème … comme, par exemple, celui d’une adolescence non encore terminée »[17] : manifestement, donc, la tendance homosexuelle pourrait se réduire à une forme de fixation ou de régression psycho-affective, comme cela arrive typiquement dans les cas d’une grave immaturité psycho-affective.

 

 

  1. RAPPEL DU  RÔLE  DES  EXPERTS

 

  1. Tous ces éléments, comme il convient toujours de le faire dans les causes d’incapacité[18] sont à rechercher avec l’aide d’experts psychologues ou psychiatres, qui effectueront un examen de la personne ou au moins un examen sur les actes de la cause, et qui instruiront le juge sur l’état psychique du contractant au moment de la célébration du mariage, et surtout sur la gravité des conditions anormales dont il était atteint, et sur l’influx que celles-ci ont eu sur la capacité du sujet d’estimer convenablement, de décider librement et de remplir efficacement l’objet de la promesse matrimoniale.

 

 

EN  FAIT  (résumé)

 

La difficulté de la cause vient de la discordance totale entre les déclarations de l’épouse demanderesse et celles du mari, partie appelée, au sujet de l’homosexualité de celui-ci. Car l’épouse, attribuant l’échec de son mariage à un aveu que lui aurait fait Manuel sur sa propre homosexualité, a négligé d’autres éléments importants, alors que le mari conteste absolument cette homosexualité.

 

Les Juges du Tour ne trouvent aucun signe ou indice qui confirmerait cette homosexualité. Il n’y a que la demanderesse qui en parle, et donc qui doit en apporter la preuve. Les témoins se contentent de rapporter ce que la demanderesse leur a dit. Ils déclarent par exemple que la petite amie de Manuel a assisté à son mariage avec Maria et qu’elle l’a souvent rencontré, mais les actes n’en contiennent aucune preuve.

 

Par contre, le mari présente une grave immaturité et donc la question à trancher tourne autour de sa liberté interne et de l’importance qu’il attribuait au mariage.

 

Les parties ont commencé leurs fréquentations très jeunes et en pleine immaturité, comme l’expose l’expert. De plus les relations entre Manuel et sa mère n’étaient pas normales du fait que le fils était trop soumis à la mère, situation qui a encore empiré à la mort du père. L’expert décrit bien les caractéristiques de la vie familiale après ce décès : Manuel, couvé par sa mère, était incapable de faire face à la vie en général et à la vie conjugale en particulier. Finalement Maria n’était pour lui qu’une « amie » parmi d’autres.

 

Manuel reconnaît qu’avant le mariage son amour pour Maria avait beaucoup diminué, et l’expert voit dans sa décision d’épouser quand même celle-ci un signe d’immaturité. Manuel reconnaît encore que ses relations charnelles avec Maria n’étaient pas l’expression d’un désir spirituel profond.

 

Après le mariage, son attitude a rendu la vie commune difficile. Manuel était resté adolescent, mal préparé à la vie, immature en ce qui concerne la sexualité, instable et léger.

 

Même si l’expert de la Rote s’arroge parfois le rôle du juge lorsqu’il déclare que la gravité de la cause psychique qui frappait Manuel empêchait la discretio judicii nécessaire au mariage, mais encore l’empêchait d’assumer et de remplir les obligations conjugales, nous reconnaissons qu’il a réalisé un travail précieux par son équilibre et son sens des choses.

 

 

Constat de nullité

seulement pour grave défaut de

discretio judicii de la part du mari

 

Vetitum pour le mari

 

Jair FERREIRA PENA, ponent

Robert M. SABLE

Maurice MONIER

 

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[1] SOMME  THEOLOGIQUE, I° pars, q. 83, a. 3, co.

[2] C. POMPEDDA, 25 novembre 1978, SRRDec, vol. LXX, p. 509-510, n. 2

[3] Cf. D. DE CARO, L’immaturità psico-affettiva nel matrimonio canonico, dans L’immaturità psico-affettiva nella giurisprudenza della Rota Romana, Vatican 1990, p. 6-7

[4] J.M. PINTO GOMEZ, L’immaturità affettiva nella giurisprudenza rotale, dans l’Immaturità psico-affettiva nella giurisprudenza della Rota Romana, citée, p. 46-47

[5] Cf. Const. Past. GAUDIUM et SPES, n. 48

[6] Cf. c. POMPEDDA, 6 octobre 1969, SRRDec, vol. LXI, p. 915-924

[7] C. ERLEBACH, 6 mai 1998, SRRDec, vol. XC, p. 361, n. 5

[8] C. STANKIEWICZ, 24 novembre 1983, SRRDec, vol. LXXV, p. 677, n. 7

[9] Même endroit

[10] C. FUNGHINI, 19 décembre 1994, SRRDec, vol. LXXXVI, p. 766, n. 3

[11] C. ERLEBACH, 29 octobre 1998, SRRDec, vol. XC, p. 681, n. 7

[12] C. STANKIEWICZ, 24 novembre 1983, cité, p. 678, n. 9

[13] Même endroit, p. 682, n. 16

[14] C. ANNE, 25 février 1969, SRRDec, vol. LXI, p. 179, n. 8

[15] Cf. J.J. GARCIA FAILDE, Manual de psiquiatria forense canónica, Salamanque 1991, p. 310

[16] Cf. Congregatio pro Educatione catholica, Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio, 29 juin 2008, n. 10

[17] Istruzione della Congregazione per l’Educazione cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini Sacri, 4 novembre 2005, n. 2

[18] Cf. c. 1574, 1680 ; art. 203 et suivants de DIGNITAS CONNUBII