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La giustizia per i clerici

Ecco un estratto del libro sul « La giustizia amministrativa nella chiesa cattolica » (imprimatur del testo francese ricevuto il 11 ottobre 2017)

Capitolo 5: La giustizia per i chierici

 

Secondo i dati al 31 dicembre 2012 e pubblicati nell’Annuario statistico della Chiesa [1], risulta che:

  • i vescovi sono 5 033, di cui 3 917 diocesani;
  • i sacerdoti sono 414 313, con un leggero aumento rispetto all’anno precedente, proveniente dall’Africa, dall’America del sud e dall’Asia [2];
  • i diaconi permanenti sono 42 104, con un aumento proveniente principalmente dall’Europa e dall’America del Nord;
  • I seminaristi erano circa 118 000 nel 2009[3].

I chierici dedicano la loro vita a Dio e alla Chiesa, facendo molte rinunce, di cui quella di una vita familiare con il celibato. E’ un grande dono che i fedeli accolgono, generalmente, con gratitudine. Così, molti fedeli cattolici lavorano con gioia all’interno delle strutture ecclesiali, e la maggior parte delle situazioni conflittuali si risolve con il dialogo e la preghiera.

Tuttavia, a volte, si verificano tensioni che coinvolgono i chierici e i loro superiori. Per chiarirle, dei canonisti come R.G. Huysmans[4] o   Rik Torfs[5] hanno approfondito i diritti e doveri dei chierici, distinguendo:

  • i diritti dei chierici, come i diritti comuni dei fedeli (c. 208-221), il diritto di associazione (c. 278), il diritto ad una giusta remunerazione (c. 281), il diritto alle vacanze (c. 283 §2), ecc.;
  • le legittime aspettative dei chierici, come la sollecitudine del vescovo, il diritto di essere ascoltato (c. 384), la possibilità di una escardinazione (c. 271), l’ottenimento di un ufficio corrispondente alle proprie facoltà (c. 274), andare in pensione (c. 538), ecc.;
  • le legittime aspettative nei confronti dei chierici, come una vita semplice e le opere di carità (c. 282), una certa pratica della vita comune (c. 280), la formazione continua (c. 279), ecc.   
  • I doveri dei chierici, come quello di indossare un abito appropriato (c. 284) o di astenersi da comportamenti vietati (c. 285)

In caso di mancato rispetto di questi diritti e doveri formali o legittimamente attesi, il dialogo è di regola, ma possono verificarsi situazioni in cui il dialogo non è sufficiente e si ricorre alla giustizia della Chiesa. Non disponiamo di informazioni precise sul modo in cui questa giustizia interviene nella pratica, ma abbiamo un’immagine di massima a partire da tre indagini:

  • per i ricorsi amministrativi, l’indagine di Etienne Rozé sui conflitti di una diocesi[6];
  • per i ricorsi gerarchici, l’indagine di James H. Provost presso diocesi americane[7],
  • per i ricorsi di contenzioso amministrativo, l’indagine di Michael Landau[8] presso la Seconda sezione del Supremo Tribunale

Per quanto riguarda le difficoltà incontrate, Etienne Rozé ha fatto un sondaggio nel 2014 nella diocesi cattolica di Nancy-Toul, in cui ha raccolto una cinquantina di testimonianze, di cui presenta una tipologia che riassumiamo di seguito con parole nostre.

  • Il 60% delle difficoltà riguarda i rapporti di una persona autoritaria con un gruppo. Questo avviene particolarmente quando una persona cerca di imporre situazioni diverse ad un gruppo, o quando una persona vede le sue proposte sistematicamente respinte e si sente esclusa. Le donne, in particolare, spesso si sentono usate, abusate e non riconosciute. I gruppi di animazione si lamentano del loro lavoro inutile, poiché quando ci sono decisioni da prendere, spesso è solo il sacerdote che decide: «Tutto si blocca, è lui il parroco».
  • Il 20% delle difficoltà riguarda i rapporti tra due sacerdoti o tra un sacerdote ed il suo vescovo o il vicario episcopale, che a volte sa che c’è mancanza di rispetto per l’autorità del vescovo, per esempio quando alcuni sacerdoti si rifiutano volontariamente di tornare a riunirsi.
  • Il 20% delle difficoltà individuate riguarda i rapporti tra persone giuridiche, che sanno che i rapporti tra strutture diocesane e parrrocchiali sono considerati non facili ed a volte difficili.

Una particolarità propria della Chiesa è il raggruppamento nelle mani della Chiesa dei poteri di governo, giuridici ed anche legislativi di una diocesi, che non facilita la chiarezza delle cose per poi saper distinguere a quale livello si è arrivati… «Ma occorre fare con!», dice Etienne Rozé.

A volte i rapporti si inaspriscono, per esempio a causa di una «carità sdolcinata» che fa in modo che non si osi dire a qualcuno che non è al posto suo[9]. Un’altra questione sollevata è la cattiva comprensione del concetto di autorità, di obbedienza e di potere sia da parte di coloro che hanno l’autorità che da parte della maggioranza silenziosa che a volte tende ad idolatrare il prete, confondendo il sacramento dell’ordine con il potere di governo. Per quanto riguarda i ricorsi amministrativi, gerarchici e di contenzioso amministrativo, ecco quello che ho ricavato dai lavori di Etienne Rozé:

  • il ricorso al Consiglio di mediazione è stato positivo. In molti conflitti menzionati, uno dei protagonisti è garante, agli occhi della gerarchia, dell’ordine canonico nel suo settore, mentre molti laici hanno solo un’idea molto vaga dei diritti. Il mediatore può invitare le parti a manifestare le norme evocate per evitare le false interpretazioni di queste norme, in buona o cattiva fede;
  • un appello ad un’autorità superiore spesso non cambia niente, ossia talvolta rafforza la posizione del curato. L’intervento gerarchico […] quando viene realizzato, non soddisfa affatto, poichè anche se poi la situazione è più chiara, questo intervento tutela solo raramente il rapporto;
  • anche se solo alcune delle situazioni riferite affrontano, ad una prima analisi, un ricorso giuridico canonico, in nessun momento questo modo di risoluzione dei conflitti è menzionato, neppure per respingerlo. Questa dimenticanza può derivare dall’ignoranza, oppure da una ripugnanza nei confronti del ricorso canonico che spesso è considerato, non come una soluzione, ma come «una dichiarazione di guerra».

Sempre a proposito della mediazione, due sacerdoti dell’Africa dell’Ovest hanno segnalato l’importanza della fraternità vissuta all’interno del corpo sacerdotale. Specificano innanzitutto che in Africa, la famiglia ha un valore particolarmente importante, poichè non c’è né assistenza nè pensione, così il sacerdote e la famiglia sono fortemente legati fino alla morte. In pratica, si presentano due casi estremi:

  • la famiglia è contenta che uno dei suoi membri sia sacerdote, allora non esita ad aiutarlo e/o a incitarlo sempre;
  • la famiglia ha valori incompatibili con la vita cristiana, e il sacerdote deve rompere con la sua famiglia, almeno provvisoriamente, per poter esercitare la sua vocazione.

In entrambi i casi, il sacerdote ha bisogno del sostegno dei suoi confratelli, anche i sacerdoti dell’Africa dell’ovest si riuniscono all’interno delle confraternite diocesane, nazionali[10] e regionali[11], per ritrovare una nuova famiglia. Come in una famiglia tradizionale africana, l’unione e la concordia devono essere preservate tra i membri, in modo che le confraternite si dotino di mezzi di mediazione quando si verificano delle tensioni. Ecco un esempio:

Un prete si lamenta davanti al delegato diocesano dell’UCB per avergli imposto di ritornare a casa sua, poichè si è rifiutato di obbedire presentandosi in ritardo al suo nuovo incarico. Il delegato dell’UCB incontra il vescovo e scopre che la situazione è più complessa di quanto sembri, poichè il sacerdote aveva lasciato la diocesi senza permesso, nascondendo l’accaduto al vescovo che peraltro è stato informato. Il delegato può quindi ritornare a vedere il sacerdote invitandolo ad obbedire al suo vescovo, spiegandogli che questi ha motivo di essere arrabbiato con lui.

 

Succede anche che dei vescovi parlano in via ufficiosa delle loro difficoltà con alcuni sacerdoti della diocesi davanti al delegato dell’UCB. Questi in genere va a trovare i sacerdoti in questione per ascoltarli e dare loro dei consigli dopo aver sentito i due pareri, poi invocando la loro causa al vescovo.

Queste associazioni nazionali alle quali l’Europa potrebbe utilmente ispirarsi, sono importanti al punto che, a volte, sono dotate di un segretario a tempo pieno o nominano ufficialmente uno dei loro membri per garantire la comunione ecclesiale. La loro presenza può in parte spiegare il minor numero di ricorsi dall’Africa, senza però riuscire ad evitarli tutti[12].

Per quanto riguarda i ricorsi gerarchici, il rapporto annuale della Congregazione per il clero del 2014 indica che esso è intervenuto per i ricorsi gerarchici, senza precisazioni relative al loro numero, né ad una parte delle decisioni, oggetto di ricorso di contenzioso amministrativo[13].  James Provost[14] ci dà una visione più chiara a partire da due indagini condotte negli Stati Uniti presso tutte le diocesi, riguardo ai ricorsi gerarchici realizzati nel corso degli anni dal 1969 al 1984. Il risultato è il seguente:

  • 36 ricorsi gerarchici sono stati depositati presso la Curia romana nelle 141 diocesi che hanno risposto all’indagine:
  • 28 di questi ricorsi riguardano i sacerdoti, di cui 14 per licenziamenti e trasferimenti di curati, 5 per riassunzione di parroci, 5 per le pensioni dei sacerdoti, ed uno per lo stipendio di un amministratore parrocchiale; 2 per rifiuto di incardinazione, 1 per rifiuto di ordinazione di un diacono;
  • altri 8 ricorsi riguardano religiosi, parrocchiani, parrocchie, insegnamento religioso, cambio padrini;
  • 3 casi su 36 hanno dato luogo ad un ricorso di contenzioso amministrativo.

Per quanto riguarda i ricorsi di contenzioso amministrativo da parte dei sacerdoti e dei chierici, vediamo prima di tutto sul nostro database che, al 15 ottobre 2016, ha registrato 385 ricorsi di contenzioso amministrativo da parte di chierici di cui:

  • 2 ricorsi depositati da un diacono permanente[15],
  • 44 ricorsi depositati da vescovi, in genere contro decisioni della Curia, che hanno dato ragione ad un ricorso gerarchico del loro subordinato[16],
  • 338 ricorsi di sacerdoti contro decisioni del loro vescovo che ritengono sfavorevoli ed ingiuste.

I ricorsi dei chierici sono diretti per lo più contro i decreti della Congregazione per il clero, ma non tutti:

  • 236 sono su decisioni della Congregazione per il clero
  • 68 riguardano la Congregazione per gli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica[17],
  • 17 riguardano la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli
  • 13 riguardano la Congregazione per le Chiese orientali,
  • 10 riguardano la Congregazione per l’educazione,
  • 4 riguardano la Congregazione per la dottrina della fede,
  • 28 sono ripartiti tra gli altri dicasteri, 8 sono per un dicastero non identificato.

Oltre ai raggruppamenti di parrocchie ed alla riduzione di chiese ad uso profano, i ricorsi riguardano principalmente i trasferimenti ed i licenziamenti di sacerdoti, ai quali dedichiamo la prima parte di questo capitolo. Esamineremo in seguito i ricorsi contro altri tipi di decisioni amministrative, ed infine i casi più gravi che sono oggetto di processo penale ma che possono anche essere oggetto di sanzioni amministrative suscettibili di ricorsi.

 

  1. Licenziamenti e trasferimenti di curati

In qualsiasi impresa umana, pubblica o privata con insediamenti territoriali, il contratto di lavoro dei responsabili regionali e locali prevede generalmente clausole di licenziamento e trasferimento a discrezione della gerarchia. Nella Chiesa, queste procedure sono codificate, e sembrano anche essere più protettive dei diritti rispetto a quelle di molte aziende pubbliche e private. E’ pur vero che un trasferimento comporta dei cambiamenti per cui non è sempre facile conciliare il bene comune con gli interessi specifici.

Per quanto riguarda i licenziamenti ed i trasferimenti dei curati, i canoni dal 1740 al 1752, che concludono il codice di diritto canonico del 1983, sono inclusi nel libro VII relativo ai processi, come se essi fossero necessariamente controversi. Labandeira spiega questa caratteristica invitando a capire il titolo latino del libro VII «de processibus» nell’ambito della procedura e non nell’ambito del processo:

Il termine è quindi applicabile a qualsiasi procedimento formale in contraddittorio, giudiziario o amministrativo, stabilito dalla legge per proteggere alcuni diritti o interessi generali o particolari.

Nel diritto particolare, la Conferenza dei vescovi francesi, nonché quelle degli altri paesi [18], ha deciso che «ogni vescovo potrà nominare i sacerdoti per sei anni con possibilità di proroga»[19] , il che dà una certa prevedibilità a tutti e permette di evitare parte dei conflitti. Per quanto riguarda la giustizia in questo settore, ne parleremo a partire dai lavori già citati di James Provost e Michael Landau, ai quali rimandiamo i lettori poliglotti per un approfondimento.

  • I licenziamenti dei sacerdoti

Nel diritto, la procedura di licenziamento di cui ai canoni dal 1740 al 1747 non tende tanto a sanzionare una condotta colposa[20] quanto a permettere al Vescovo maggiore efficienza nel corretto esercizio del ministero parrocchiale all’interno della sua diocesi. In effetti, il c.1740[21] non impone una colpa grave da parte di un curato per il suo licenziamento, ma quando questo avviene prima del tempo stabilito, contro la volontà del titolare, l’autorità che lo decide deve indicare un serio motivo[22], che non è sempre senza difficoltà. Le ragioni che possono portare ad un licenziamento[23] nonchè la procedura da seguire da parte del vescovo sono descritte precisamente nel Codice. Ecco un caso riportato dalla stampa:

Nel maggio 2013, il curato di Megève ha dovuto dimettersi dalle sue funzioni poichè si era rifiutato di lasciare la sua loggia massonica. Dopo aver perso il suo posto e lo stipendio, fa appello alla sua loggia che forma un comitato di sostegno, e anziché fare un ricorso gerarchico, chiede udienza al papa poi pubblica un libro «Être frère, rester père[24]» di cui ecco un passo: L’ingiustizia di cui sono stato vittima mi mette le ali […] il vescovo, prima di buttarmi fuori, mi ha suggerito di ritirarmi in un monastero per pregare e riflettere. Pregare, lo faccio. Riflettere, ci ho pensato. Non rinuncio alla mia libertà di coscienza […] Ho voluto farmi sentire. Ho bussato alle porte. Ho scritto lettere, ho rilasciato interviste, ho supplicato la mia causa. Niente. Non una parola. Non una reazione. Ho fatto valere che un accusato ha diritto [a] difendersi. Niente. Quindi ho deciso di andare a Roma per chiedere udienza al Santo Padre. […] Voglio chiedere la revoca della sanzione che mi colpisce. […] Infine ho appuntamento alla Congregazione per la Dottrina della fede, il luogo cruciale. […] “Inconciliabile, inconciliabile. […] Tutto finito, mi indica l’uscita”.

Nel diritto, i decreti di licenziamento dei curati devono soprattutto essere preceduti da una concertazione preventiva e dalla consultazione di due curati[25]. Se il vescovo mantiene la decisione di licenziamento, il decreto deve indicare il diritto di ricorso del curato contro questo decreto, specificando inoltre che questo è sospensivo[26]. In pratica molti autori sottolineano la necessità per i vescovi di seguire scrupolosamente la procedura, altrimenti il ricorso amministrativo del sacerdote ha molta probabilità di arrivare ad una causa vinta dalla Congregazione per il clero, ovvero dal Supremo Tribunale. Questa causa vinta, d’altronde, non è che provvisoria poiché, in genere, il vescovo riprende la procedura e promulga un nuovo decreto identico o simile al primo, ma questa volta inattaccabile nella forma. Il risultato è soprattutto una confusione dannosa per la comunione ecclesiale nella parrocchia dalla quale il curato è rimosso poi reintegrato, poi di nuovo rimosso.

Un punto della giurisprudenza merita di essere sottolineato in merito al limite di età per un curato. Quando un vescovo impone una regola ai curati relativa all’inizio della pensione ad un’età fissa, come per esempio a 75 anni, la maggior parte dei sacerdoti accetta la regola, ma non necessariamente tutti. Il limite di età, non essendo un motivo conforme ai canoni 1740 e 1741, molti curati licenziati per l’età fatidica, hanno vinto il loro ricorso gerarchico contro la decisione del loro licenziamento. Così la Congregazione per il clero spinge i vescovi a trovare un altro motivo di licenziamento più conforme al canone 1740, o a mantenere il curato al suo posto se non trova un’altra ragione.

In diversi casi sollevati da James Provost[27], il vescovo licenzia un sacerdote per limite d’età. Questi presenta un ricorso gerarchico. La Congregazione convince il vescovo a riconsiderare la sua decisione. In entrambi i casi, il sacerdote muore entro due anni, e ci si può chiedere se la tensione causata dal ricorso gerarchico c’entri in qualche modo.

 

Nel 1994, Dominique Letourneau ritiene che la giustizia ecclesiastica in materia di licenziamenti di curati ha ancora molta strada da fare:

Se i modi e mezzi legali per proteggere i diritti fondamentali sono in gran parte lasciati alla discrezione dell’autorità ecclesiastica, non è più possibile parlare di una reale protezione. Se per esempio si verifica un conflitto per il licenziamento di un curato, possiamo considerare che i diritti dell’interessato sono veramente protetti dalla procedura prevista[28] ? E’ammesso dubitarne. […] I ricorsi sono insufficienti e la sensibilità manca presso i giudici[29]. Inoltre il c. 221 §2 non è redatto in modo adeguato. Il diritto fondamentale in questione è il diritto di essere ascoltato in giudizio entro un termine ragionevole da un tribunale imparziale [30].

Alcuni sviluppi circostanziali sono presentati da Michael Landau, ma la vastità del suo libro (416 pagine) e la lingua utilizzata (tedesco) fanno rinunciare ad esporlo in dettaglio, incitando i lettori interessati a leggerlo, o a porre delle domande specifiche on line nella parte professionale del sito www.canonistes.org.

  • I Trasferimenti

 

Mutatis mutandis, la procedura di trasferimento dei curati è trattata nei canoni dal 1748 [31] al 1752. La giurisprudenza ha specificato tra l’altro, i punti seguenti:

  • ai sensi del canone 1747 § 3, un contenzioso amministrativo sospende effettivamente la nomina di un nuovo curato[32],
  • a partire dal 1981, il Supremo Tribunale ha accettato alla discussione[33] diverse cause in cui alcuni vescovi avevano presentato ricorso contro delle decisioni della Congregazione per il clero che avevano invalidato i loro decreti relativi al trasferimento dei sacerdoti. Secondo Zénon Grocholewski[34], tali situazioni sarebbero inconcepibili nella giustizia civile ma possibili nella Chiesa? Poiché gli Ordinari hanno un proprio potere che li rende responsabili davanti a Dio e non li fa dipendere dalle Congregazioni[35].

Si noterà che la procedura non menziona il trasferimento dei sacerdoti in quanto sono solo vicari, né del trasferimento dei vescovi. Per questi ultimi, segnaliamo «che tra aprile 2005 e ottobre 2012, Benedetto XVI ha accettato 78 dimissioni di vescovi, quasi uno ogni mese», in applicazione del c. 401 § 2:

can. 401 – §2: Il vescovo diocesano che per infermità o altra grave causa risultasse meno idoneo all’adempimento del suo ufficio, è vivamente invitato a presentare la rinuncia all’ufficio[36].

La procedura di licenziamento dei vescovi non è specificata, ma a volte dà luogo a controversie che la stampa commenta[37].

Il 13 gennaio 1995, un comunicato della Santa Sede annuncia che il Santo Padre Giovanni Paolo II ha tolto dal governo pastorale della diocesi di Evreux (Francia) sua Eccellenza Mons. Jaques Gaillot[38], trasferendolo alla sede titolare di Partenia[39]. Lo stesso giorno un secondo comunicato della Santa Sede afferma che «il prelato non si è dimostrato idoneo a svolgere il ministero di unità che è il primo dovere di un vescovo [40]». Il decreto di trasferimento emesso dalla Congregazione dei vescovi non è stato reso pubblico, tuttavia, secondo Francis Mesner e Giovanni Werkmeister, non si tratta di una rinuncia poiché Mons. Gaillot è stato ricevuto il 12 febbraio 1995 dal prefetto della Congregazione dei vescovi, ed ha rifiutato di dimettersi, nonostante la richiesta del prefetto. Non è una sanzione penale, dal momento che non c’è stato un processo, né un licenziamento ipso iure. Non è nemmeno un trasferimento contro la volontà del titolare poiché si tratta di una sede e non di un ufficio. Rimane il licenziamento per decreto amministrativo della Congregazione, che è senza dubbio la decisione adottata, probabilmente motivata da una rottura della comunione ecclesiale. Il decreto non essendo approvato in forma specifica dal papa, sarebbe soggetto ad un ricorso di contenzioso amministrativo, ma a quanto pare non si è verificato.

I trasferimenti dei sacerdoti religiosi hanno ulteriori caratteristiche evocate nel capitolo seguente.

  1. Le sanzioni amministrative

 

Oltre ai trasferimenti e licenziamenti di curati che sono oggetto di una procedura particolare, esistono altri tipi di sanzioni nell’ambito della normale procedura dei ricorsi (c. 1742-1739). Fortunatamente, numerosi casi si risolvono con il dialogo, come si può constatare per un caso particolarmente interessante, riportato da Rik Torfs[41]:

Nel 1992, Rik D., curato di Buizingen, nella diocesi di Malines-Bruxelles, pubblica un libro intitolato De laaste dictatuur[42], che riscuote molto successo in Belgio nel momento in cui critica apertamente la Santa Sede ed il Papa. Mons. Daneels, arcivescovo, lo incontra due volte, ed entrambi accettano di emettere un comunicato stampa congiunto, nel quale l’arcivescovo difende il Papa, mettendo in evidenza alcuni errori storici del libro, mentre il sacerdote difende la sua libertà d’espressione in quanto fedele cattolico, pur ribadendo la sua sottomissione al Papa e all’arcivescovo per la conduzione della sua diocesi. Il caso rimane lì.

 

Questa procedura è coerente con quella che il cardinale Ratzinger evocava nel 1985[43], sfortunatamente le cose non sono andate sempre così.

 

  • Incardinazione e escardinazione

 

Senza entrare nei dettagli delle pubblicazioni specializzate[44], ricordiamo che una volta ordinato, il nuovo chierico è incardinato ad una Chiesa specifica o ad un istituto che ha questa facoltà, in conformità al canone 265:

Ogni chierico deve essere incardinato […] in modo che non ci siano assolutamente chierici acefali o senza collegamento

In conformità al canone 267[45], questa incardinazione detta “di origine”, può essere modificata con una incardinazione detta “derivata”, che richiede un atto amministrativo con una lettera di escardinazione del vescovo della diocesi di origine detto a quo ed una lettera di incardinazione del vescovo della diocesi di arrivo detto ad quem. Quando uno dei due vescovi non vuole firmare l’autorizzazione necessaria spesso si verificano difficoltà che la giurisprudenza del Supremo Tribunale[46] consente di regolare in parte:

Can. 268 — §1. Il chierico che si trasferisce legittimamente dalla propria Chiesa particolare in un’altra, dopo cinque anni viene incardinato in quest’ultima per il diritto stesso, purché abbia manifestato per iscritto tale intenzione sia al vescovo diocesano della Chiesa ospite, sia al vescovo diocesano proprio e purché nessuno dei due abbia espresso un parere contrario alla richiesta entro quattro mesi dalla ricezione della lettera.

Tuttavia, i conflitti continuano a verificarsi:

Padre xxx, dottore in teologia, è incardinato in una diocesi in Africa. Attualmente è in Francia senza ministero e senza reddito, a causa di una controversia che l’ha contrapposto al suo vescovo tre anni fa, e che descrive in questi termini: «al centro del problema c’è la gelosia tra gli attuali giovani vescovi: pensano erroneamente che se un prete ha un dottorato ed è ammesso all’insegnamento in un istituto cattolico, sarà automaticamente candidato all’episcopato: è questa falsa idea che mi ha contrapposto al suo precedessore […], il defunto Monsignore ha categoricamente rifiutato di raccomandarmi e mi ha fatto molto male: la mia cultura mi vieta di parlare male dei morti, preghiamo per lui e perdoniamo… Gli uomini muoiono, La Chiesa rimane». Attualmente è un sacerdote acefalo e chiede la mediazione dei  «Canonisti senza frontiere» per ristabilire il dialogo con il nuovo vescovo che non risponde alla sua richiesta di escardinazione in Francia[47].

 

Ecco un secondo caso anche dall’Africa:

Un prete ricopre per molto tempo un incarico di curato di parrocchia con responsabilità presso la Conferenza dei vescovi in un paese dell’Africa centrale. La situazione si deteriora con il nuovo vescovo che, secondo lui, vive nel lusso e non si preoccupa della sorte dei suoi sacerdoti e seminaristi, per cui molti dei quali lasciano per mancanza di mezzi di sussistenza. Una missione della Curia romana ispeziona la diocesi, ed il vescovo colpevolizza il sacerdote considerando questo episodio come un’ingerenza. Il prete è preso di mira a tal punto che la sua vita è in pericolo. Parte per studi con il tacito accordo del suo arcivescovo ma senza accordo formale del suo vescovo. Dopo aver festeggiato l’anniversario della sua ordinazione, celebrando una messa a Montmartre, telefona ai suoi colleghi africani, i quali gli riferiscono che il suo vescovo ha detto in un sermone che è stato sospeso per un anno. Non ha mai ricevuto direttamente alcuna informazione del suo vescovo su questo argomento.

 

In entrambi i casi di cui sopra, i preti in questione non hanno scelto di fare ricorso, ma al di fuori dell’Africa, altri lo fanno[48], a volte vincendo la causa:

un prete, essendo stato incardinato a forza in un’altra diocesi, ha fatto ricorso al Supremo Tribunale ed ha vinto la causa[49].

Invece, alcuni vescovi sono comprensivi ed accolgono nella loro diocesi dei sacerdoti non escardinati, preferendo «la salvezza delle anime» alla legge.

 

  • Rifiuto o revoche di autorizzazioni

Come per i laici, esiste un certo numero di ricorsi di sacerdoti che non hanno ricevuto l’ufficio che speravano[50], o che si sono visti togliere quello che avevano ricevuto[51].

Per quanto riguarda l’accesso agli ordini sacri, la gerarchia a volte pensa che un candidato non abbia le qualità richieste, in particolare nel caso di comportamenti sessuali devianti, per cui a volte vengono presentati ricorsi per la non ammissione all’esercizio degli ordini sacri[52], o per un rifiuto d’incardinazione[53].

Nella maggior parte dei casi non viene formulato nessun ricorso ma rimane una sensazione di ingiustizia:

un giovane seminarista recentemente si è visto rifiutare l’ingresso nel ciclo teologico dal suo seminario, dopo 2 anni di filosofia, 2 anni di missione e un anno di formazione in parrocchia. Il presunto motivo di questo rifiuto è dovuto al fatto che questo giovane seminarista, ben integrato nella sua diocesi, che aveva ricevuto molte opinioni positive, aveva adottato il rito della comunione in bocca e in ginocchio, in un seminario ritenuto fortemente contrario[54].

 

Il prete dopo essere stato ordinato, riceve normalmente le autorizzazioni e gli uffici che corrispondono alle sue capacità ed ai bisogni della diocesi. In caso di problemi, questi uffici gli possono essere tolti con un particolare decreto amministrativo. Questo può comportare tensioni che portano ad un ricorso straordinario o ad una mediazione, poi in caso di insuccesso, ad un ricorso gerarchico ossia ad un ricorso di contenzioso amministrativo.  Così la Segnatura Apostolica viene regolarmente chiamata a conoscere dei ricorsi contro rifiuti o revoche di autorizzazione a confessare[55], a predicare[56], a insegnare[57], a svolgere un ufficio[58], ecc.

A volte questi rifiuti e restrizioni all’esercizio del ministero sacerdotale si basano sul canone 223 § 2[59]  che consente all’autorità di regolare l’esercizio dei diritti specifici per i fedeli, invocando il bene comune. La giurisprudenza del Supremo Tribunale richiede che questo principio generale non venga applicato in modo arbitrario, ma che la sua applicazione poggia su altre leggi canoniche come il canone 835 §1, affidando ai Vescovi il compito di esercitare ma anche di «moderare» la funzione della santificazione nella loro diocesi[60]. Ecco un esempio di giurisprudenza[61]:

In un processo penale un prete è sotto arresto domiciliare in virtù del canone 1722. Il sacerdote è assolto, ma un decreto amministrativo mantiene l’arresto domiciliare e il divieto di celebrare i sacramenti al di fuori di un’abbazia, in virtù dei canoni 223 §2; 764 e 974. Il 22 luglio 2013 il sacerdote deposita un ricorso gerarchico e il 9 settembre 2013 la Congregazione per il clero conferma l’arresto domiciliare ma chiede uno stipendio decente per il sacerdote. Quest’ultimo deposita un ricorso di contenzioso-amministrativo, che è respinto dal Segretario del Supremo Tibunale il 19 febbraio 2014 per una manifesta mancanza di fondamento. C. Begus[62] ritiene che questa decisione si basi sui canoni 223 §2 e 835.

 

Ecco un altro esempio:

Un prete, avendo commesso atti sessuali sui minori, è inviato in un centro medico per una valutazione e per un trattamento. Gli esperti fanno una prognosi ottimistica circa il suo comportamento. Nonostante questo, il vescovo del luogo lo dichiara inadatto ad esercitare correttamente l’esercizio del prete, in conformità ai canoni 1041 e 1044§2. Ne deriva un ricorso, in cui il Collegio dei padri conferma il 4 maggio 1996 la legittimità della decisione del vescovo, senza chiudere la porta ad una sua ulteriore decisione[63].

 

Il caso di un prete canonista dimostra che il diritto canonico offre talvolta dei mezzi di difesa importanti a coloro che sono attenti ai particolari.

Il 5 luglio 2000, il prete cattolico, professore di diritto canonico Mons. R.G. Huysmans conclude un «partenariato registrato [64]», con una teologa, Dottssa …., tuttavia senza vivere con lei e senza rompere il suo voto di celibato. Anche se questa situazione non è prevista dalla legge canonica, il vescovo di Rotterdam non può applicare i canoni 1394 (matrimonio) o 1395 (concubinato) per sospenderlo latae sententiae[65], né procedere per analogia, poichè i canoni 221 §3 e 18 prevedono una stretta interpretazione della legge. Il 1° giugno 2001, pubblica un decreto che vieta ai preti di contrarre un «partenariato registrato» ma la legge non si applica a lui poiché non è retroattiva. Dopo una trattativa infruttuosa, il vescovo emette un nuovo decreto il 1° dicembre 2002, ordinando ai preti che hanno stipulato «un partenariato registrato» di scioglierlo prima del 1° maggio 2003, pena la sospensione latae sententiae, per disobbedienza dei trasgressori al vescovo.  Mons. Huysmans chiede al Tribunale civile di sciogliere il suo «partenariato registrato» per obbedienza al suo vescovo, ma il tribunale respinge questa motivazione[66]. Rendendosi conto che le condizioni non sono mature per la sospensione latae sententiae, il vescovo avvia un processo penale, che siccome le condizioni d’imputabilità e di colpa previste dal canone 1321 § 1 non sono unite, il «partenariato registrato» di Mons. H. con la signora N. rimane in vigore.

In questo caso, constatiamo che il vescovo non ha emanato un decreto particolare, suscettibile di ricorso di contenzioso amministrativo, ma due decreti generali non soggetti a ricorso.

 

  • La perdita dello stato clericale

 

Il canone 290 specifica in quali condizioni un chierico, prete o diacono può perdere lo stato clericale[67]. Parleremo dei casi in cui questa perdita proviene da una decisione amministrativa risultante dal n. 1 o 3 di questo canone, o quando, avendolo perduto, l’ha ricoperto in conformità al canone 293[68]. Per capirne l’importanza, ecco alcune statistiche dei dicasteri competenti[69]:

  • Nel 2015, la Congregazione per il clero ha registrato 771 richieste di esenzione dagli obblighi di ordinazione sacerdotale, ripartite come segue:
Diocesani Religiosi Totale
Preti 400 (52 %) 264 (34 %) 664 (86 %)
Diaconi 76 (10 %) 31 (4 %) 107 (14 %)
Totale 476 (62 %) 295 (38 %) 771 (100 %)
  • Nel 2010, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, competente ai sensi del canone 290 n°1 [70], specifica anche la procedura applicabile[71]. Contiene in totale 115 dispense dagli obblighi sacerdotali, di cui 54 per i sacerdoti di età superiore ai 40 anni, 25 per i preti sotto i 40 anni e 2 per i preti in pericolo di morte. Concede anche 34 dispense per i candidati agli ordini sacri.
  • La Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli dispone di competenze «nei territori posti sotto la sua sorveglianza[72]», con facoltà particolari per i preti[73]
  • La Congregazione per la dottrina della fede, competente nei casi più gravi, compresi i casi di pedofilia, interviene anche in condizioni di cui parleremo più avanti.

 

In giurisprudenza, il RP Mendonça[74], parla di quattro ricorsi gerarchici nei quali la Congregazione per il clero dà ragione ai richiedenti contro decisioni amministrative di perdita dello stato clericale.

Frate X, presenta un ricorso contro un atto amministrativo del 7 agosto 1998 per il quale il suo ordinario gli ha tolto lo stato clericale, con una decisione amministrativa senza aver rispettato la procedura prevista dal canone 1720 al 1722. La Congregazione per il clero gli dà ragione, impone all’ordinario di ridargli immediatamente il suo ministero sacerdotale e di versargli la retribuzione che avrebbe percepito se fosse rimasto al suo posto

 

Mendonça osserva che la Congregazione per il clero esamina i ricorsi gerarchici dal lato canonico e non pastorale, quindi molte decisioni danno ragione ai richiedenti, per errore di procedura. Pertanto, la Congregazione per evitare che si ripetino, raccomanda ai vescovi di applicare per analogia la procedura di indagine preventiva in materia penale di cui al canone 1717, anche se, formalmente, il Codice non lo impone per decisioni amministrative:

Can. 1717 §1. Ogniqualvolta l’Ordinario abbia notizia, almeno probabile, di un delitto, indaghi con prudenza, personalmente o tramite persona idonea, sui fatti, le circostanze e sull’imputabilità, a meno che questa investigazione non sembri assolutamente superflua.

 

Allo stesso modo, Javier Canosa fa riferimento alla sentenza del 31 ottobre 1992 (Prot. 22571/91 CA), in cui il Supremo Tribunale annulla la decisione amministrativa di un vescovo confermata dalla Congregazione per il clero, che vietava ad un prete l’esercizio pubblico del sacerdozio ministeriale, in assenza di processo penale, imponendo un ritorno alla posizione precedente.

 

Data la pluralità delle congregazioni in questione, accade che il Supremo Tribunale sia sollecitato per la scelta della congregazione competente

Nella sentenza Prot. 32108/01 CA del 18 marzo 2006[75], la Segnatura Apostolica giudica che, la Congregazione per il clero non è competente per decidere se un Ordinario può togliere ad un sacerdote il diritto di predicare (c. 764), o di confessare (c. 974). In caso di ricorso, e competente la Congregazione per la dottrina della fede, soprattutto quando un sacerdote e coinvolto in un reato grave

 

  • Gli atti più gravi

 

In questi ultimi anni, al centro della cronaca ci sono i casi di pedofilia che coinvolgono i preti. La Conferenza dei vescovi di Francia (CEF) ha istituito una unità permanente per la lotta contro la pedofilia dotata di un sito internet destinato alle vittime [76]. Nel 2017, la CEF pubblica delle statistiche dichiarando che su 222 vittime, più del 60% delle testimonianze riguarda i fatti avvenuti prima del 1970, il 35 % riguarda i fatti avvenuti tra il 1970 ed il 2000 ed il 4% riguarda delle aggressioni commesse dopo gli anni 2000. Se si crede a queste cifre, nella Chiesa francese si è verificato un miglioramento sano, ed è lecito chiedersi se il diritto e la giustizia ecclesiastica ci sono per qualcosa.

All’inizio del periodo studiato, la legge in vigore risulta dal Codice del 1917 e dalle istruzioni del Santo Uffizio «Crimen sollicitationis» del 1922. Nel 1983, il canone 194 specifica che può essere revocato da ogni ufficio ecclesiastico. Il 25 giugno 1988, l’articolo 52 del Pastor bonus conferma la competenza della Congregazione per la dottrina della fede riguardo ai reati contro la fede o nella celebrazione dei sacramenti, e competenza riguardo ai «reati più gravi»:

Art. 52— Giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengono ad essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o ad infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio.

Tadig Fulup fornisce una stima del loro numero nel mondo:

Tra il 1975 ed il 1985, non è stato segnalato nessun caso di pedofilia a Roma, […] dal 2001 al 2010, su 3000 accuse di preti o di religiosi per reati commessi in questi ultimi cinquant’anni, il 60% riguarda un’attrazione per gli adolescenti dello stesso sesso (ebetofilia), il 30% un’attrazione eterosessuale, il 10% riguarda ragazzi in età prepuberale, pedofili in senso stretto, cioè 300 su 400 000 preti diocesani e religiosi nel mondo, ossia lo 0,075 %.[77]

Per i reati di pedofilia e per gli altri reati più gravi, l’articolo 52 del Pastor Bonus e l’articolo 8 delle norme sostanziali[78] stabiliscono la Congregazione per la dottrina della fede come Supremo Tribunale per i reati più gravi

  • 1. La Congregazione per la dottrina della fede è il Supremo Tribunale apostolico per la Chiesa latina nonchè per le Chiese orientali cattoliche in materia di giustizia dei reati di cui agli articoli precedenti

La Congregazione si comporta anche come un dicastero poichè l’articolo 21 delle norme sostanziali sopracitate prevede due procedure amministrative, una per decreto straordinario (art 21 §2 1°) e l’altra per presentazione al Santo Padre (art 21 §2 2°):

  • 1. I reati gravi riservati alla Congregazione per la dottrina della fede devono essere perseguiti per processo giudiziario.
  • 2. Tuttavia, la Congregazione per la dottrina della fede può legittimamente:

1° nei casi particolari, decidere d’ufficio o su istanza dell’Ordinario o della Gerarchia di procedere per decreto extragiudiziale di cui al canone 1720 del Codice di diritto canonico e al canone 1486 del Codice dei Canoni delle Chiese orientali, tenendo conto, tuttavia, che le pene espiatorie perpetue sono inflitte per mandato della Congregazione per la dottrina della fede;

2° deferire direttamente i casi più gravi alla decisione del Sommo Pontefice, per la revoca dello stato clericale o la deposizione con dispensa dalla legge del celibato, quando il reato è chiaramente riconosciuto e dopo aver concesso al colpevole la possibilità di difendersi[79].

Contrariamente alle sue decisioni giudiziarie, le decisioni della Congregazione prese in conformità all’articolo 21 §2 1° sono suscettibili di ricorso di contenzioso amministrativo, il che è necessario per proteggere le persone accusate.  Il 2 dicembre 2010, Mons. Arieta, attira l’attenzione della Congregazione per la dottrina della fede sui rischi di debordamento delle procedure amministrative a scapito del diritto di difesa delle persone incriminate o semplicemente sospette:

Sforzarsi di semplificare ulteriormente la procedura giudiziaria per infliggere o dichiarare delle sanzioni così gravi come le dimissioni dallo stato clericale, o anche, modificare la norma attuale del canone 1342 § 2, che vieta in questi casi di procedere per decreto amministrativo extragiudiziale (cf. can. 1720), non sembra affatto auspicabile. Infatti, da un lato, il diritto fondamentale di difesa sarebbe messo in pericolo – in cause che riguardano lo stato della persona -, mentre, dall’altro lato sarebbe favorita la tendenza dannosa correlata alla poca conoscenza o stima del diritto – al cosiddetto governo «pastorale» equivoco, che in fondo non ha nulla di pastorale, poichè porta a tracurare il necessario esercizio dell’autorità a scapito del bene comune dei fedeli[80].

Conviene innanzitutto proteggere le potenziali vittime da recidive da parte dei preti pedofili. Tra l’altro è anche importante proteggere le finanze delle diocesi, che possono essere chiamate a risarcire i danni[81]. In questa doppia prospettiva, molti vescovi chiedono che i preti che hanno scontato pene per reati di pedofilia, non debbano più essere ammessi all’esercizio del ministero sacerdotale, anche se non hanno fatto richiesta di dispensa. Di conseguenza, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti rende meno rigida la procedura di dispensa in casi simili[82].

 

Inoltre, la Congregazione per la dottrina della fede, interviene in diversi ricorsi relativi alla situazione finanziaria dei preti condannati, o alla ripresa del ministero sacerdotale da parte dei preti condannati molto tempo prima per reato di pedofilia.

Così, nel 2003, la CDF autorizza un vescovo ad acconsentire a questo ritorno «a condizione che non rappresenti un rischio per i minori e non crei uno scandalo tra i fedeli» [83].

 

Con il pretesto di proteggere le vittime, ed a volte le finanze della Chiesa, ci sono situazioni in cui il diritto di difesa dei preti accusati è svantaggiato.

Ci sono casi di preti che, secondo loro, sono stati dimessi dallo stato clericale contro la loro volontà, senza aver avuto la possibilità di esprimere il loro parere e senza nemmeno sapere che era stata avviata una procedura contro di loro[84].

Tali situazioni non sono limitate all’America.

Anche se si dichiarava non colpevole in una diocesi civile, un prete è condannato per pedofilia nel 2005 dalla giustizia francese, e sconta la pena prevista dalla legge civile. Alla sua uscita di prigione, il vescovo invia alla congregazione per la dottrina della fede un parere favorevole per la prosecuzione del suo ministero, che fa in un’altra diocesi, non senza un accompagnamento ecclesiastico creato per prudenza. Tutto procede bene fino a novembre 2009, quando il vescovo gli invia una lettera della Congregazione per la dottrina della fede[85], chiedendogli circa il suo possibile desiderio di abbandonare il sacerdozio. L’8 dicembre 2009, risponde che secondo lui, non c’è nessuna ragione che giustifica le sue dimissioni dallo stato clericale. Il 18 dicembre, scrive al papa per chiedergli di vivere fino alla fine, con uno spirito di riparazione e con la gioia di essere sacerdote. Qualche tempo dopo, il vescovo gli notifica la decisione presa alcune settimane prima da Papa Benedetto XVI di togliergli lo stato clericale e di liberarlo da tutti gli obblighi ad esso connessi, di cui il celibato [86]. Allora presenta un ricorso al prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, lamentandosi di non essere stato ascoltato, né di sapere di cosa era stato accusato, di non aver avuto la possibilità di difendersi, e riceve una breve risposta dal prefetto fondata sul canone 1404 [87]: «Questo non è di nostra competenza!». L’indomani, lascia la diocesi[88] e, molto tempo dopo, si sposa, anche se questo non era quello che voleva.

Questo caso non è isolato, ma frequente secondo le intenzioni del vescovo di Nizza riportate da Tadig[89] Fulup:

Ogni venerdì mattina, la CDF faceva firmare al Papa una serie di decreti che riportavano sacerdoti allo stato laico[90].

Tuttavia diverse pubblicazioni lasciano pensare che questo modo di operare non è soddisfacente:

  • nel 1983, il canone 1342 §2 specifica che non è possibile imporre una condanna a vita senza un processo penale;
  • nel 1988, Rev. Bertram F. Griffin, J.C.D. solleva la difficoltà di applicare il c. 1395 ai preti pedofili a causa della clausola d’imputabilità che richiede l’intervento di esperti, ma conclude sulla possibilità di farlo se si è pronunciato un processo civile.

Nel 1991, Thomas J. Green, JCD ritiene che i canoni sulle dimissioni dallo stato clericale hanno lo scopo di difendere il popolo di Dio contro gli atteggiamenti offensivi di alcuni preti mentre Gregory Ingels, J.C.D. insiste sul fatto che queste dimissioni non possono essere imposte con un decreto amministrativo ma: 1° con una dispensa concessa dal Santo Padre su richiesta del prete in questione, , 2° con una pena espiatoria pronunciata in base al c. 1336 §1 5°, e 3° con la riconoscenza della nullità dell’ordinazione in base ai canoni 1708-1712. In conclusione ci si potrebbe chiedere se non si stia passando da un periodo di incuria e di segretezza ad un periodo di precauzione, dove si punisce senza necessariamente garantire che i diritti di difesa dei preti siano stati rispettati. Fortunatamente ci sono casi in cui il ricorso di contenzioso amministrativo, associato ad altre procedure, permette di ristabilire i diritti di un prete condannato ingiustamente.

Un sacerdote della diocesi di Calgary ha presentato due ricorsi al Supremo Tribunale, di cui un ricorso di contenzioso amministrativo classico ed un ricorso contro una decisione penale della Rota. Ecco alcuni punti di riferimento su questa epopea giuridica:

  • il 2 maggio 1889, il tribunale penale secolare di Calgary condanna un prete al carcere per presunto abuso contro una ragazza. E’ condannato in prima istanza e fa appello contro la decisione.
  • Poco dopo, il nuovo arcivescovo di Calgary priva il prete dei ministeri di predicazione, nonchè della celebrazione pubblica della messa, e gli ordina di allontanarsi dalla diocesi e di cessare ogni contatto con un gruppo di persone. Il prete accusato presenta un ricorso grazioso poi gerarchico contro quest’atto amministrativo particolare.
  • l’8 novembre 1989, la Congregazione per il clero rigetta il ricorso, poichè l’arcivescovo dichiara di avere intenzione di avviare un processo penale. Il prete presenta allora un ricorso di contenzioso amministrativo al Supremo Tribunale.
  • Il 30 gennaio 1991, il Tribunale civile di appello assolve il sacerdote «per inesistenza dei fatti».
  • Il 27 aprile 1990, l’arcivescovo avvia il processo penale per vari reati, di cui un peccato contro il sesto comandamento e disobbedienza al vescovo.
  • Il 30 gennaio 1991, il giudice canonico penale ritiene che le prove non si possono collegare all’esistenza di reati di cui è accusato padre A. Il promotore di giustizia fa ricorso alla Rota contro questa sentenza.
  • Il 14 novembre 1992, il Congresso del Supremo Tribunale dichiara la nullità dell’atto della Congregazione per il clero del 8 novembre 1989, sostenendo che essa ha violato la legge poichè non era competente per trattare un ricorso gerarchico, a causa del processo penale in corso di progettazione
  • Il 29 marzo 1994, la Rota ritiene, senza ulteriori indagini, che il giudizio penale del 30 gennaio deve essere riformato parzialmente, ma devono rimanere le sanzioni interdittive di permanenza nel territorio della diocesi, di insegnare, di predicare e di celebrare pubblicamente la messa. Il prete presenta poi un ricorso contro questa decisione.
  • Il 21 febbraio 1996, il Collegio conferma la decisione del Congresso del Supremo Tribunale ritenendo che la Rota è competente e che il diritto di difesa è stato rispettato.
  • L’appello in seguito è continuato alla Rota davanti ad un consulto coram Burke poi coram Pinto, che, il 21 febbraio 1997 concorda sul dubbio con la seguente formula: «la sentenza della Rota del 29 marzo deve essere confermata o infirmata?» Viene allora istituita una commissione rogatoria da Mons. Caberletti
  • Infine, la Rota dichiara: «le prove non segnalano l’esistenza di reati di cui è accusato Padre A. Di conseguenza è completamente assolto. L’Arcivescovo di Cagliari è pertanto invitato ad utilizzare i mezzi adeguati per ridare a Padre A. le sue precedenti funzioni e la sua buona reputazione.

 

  • Le altre controversie riguardanti i chierici

 

Ci sono molti altri casi di controversie amministrative riguardanti i sacerdoti.

In Francia, un caso frequente riguarda il diritto alla pensione dei sacerdoti che hanno lasciato il loro ministero sacerdotale volontariamente o non. In Francia, l’associazione per una pensione adeguata (APRC) attiva dal 1979 affinchè gli assicurati del regime di culti beneficino di una protezione sociale degna di questo nome, considera che nel 2017 ci sia ancora una lunga strada da percorrere.

Oltre al caso dei dipendenti delle associazioni cattoliche, menzionato nel capitolo introduttivo, possiamo citare il caso di cappellani ospedalieri o militari, nonché dei dipendenti della curia diocesana a volte rifiutati.

Un militare che è stato promosso vice cancelliere di un ordinariato militare viene rimosso dal suo incarico all’arrivo di un nuovo cancelliere. La Congregazione per il clero rifiuta il suo ricorso gerarchico ed il Supremo Tribunale rigetta il suo ricorso di contenzioso per mancanza di fondamento perché l’arrivo di un nuovo cancelliere è una ragione giudicata sufficiente in virtù del c. 485; la causa di espulsione non è considerata diffamatoria e la sussistenza della vittima non è in discussione poiché il suo stipendio continua ad essere pagato dall’esercito[91].

Un altro tipo di caso da segnalare è quando i sacerdoti rilevano una violazione della legge da parte del loro superiore. Infatti, a causa della loro posizione, i sacerdoti spesso sono i primi ad essere informati degli scandali interni alla Chiesa. E’ quindi importante che la giustizia li protegga per non farli tacere, per paura di entrare in conflitto con il superiore da cui dipendono, ma abbiano il coraggio di denunciare l’ingiustizia in un ambito adeguato, affinchè lo scandalo non faccia allontanare i fedeli, e l’immagine della Chiesa non sia offuscata da questioni portate in pubblica piazza o davanti alla giustizia secolare.

A volte, però, Dio consente processi pubblici, come nel caso di San Paolo a Gerusalemme e Roma (Atti 23:21), e più recentemente con Don Lorenzo Milani (1923-1967):

Don Lorenzo Milani, fondatore della Scuola di Barbiana presso Firenze, sperimenta un metodo di istruzione per i più poveri, basato sull’amore dei giovani e l’obiezione di coscienza al sistema di sfruttamento dei poveri dai ricchi. I suoi detrattori lo accusano di deriva comunista, di pedofilia e di apologia della violenza. Muore il 26 giugno 1967, tra la sentenza di primo grado che lo assolve e la sentenza di ricorso che pronuncia la fine della controversia per morte dell’accusato. Il 20 giugno 2017 Papa Francesco va alla sua tomba, riconoscendo la sua innocenza e lodando il suo amore per la Chiesa, «con la franchezza e la verità, che possono anche creare tensioni, ma mai fratture, né abbandoni».

Tali conflitti sono inevitabili ma, come ricorda la Bibbia, , «guai all’uomo per cui lo scandalo avviene!» (Matteo 18-7).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] www.eglise.catholique.fr/vatican/statistiques-de-leglise-dans-le-monde/ consultato il 15 ottobre 2016.

[2] In Francia nel 2015, si contano circa 10 000 sacerdoti con meno di 75 anni di cui quasi 2000 provengono dall’estero.

[3] Informazione pubblicata

[4] Huysmans (R.G.W.) «De positie van de clerus in de nieuwe Codex» in R. Torfs (ed); Het nieuwe kerkelijk recht. Analyse van de Codex Iuris Canonici 1983, Louvain, Peeters, 1985, 206-208.

[5] Torfs (Rik), Rights and legitimate expectations of clercics, Corso tenutosi alla facoltà di diritto canonico di Louvain e di Strasburgo, 2014 .

[6] Rozé (Etienne) Structure diocesaines, parroisses et médiation – réflexions à partir de la situation du diocèse catholique de Nancy et Toul, tesi del diploma universitario di mediatore, Institut Catholique de Paris, IFOMENE, promozione 2014-2015.

[7] Provost (James H.), “Recent experiences of administrative recourse to the Apostolic See”, in The Jurist, 46 (1986), p. 142-163.

[8] Landau (Michael), Amtsenthebung und Verzetzung von Pfarrern. Eine Untersuchung des geltenden Rechts unter besonderer Berücksichtigung des Rechtsprechung der Zweiten Sektion des Höchsten Gerichts der Apostolischen Signatur, Frankfurt, Peter Lang, 1999, 416 p.

[9] Gandhi stesso diceva che, se occorresse assolutamente fare una scelta tra la violenza e la codardia, consiglierebbe la violenza.

[10] Es.; L’Unione del Clero Beninese (UCB) o l’Unione fraterna del Clero Ivoriano (UFRACI).

[11] Es.: l’Unione regionale dei Sacerdoti dell’Africa dell’Ovest – URPAO

[12] Abbiamo sentito parlare di un sacerdote del Benin, che stava portando avanti i suoi studi in Europa senza il consenso del suo vescovo. Dopo le ammonizioni canoniche previste, il vescovo lo avrebbe sospeso ed il sacerdote avrebbe presentato un ricorso gerarchico contro questa decisione ed avrebbe scritto un libro, che non abbiamo ritrovato, per condividere la sua testimonianza.

[13] La Congregazione  inoltre precisa che ha svolto un lavoro di vigilanza sulla corretta amministrazione dei beni ecclesistici e istruito alcune richieste di riabilitazione al ministero di sacerdote e diacono permanente, nonchè 708 richieste di dispensa da obblighi provenienti dall’ordinazione sacerdotale, di cui 304 provenienti da sacerdoti, 69 provenienti da diaconi diocesani, ossia circa il 60%, e 208 provenienti da sacerdoti e 27 provenienti da diaconi membri di istituti di vita consacrata e di società di vita apostolica, ossia circa il 40%.

[14] Provost (James H.), “Recent experiences of administrative recourse to the Apostolic See”, in The Jurist, 46 (1986), p. 142-163.

[15] Tra le 710 cause recensite al 15 settembre 2016, ne è stata individuata solo una, il cui ricorrente è identificato con una sola causa proveniente da un diacono, vale a dire la causa  Prot. 48485/14 CA, segnalata nella relazione di attività della Santa Sede per l’anno 2014. Sappiamo solo che è stata esaminata dal Congresso il 29 ottobre 2014 a seguito di una precedente questione con riferimento 48421/13 VAR il cui oggetto di discussione era «Praecepti regrediendi in diocesim».

[16] Tra le 714 cause recensite al 15 ottobre 2016, il cui il ricorrente è identificato, 43 provengono da vescovi. Vertono su diversi argomenti come riduzione di chiese ad uso profano, esercizio del ministero sacerdotale, questioni di proprietà, revoca di un ufficio, trasferimento di curati e di superiori generali ecc.

[17] Tratteremo questi casi relativi ai ricorsi per religiosi.

[18] Australia, Canada, Gambia, Libéria, Sierra Leone, Irlanda, Filippine, USA per sei anni o l’India e la Nigeria per un periodo determinato lasciato alla libera discrezione dei vescovi. Secondo Thomas Paprocki in  New commentary on the Code of Canon Law, Beal, Coriden, Green, CSLA, p. 1845/ 1852.

[19] Decreto generale del 13 giugno 1984, nel Bollettino ufficiale della Conferenza episcopale, 29, 1984, p. 444.

[20] Il licenziamento e il trasferimento possono essere accompagnati da censure e pene espiatorie (c.1331-1338 ). Inoltre, il licenziamento avviene di pieno diritto per le cause enumerate al c. 194.

[21] Can. 1740 — Quando il ministero di un parroco per qualche causa, anche senza una sua colpa grave, risulti dannoso o almeno inefficace, quel parroco può essere rimosso dalla parrocchia da parte del vescovo diocesano.

[22] Can. 193 — § 1. Non si può essere rimossi dall’ufficio che viene conferito a tempo indeterminato, se non per cause gravi e osservato il modo di procedere definito dal diritto. § 2 . Lo stesso vale perché dall’ufficio, che a qualcuno è conferito a tempo determinato, uno possa essere rimosso prima dello scadere di questo tempo, fermo restando la disposizione del c. 624, § 3.

[23] Can. 1741 — Le cause, per le quali il parroco può essere legittimamente rimosso dalla sua parrocchia, sono principalmente queste:

1) il modo di agire che arreca grave danno o turbamento alla comunione ecclesiale;

2) l’inettitudine o l’infermità permanente della mente o del corpo, che rendono il parroco impari ad assolvere convenientemente i suoi compiti;

3) la perdita della buona considerazione da parte di parrocchiani onesti e seri o l’avversione contro il parroco, che si prevede non cesseranno in breve;

4) grave negligenza o violazione dei doveri parrocchiali, che persiste dopo l’ammonizione;

5) cattiva amministrazione delle cose temporali con grave danno della Chiesa, ogniqualvolta a questo male non si può porre altro rimedio.

[24] Vésin (Pascal) Être frère, rester père. Prêtre ou franc-maçon: pourquoi choisir ? Paris 2014, presses de la renaissance.

[25] E’ una consultazione alla quale il prete in questione non è necessariamente invitato. Non si tratta,  quindi, di una mediazione.

[26] C. 1747 §3: finchè il decreto di licenziamento è in corso, il vescovo non può nominare un nuovo parroco, ma nel frattempo provvederà all’incarico di un amministratore parrocchiale. .

[27] Provost (James H.), “Recent experiences of administrative recourse to the Apostolic See”, in The Jurist, 46 (1986), p. 142-163.

[28] Can. 1742 §1. Il vescovo ne discuterà con due sacerdoti scelti nel gruppo previsto a tale scopo in maniera stabile dal consiglio presbiterale su proposta del vescovo.

[29] Hervada (Javier), Pensamientos de un canonista en la hora presente, Navarra Gráfica Ediciones, Pamplona, 2004. p. 129.

[30] Letourneau (Mgr. Dominique c.s.), «Quelle protection pour les droits fondamentaux et les devoirs des fidèles dans l’Église?», Studia canonica, 28 (1994), p. 59-83.

[31] Can. 1748 —Se il bene delle anime oppure la necessità o l’utilità della Chiesa richiedono che un parroco sia trasferito dalla sua parrocchia, che egli regge utilmente, ad un’altra o ad un altro ufficio, il vescovo gli proponga il trasferimento per iscritto e lo convinca ad accettare per amore di Dio e delle anime.

[32] Recursadversus amotionem a paroecia effectum habet suspensivum quoad nominationem novi parochi in declaratio Prot 193 periodica 60 (1971) n° 2, p. 348. Vedere anche Prot 193/70; Prot 3211/72.

[33] ASS (1981) p. 1139.

[34] Grocholewski (Zenon), «L’autorità amministrativa come ricorrente alla ectionaltera della Segnatura Apostolica», Appolinaris 55 [1982) 752-779.

[35] Lumen Gentium 21.

[36]  Bourdin (Anita),  Rome, 1 agosto 2013 (Zenit.org)

[37] Hiebel (Giovanni-Luc), «L’affaire Gaillot, les médias et le droit» in RDC 45, 1995, p. 101-118.

[38] Revue du droit canonique (RDC), tome 45/1, Strasbourg 1995, p 74-162.

[39] Antica diocesi di Algeria, scomparsa sotto la sabbia alla fine del V secolo

[40] Mesner (Francis) et Werkmeister (Giovanni), les aspects canoniques de l’affaire Gaillot, in RDC 45, 1995, p. 75-82.

[41] Torfs (Rik), «L’affaire Gaillot et la liberté d’expression» in RDC 45, 1995, p. 83-94.

[42] Devillé (Rik), De laaste dictatuur. Pleidooi voor een parochie zonder paus, Louvain, Kritak, 1992, 224 p.; «La dernière dictature. Plaidoyer pour des paroisses sans papa», Anvers, Coda, 1992, 221 p.

[43] Cf. Chapitre 8: ricorso relativo alla Congregazione per la dottrina della fede

[44] Reyes Vizcaino (Pedro Maria) «la excardinacion e incardinacion del clérigo» Ius canonicum, on line consultata il 15 dicembre 2016. Ciongo Kasangana (Augustin), «L’incardination des clercs, histoire et canonicité» tesi di master sostenuta all’Istituto cattolico di Parigi l’8 settembre 2016.

[45] Can. 267 — §1. Perché un chierico già incardinato sia incardinato validamente in un’altra Chiesa particolare, deve ottenere dal vescovo diocesano una lettera di escardinazione sottoscritta dal medesimo; allo stesso modo deve ottenere dal vescovo diocesano della Chiesa particolare nella quale desidera essere incardinato una lettera di incardinazione sottoscritta dal medesimo.

[46] Prot 9375/77 CA, comunicationes 10 (1978) 152-158.

[47] Richiesta di mediazione proposta a « Canonisti senza frontiere » il 26 luglio 2016

[48] Prot. 9375/77 CA; Prot. 22865/91 CA; causa citata nel ASS (1991) p. 1303; Prot. 27338/96 CA;

Prot. 41703/08 CA; Prot. 47893/14 CA; Prot. 48640/13 CA).

[49] Prot. 9375/77 CA Labanderia (Edouardo), IC 21/41 (1981) 393-417; Communicationes 10 (1978) 152-158

[50] Can. 145 — L’ufficio ecclesiastico è qualunque incarico, costituito stabilmente per disposizione sia divina sia ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spirituale.

[51] La perdita di un ufficio può dipendere in particolare dalla fine del tempo previsto per la nomina a tale ufficio, dal limite di età del titolare, dalla libera rinuncia, dal trasferimento ad un altro ufficio (c. 190-191) o per licenziamento (c.192-195).

[52] Prot. 34180/02 CA contro un rifiuto di ammissione agli ordini sacri

[53] Prot 9375/77 CA.

[54] Riposte catholique, 29 agosto 2017.

[55] Prot. 1063/69 CA citato da D’Ostilio (Frederico), Dizionario degli Instituti di perfezione, V8, p 1247); Prot 2207/71 CA ou 36823/05 CA

[56] Prot 38098/06 CA

[57] Prot 10977/79 CA ou 15573/83 CA.

[58] Prot. 185/70 CA, relativo ad un ufficio di decano in ME (1973) 1-4, p. 303; Prot 6023/74 CA;

[59] Can. 223 — §  2. En considération du bien commun, il revient à l’autorité ecclésiastique de régler l’exercice des droits propres aux fidèles. Ce canon fait l’objet d’une abondante jurisprudence.

[60] Conseil Pontifical pour les textes législatifs, «Note explicative. Eclaircissements pour l’application du canon 223 §2», 8 décembre 2010, Communicationes, 42 [2010], 280-281.

[61] Prot. 48563/13 CA, in Monitor eccelsiasticus, CXXXI (2016), p 21-26

[62] Begus (Cristian), Commento / Note – Decretum , 48563/2013 CA. Monitor ecclesiasticus, CXXXI (2016), p. 27-36.

[63] Prot 23737/92 CA, note de Mgr Joseph Punderson, Ministerium iustitiae, op. cit. p. 383-387.

[64] Tipo di patto civile di solidarietà (Pacs) olandese, utilizzato per esempio tra persone dello stesso sesso o tra fratello e sorella che gestiscono insieme una fattoria.

[65] La situazione è differente da quella di Mons. Vernette, in Francia, che non ha concluso un PACS ma un matrimonio civile, celebrato a Tolosa il 24 luglio 2002 con la signora Liliane Josette Moncelon.

[66] La legge olandese prevede due casi di annullamento, vale a dire il consenso reciproco, che la donna ha rifiutato in questo caso, e la rottura irrimediabile del rapporto che Mons. Huysmans si rifiuta di sostenere, poichè crede che non sia il caso e che non abbia il diritto di mentire.

[67] Can. 290: L’ordinazione sacra, una volta validamente ricevuta, non è mai annullata. « Un chierico perde lo stato clericale 1° con sentenza giudiziaria o decreto amministrativo che dichiara la nullità dell’ordinazione sacra; 2° con la pena di licenziamento legalmente imposto; 3° con un rescritto della Sede Apostolica; ma questo rescritto è concesso dalla Sede Apostolica ai diaconi per gravi motivi ed ai preti per motivi molto gravi »

[68] Can. 293: Il clero che ha perduto lo stato clericale non può essere di nuovo iscritto tra i chierici, se non con un rescritto della Sede Apostolica.

[69] Attività della Santa Sede 2015, Libreria editrice vaticana, p. 725.

[70] Can. 290, 1°, De regulis servandis ad nullitatem ordinationis declarandam, 16 octobre 2001, in Notitiae, 2002, vol . XXXVIII, pp. 15-26; AAS [XCIV, 2002, Vol. 1, pp. 292-300.

[71] Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti: «Lettera circolare agli ordinari diocesani ed ai superiori generali degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica» in La documentation catholique, 94, 1997, p. 824-825.

[72] Cf Pastor Bonus, art 85-92.

[73] Durante l’Assemblea plenaria di febbraio 1997, la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli ha chiesto al Santo Padre facoltà speciali per consentirle di intervenire, per via amministrativa, in situazioni penali specifiche, e questo, in margine  alle disposizioni generali del Codice. Queste «facoltà» sono state aggiornate e ampliate nel 2008, ed altre, di natura simile, sono state concesse successivamente alla Congregazione per il clero. www.vatican.va/resources/resources_arrieta-20101202_fr.html

[74] Mendonça (R.P. Augustine), The Bishop as the Mirror of Justice and Equity in his Particular Church: Some Practical reflexions on Episcopal Ministry, intervento presentato a Halifax alla conferenza annuale (21-24 ottobre 2002) della Canadian Canon Law Society.

[75]Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Coram Cacciavillan, Exercizio del mistero sacerdotale (Ecc.mo Vescovo diocesano Cogregazione per il clero), Prot. n° 320108/01 CA du 18 mars 2006, in Ius Ecclesiae, XXIII, 2011 n° 3, p. 651-668;

[76] http://luttercontrelapedophilie.catholique.fr/

[77] Fulup (Tadig), Tout est bien, Nantes 2014, ed. Les sentiers du livre, p. 157-158.

[78] Congregazione per la dottrina della fede: Nuove norme sui reati più gravi, articolo 8, 15 luglio 2010, www.vatican.va/resources/resources_norme_fr.html

[79] Ibidem.

[80] Arieta (Mgr Juan Ignacio), Le cardinal Ratzinger et la révision du système pénal canonique: un rôle déterminant, www.vatican.va/resources/resources_arrieta-20101202_fr.html

[81] Negli Stati Uniti, un giudice federale ha approvato, lunedì 9 novembre 2015, un piano di fallimento per la diocesi di Milwaukee, che gli consentiva d’indennizzare molte centinaia di vittime di abusi sessuli da parte di membri del clero. Nel mese di dicembre 2015, la diocesi cattolica di Duluth (Minnesota) è fallita per poter risarcire le vittime di abusi sessuali. E’ la quindicesima diocesi americana in questa situazione. http://www.la-croix.com/Urbi-et-Orbi/Monde/Etats-Unis-un-nouveau-diocese-en-faillite-a-cause-des-abus-sexuels-2015-12-09-1390748

[82] Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, lettera circolare del 6 giugno 1997, in Origins 27, (1997-1998), 169-172.

[83] Morrisey (Rev. Francis G.), « Penal Law in the Chirch today: Recent Jurisprudence and Instructions » in Advocacy Vademecum, edito da Patricia M. Dugan ed. Wilson & Lafleur, Collection Gratianus, Montréal 2006, p. 49-66.

[84] Morrisey (Rev. Francis G.), «Penal Law in the Church today: Recent Jurisprudence and Instructions» in Advocacy Vademecum, edito da Patricia M. Dugan ed. Wilson & Lafleur, Collection Gratianus, Montréal 2006, p. 59, tradotto dall’inglese.

[85] CDC Prot 458/03-30624.

[86] CDC Prot n° 458/2003.

[87] Can. 1404 — La Prima Sede non è giudicata da nessuno.

[88] Fulup (Tadig), Tout est bien, Nantes 2014, ed. Les sentiers du livre, p. 7, 164-167;

[89] En breton, Tadig veut dire papa.

[90] Fulup (Tadig), Tout est bien, Nantes 2014, ed. Les sentiers du livre, p. 166.

[91] Prot. 48091/13 CA, in Monitor eccelsiasticus, CXXXI (2016), p 37-39.

La giustizia per i laici

Ecco un estratto del libro sul « La giustizia amministrativa nella chiesa cattolica » (imprimatur del testo francese ricevuto il 11 ottobre 2017)

Capitolo 4: La giustizia per i laici

 

Alla fine dell’anno 2014, il numero dei cattolici nel mondo era di 1,27 miliardi[1]. Riguardo ad essi, la Costituzione dogmatica della Chiesa ha ricordato il principio di obbedienza che scuote tanti nostri contemporanei del mondo occidentale alla libertà individuale esasperata che ha l’abitudine di contrapporre libertà individuale e autorità[2].

I laici, come tutti i fedeli, devono abbracciare, con prontezza di obbedienza cristiana, ciò che i sacri pastori, rappresentanti del Cristo, decidono a nome del loro magistero e della loro autorità nella Chiesa[3].

Tuttavia, il cardinale Kasper sostiene che il Concilio abbia capovolto la situazione, cessando di considerare i laici  «come  degli incaricati e come il braccio allungato del clero [4]», nella misura in cui detengono la loro missione del Cristo stesso, in virtù del battesimo e non di un mandato del clero[5]. Alcuni vescovi in gran parte fanno appello ai laici, come quello di Dallas[6]:

Io li consultavo su tutte le decisioni pastorali che affrontavo (…) Volevo che i sacerdoti fossero quello che si suppone avrebbero dovuto essere: sacramentali e insegnanti della fede. E lasciare l’amministrazione  a persone che fossero più competenti di loro, i laici[7].

Nel 1983, il codice ha introdotto un nuovo capitolo sui diritti e doveri dei fedeli in generale e dei laici in particolare. I canoni da 208 a 231 costituiscono una novità innegabile rispetto al codice del 1917, e sembrano essere stati relativamente accolti sia dalla gerarchia che dai fedeli. Tuttavia, l’accettazione di queste disposizioni non è priva di tensioni, come testimonia il cardinale Kasper:

Sono preoccupato soprattutto per […] la crescente distanza tra la visione gerarchica «in alto» e delle parti della Chiesa  «in basso» e che, per una parte, è già quasi uno scisma di fatto[8] […] La consapevolezza dei laici fa parte dei risultati soddisfacenti del Concilio; ma è diventata dopo il Concilio anche fonte di molti equivoci e di nuove controversie.[9]

Una testimonianza raccolta a Dakar[10] dimostra che la maggior parte dei fedeli cattolici, compresi quelli meglio formati, non conosce l’esistenza di una giustizia amministrativa nella Chiesa. In caso di conflitto, molti pensano che se si rivolgono alla gerarchia ecclesistica piuttosto che ai tribunali civili, rischiano di essere danneggiati poichè non ci sarà nessuno a difendere il loro punto di vista.

Per apprezzare il ruolo della giustizia amministrativa della Chiesa riguardo ai laici, abbiamo estratto dal nostro database 742 ricorsi di cui era specificata la natura del richiedente e, fra essi, 153 ricorsi di contenzioso derivanti da laici[11],  ossia il 27%. Abbiamo aggiunto 27 ricorsi sui decreti del Pontificio consiglio per i laici[12]. Ne è risultato un campione di 180 ricorsi registrati dal Supremo Tribunale riguardante i laici, che analizziamo brevemente nel presente capitolo, senza la pretesa di scrivere un trattato del diritto e della giurisprudenza, che richiederebbe un migliaio di pagine.

Contrariamente a quanto ci si può aspettare, non è il Pontificio consiglio per i laici le cui decisioni sono le più contestate dai laici, ma la Congregazione per il clero[13].

Ecco le principali questioni controverse riguardanti i laici[14], che sono oggetto di ricorso di contenzioso amministrativo.

Raggruppando dimissioni e trasferimenti in una rubrica relativa ai decreti specifici per i laici, compaiono quattro grandi aree che portano al piano seguente:

  1. I raggruppamenti e soppressioni di parrocchie;
  2. La riduzione delle chiese ad uso profano non indecoroso;
  3. I decreti specifici relativi ai laici;
  4. Le associazioni dei fedeli;
  5. Gli altri casi.
    1. Il rimodellamento delle parrocchie

 

L’urbanizzazione, la mobilità e la secolarizzazione della società impongono alla Chiesa la necessità di adattarsi, non guardando il passato, ma cercando nuove soluzioni sinodali, tra cui la ristrutturazione delle parrocchie. La legge applicabile al rimodellamento delle parrocchie è descritta principalmente nei canoni 515-520 «sull’organizzazione interna delle Chiese  particolari».

Nella sua tesi[15], Elisabeth Abbal afferma che tra il 1980 ed il 2015, tutte le diocesi della Francia hanno rimodellato le loro parrocchie, creando, raggruppando o abolendo parrocchie e raggruppamenti parrocchiali. La situazione è molto diversa da una diocesi all’altra. Così a Poitiers, molte parrocchie sono state raggruppate insieme. A Strasburgo nessuna delle 567 parrocchie è stata soppressa, ma sono state create comunità di parrocchie, permettendo al parroco di essere contemporaneamente responsabile di diverse parrocchie. ATulles non c’è stata ordinazione di giovani sacerdoti per 20 anni, per cui le parrocchie sono state raggruppate in 22 gruppi parrocchiali per adattarle in passato al numero di curati in grado di esercitare un incarico curiale, e in futuro, al dinamismo delle squadre pastorali e missionarie di animazione, sostenute dalle confraternite locali presbiterali.

Da un sondaggio di 53 fedeli cattolici praticanti[16], Louisa Plouchart ha constatato che il 66% dei parrocchiani non sono preoccupati dei rimodellamenti, e prendono parte alla vita della nuova parrocchia. Si può anche dedurre che un terzo dei parrocchiani sono ugualmente un pò preoccupati. Nella misura in cui i fedeli sono legati alla loro parrocchia, scaturiscono delle tensioni, che a volte si traducono in ricorsi gerarchici e di contenzioso.

Oltre ai canoni 50, 51, 120 à 123, 127 e 166, la legge applicabile ai raggruppamenti di parrocchie deriva principalmente dal canone 515 § 2:

Can. 515 — § 2. Spetta unicamente al Vescovo diocesano erigere, sopprimere o modificare le parrocchie; egli non le eriga, non le sopprima e non le modifichi in modo rilevante senza aver sentito il consiglio presbiterale.

 

Quando una parrocchia è modificata, possono esserci vari ricorsi, di un curato (Cf. Prot. 43915/10 CA) ma anche dei laici che frequentano la parrocchia. Di solito sono inviati alla Congregazione per il clero, che riscontra «varie difficoltà negli ultimi anni». Grazie alla giurisprudenza che ne deriva, la Congregazione pubblica il 30 aprile 2013, una serie di raccomandazioni ai vescovi per la modifica delle parrocchie e la chiusura delle chiese parrocchiali, di cui di seguito alcuni passaggi:

E’ necessario distinguere chiaramente le tre procedure canoniche: 1) di modifica delle parrocchie 2) di riduzione di chiese ad uso profano 3) di alienazione degli edifici. […] Ogni procedura ha le proprie regole che devono essere rispettate correttamente e attentamente.

Non vi è alcuna procedura per chiudere temporaneamente una chiesa, per esempio per riparazioni. Vale lo stesso per limitarne  l’uso, ad esempio abolendo la messa della domenica, nella misura in cui la chiesa resta aperta ai fedeli.

Per sapere se esiste una giusta causa per modificare una parrocchia (c.515§2), ogni caso deve essere trattato separatamente ed il decreto deve essere motivato.

Ogni tipo di decisione (modifica di parrocchia, riduzione di una chiesa ad uso profano, destinazione dei beni), deve essere oggetto di un decreto scritto separato, adeguatamente comunicato al momento della sua adozione[17].

A volte la decisione della Congregazione per il clero rigetta il ricorso, considerando che il vescovo non ha violato la legge, nè nel merito,  nè nella procedura[18] ed i richiedenti depositano a volte ricorsi di contenzioso amministrativo, che sono rigettati in limine; non ammessi alla discussione, o ammessi alla discussione e poi accettati o rigettati.

Il 20 giugno 1992, il Collegio esamina il ricorso di due parrocchiani, considerando che sono nella legalità per depositarli, poichè il decreto della Congregazione del clero non rispetta i canoni 515-2 e 1222-2, e alla fine, decide che il vescovo dove restituire alla chiesa parrocchiale il suo statuto precedente[19].

 

Tra le controversie trattate dalla Segnatura Apostolica, alcune riguardano le parrocchie affidate a religiosi, il cui profilo è modificato dal vescovo senza previo accordo con i religiosi interessati. La Congregazione per il clero segnala anche difficoltà a proposito della proprietà dei beni delle parrocchie o delle diocesi modificate.

Le diocesi di Barbastro-Monzon[20] e di Lerida[21] sono state in contrasto tra loro riguardo alla proprietà del patrimonio ecclesiastico della Frangia d’Aragona in un contesto caratterizzato da tensioni nazionaliste tra Catalani ed Aragonesi, a seguito delle modifiche dei confini tra le diocesi[22]. Diversi libri[23] e siti web[24] descrivono l’epopea giuridica civile e canonica che ne deriva[25].

Tuttavia, il maggior numero di ricorsi riguarda la sorte delle chiese nelle parrocchie soppresse, che portano ad approfondire la questione della riduzione delle chiese ad uso profano non indecoroso.

 

  1. La riduzione delle chiese ad uso profano

 

Nel 2007,  appare un articolo sulla stampa francese[26] e provoca una presa di coscienza sul rischio di distruzione delle chiese. Vengono raccolte 25000 firme, mentre l’osservatorio del patrimonio religioso [27] stima che il patrimonio francese è di circa 100 000 chiese e monumenti culturali.

In Francia, ogni anno vengono distrutte circa venti chiese parrocchiali, come la cappella di Saint-Bernard a Clairmarais (diocesi di Arras), la cappella funeraria dei conti di Hitte (Montfort, diocesi d’Auch). A Montfort, nel Gers, (proprietari del castello di Esclignac).

Quanto agli usi correnti delle chiese ridotte all’uso profano, consistono in imprese sociali come il Farlab di Lille o il centro dei ciechi a Oran, in colombari (luoghi di sepolture), in ristoranti ecc. Ci sono anche chiese ridotte ad uso profano per le quali il primo acquirente rispetta la clausola di uso non indecoroso ma una volta trasferite ad un nuovo acquirente vengono adibite ad un uso indecoroso, come un bar o una sala da ballo.

 

  • Il diritto applicabile

 

Il Codice di diritto canonico definisce una chiesa[28], ricordando i riti della dedicazione e della benedizione, che vietano gli usi profani dell’edificio[29].

Lasciando da parte i casi di profanazione che necessitano di una nuova dedicazione o benedizione, si distinguono due tipi di casi nei quali una chiesa può essere ridotta ad uso profano non indecoroso perdendo così il suo carattere sacro[30].

Si tratta in primo luogo del caso, previsto dal canone 1222 §1, delle chiese che sono state distrutte e che non è stato possibile riparare[31]. In molti paesi, il proprietario della chiesa è abitualmente la parrocchia o la diocesi, e il motivo della distruzione è finanziaria. Prima di adottare una tale decisione, il vescovo deve cercare tutte le soluzioni possibili, per esempio vendendo terre e altri edifici, facendo appello agli sponsor, o mobilitando le proprie risorse. Tuttavia anche se la chiesa tedesca spende più di 500 milioni di euro all’anno per riparare le chiese, non possono essere riparate tutte ed alcune sono vendute. E’ lo stesso anche negli Stati Uniti[32].

Per la Francia non è lo stesso, poichè ci sono circa 45000 chiese parrocchiali, di cui il 35% costruite nel XIX secolo[33] di cui, nella stragrande maggioranza, la proprietà e la manutenzione spettano ai comuni, quindi la decisione di distruzione è del sindaco quando la chiesa non è classificata patrimonio storico, il che vale per la maggior parte di esse. Così, considerando il costo elevato della manutenzione per un’affluenza di fedeli in diminuzione, i sindaci a volte decidono di abbatterle. Una trentina di chiese sarebbero state già distrutte in Francia e quasi 10 000 chiese sono minacciate di distruzione. I vescovi, naturalmente, sono interpellati, in particolare per prendersi in carico di una parte dei lavori di restauro, ma molto spesso, declinano questa possibilità.   Molte controversie che si verificano[34] sono poi in gran parte portate davanti ai tribunali amministrativi civili, che producono  una giurisprudenza abbondante e hanno ispirato la circolare del ministro francese dell’Interno del 29 luglio 2011[35] che integra la decisione del Consiglio di Stato del 19 luglio 2011. Trattandosi di diritto civile, eliminereno questa problematica dal campo del nostro studio. Va diversamente per le chiese che non sono distrutte, e per le quali la decisione di ridurle ad uso profano proviene dall’Ordinario del luogo[36]. Questo caso, disciplinato dal canone 1222 §2, è possibile quando si sommano 5 condizioni:

  • cause gravi;
  • audizione del Consiglio presbiterale,
  • consenso di coloro che hanno diritti legittimi sull’edificio;
  • assenza di danni al bene delle anime;
  • garanzie minime per un utilizzo futuro, che deve essere appropriato

 

  • Le difficoltà e i ricorsi

 

La decisione del vescovo è una decisione amministrativa, suscettibile di ricorso amministrativo. Quando c’è una controversia[37], la Congregazione del clero è competente ai sensi dell’articolo 98 del Pastor bonus[38], e accetta o rigetta a volte il ricorso dei parrocchiani, tenendo conto o non se il vescovo ha violato una legge nel merito o nella procedura[39].

Le sue decisioni sono soggette a ricorsi presso la Segnatura Apostolica, e questa facoltà non è solo teorica, poichè molti ricorsi di contenzioso amministrativo sono presentati al Supremo Tribunale. Quest’ultimo ha pubblicato alcune sentenze riguardanti la demolizione[40], la riparazione[41], la riduzione di una chiesa a uso profano, per esempio in occasione di una soppressione[42] o di un raggruppamento[43] di parrocchie. Queste sentenze sono state oggetto di analisi da parte di Mgr. Frans Daneels, nel 1998[44] poi nel 2010[45], nonchè di Mgr. Gian-Paolo Montini nel 2000[46] e di Nicholas Schöch nel 2007[47].

Nella sua analisi delle «grandi sentenze» della giurisprudenza amministrativa, Javier Canosa evoca la sentenza del 20 giugno 1992 che riconosce per la prima volta ai fedeli, membri di una comunità parrocchiale, la possibilità di depositare validamente un ricorso relativo ad una decisione che riguarda la parrocchia (Prot 22036/90 CA) [48].

Il numero dei ricorsi di contenzioso depositati presso il Tribunale della Segnatura Apostolica, per riduzioni di chiese ad uso profano, è in forte aumento dall’anno 2011, segno che le controversie si verificano sempre più frequentemente tra i fedeli che vogliono mantenere una chiesa come luogo di culto e un vescovo che si oppone. La ragione sta nel fatto che il numero di chiese ridotte ad uso profano aumenta considerevolmente nelle regioni sviluppate in cui il numero di fedeli e di sacerdoti diminuisce.

Numero di ricorsi di contenzioso per anno di registrazione
Anni 1990-1999 2000-2009 2010-2013
Numero di contenziosi 5 4 16
Fonte= database

Purtroppo, le sentenze pubblicate sono poche e vecchie, per cui è necessario ricorrere ai commenti dei membri del Supremo Tribunale per avere una visione attuale del diritto, chiarito dalla giurisprudenca, come lo esponiamo di seguito in modo sintetico:

  • un laico deve fornire la prova che subisce un danno affinchè il suo ricorso possa essere accettato[49];
  • la chiusura definitiva di una chiesa equivale alla sua riduzione ad uso profano, anche se il vescovo non ha preso una decisione definitiva relativa al suo uso successivola[50];
  • l’applicazione del canone 1222 §2, richiede che ci siano tutte le condizioni imposte[51]. In particolare, l’assenza di effetti negativi sul bene delle anime non rappresenta, di per sé, una ragione sufficiente [52];
  • la mancanza di sacerdoti o la soppressione di una parrocchia non costituisce un motivo serio sufficiente per ridurre una chiesa ad uso profano, perchè è già accaduto nella storia che in assenza di sacerdote, le persone laiche e pie considerano la chiesa come un luogo sacro a testimonianza della fede cattolica[53];
  • i gravi motivi sollevati devono essere presenti al momento del decreto e non rappresentare soltanto timori per il futuro;
  • al contrario, il Supremo Tribunale ha accolto come grave motivo l’incapacità dei parrocchiani di mantenere una chiesa;
  • quando una chiesa ha subito danni e deve essere riparata ma per ragioni finanziarie si fa una scelta diversa, l’impossibilità morale non può essere provata, conviene anche ricorrere al canone 1222, § 2, sapendo che il vescovo ha il potere di decidere se il problema finanziario rappresenta o meno un motivo grave, dopo aver sentito il parere previsto a tale scopo;
  • l’esigenza finanziaria di una diocesi non è un motivo serio sufficiente per vendere una chiesa che appartiene al suo patrimoniole[54];
  • prima di decidere, è necessario fare uno studio appropriato sullo stato dell’edificio, sul costo della riparazione, avere la possibilità di reperire fondi, prima che il vescovo imponga ad una parrocchia o ad un istituto religioso di riparare una chiesa che non è la chiesa parrocchiale;
  • riguardo al Consiglio presbiteriale, la sua udienza deve essere incentratata esplicitamente sulla riduzione ad uso profano di una chiesa e non solo sulla soppressione di parrocchie, distinguendo bene le due decisioni[55];
  • l’altare e gli oggetti di culto non perdono il loro valore sacro con la riduzione della chiesa ad uso profano non indecoroso. Devono essere trasportati altrove.

C’è anche una giurisprudenza per la proprietà dei beni delle chiese ridotte ad uso profano, tenedo conto che un altare o un tabernacolo rimangono consacrati[56]. Ci limiteremo a dare due esempi.

Quando una chiesa è stata ridotta ad uso profano, una delle parti ha segnalato l’esistenza di una donazione precedente del terreno sul quale era costruita la chiesa, con una clausola morale che specifica che se la chiesa dovesse essere venduta, il terreno dovrebbe ritornare alla famiglia ed ai suoi discendenti. La parte ha perso il ricorso, poiché il suddetto motivo non era incluso esplicitamente nel contratto, in quanto, era scritto, invece che il terreno era libero da servitù[57].

Un’altra giurisprudenza specifica che un titolo di proprietà o una donazione non concede necessariamente dei diritti sulla chiesa parrocchiale, a meno che un atto giuridico valido specifichi esplicitamente che la donazione o la  disponibilità è condizionata ad un determinato uso di questa chiesa[58].

 

Mgr. Daneels conclude la sua analisi della giurisprudenza in questi termini:

Sembra, finalmente, che la Congregazione del clero abbia riformato in molte occasioni le decisioni di vescovi diocesani che riducevano una parrocchia ad uso profano non indecoroso, ma non è facile per un vescovo ottenere dalla Segnatura una decisione che non convalidi quella della Congregazione. La soppressione di una parrocchia non implica automaticamente la riduzione di una chiesa ad uso profano. Ma sembra anche che non sia facile per i parrocchiani dimostrare davanti alla Segnatura l’illegittimità di una decisione della Congregazione del clero riguardante una decisione del vescovo[59].

Ecco in ogni caso un esempio di azione del Supremo Tribunale in questo campo.

Un gruppo di parrocchiani americani presenta un ricorso gerarchico contro una decisione del vescovo del 12 giugno 2007 relativa alla riduzione di una chiesa ad uso profano. La Congregazione del clero  rifiuta inizialmente il ricorso, visto che proviene da un gruppo di persone senza personalità giuridica per depositare tale ricorso. Dopo che il ricorso è ripresentato da persone intuiti personae, la Congregazione convalida il decreto del vescovo ed i parrocchiani depositano un ricorso di contenzioso amministrativo. Il 21 maggio 2011, il Supremo Tribunale dichiara che vi è stata violazione di legge nel decreto della Congregazione del clero del 5 agosto 2008, perché il vescovo non si era appellato a seri motivi che giustificavano la riduzione di questa chiesa ad uso profano[60].

 

A condizione che la decisione sia applicata, si trata di un esempio in cui la giustizia amministrativa della Chiesa ha svolto il ruolo di risoluzione di un conflitto, facendo rispettare il diritto canonico. La procedura è durata quattro anni e mezzo, fino all’ultima sentenza del 18 novembre 2011.

 

  1. Decreti particolari per i laici

 

La Chiesa impiega un numero crescente di laici retribuiti o volontari per vari compiti di apostolato, di insegnamento e di servizio. A volte, rifiuta incarichi a persone competenti che hanno possibilità di essere assunti, oppure ritira incarichi a persone che li assumevano, e questo può causare incomprensioni e conflitti.

Quando il Consiglio per i laici non è in grado di risolverli, la Segnatura Apostolica deve occuparsene, dando a volte ragione ai richiedenti contro il dicastero interessato. Questi ricorsi si concentrano principalmente sui seguenti argomenti:

  • ritiro incarichi di insegnamento o di rettore di università [61];
  • rifiuto di ammissione negli ordini sacri[62];
  • licenziamento dalla Fabbrica di San Pietro[63];
  • rimozione dall’incarico di difensore del vincolo[64];
  • Espulsione da una casa appartenente alla Chiesa[65];
  • sospensione di un diacono sposato[66];
  • rimozione da un incarico di professore di seminario[67];
  • espulsione da una chiesa parrocchiale.

Ecco un esempio:

in un caso trattato nel 1987, quattro laici degli Stati Uniti sono espulsi dalla loro parrocchia dopo aver denunciato abusi liturgici ed errori dottrinali del loro curato. La Segnatura Apostolica rimanda il ricorso ai dicasteri competenti, ossia in quel momento, il Consiglio dei laici, la Congregazione per la dottrina della fede [68]. Se si tratta dello stesso caso[69], il Tribunale non accetta in appello il ricorso contro una decisione della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, perchè il dicastero giustifica il suo rifiuto per il fatto che i parrocchiani seminavano disordine, manifestando rumrosamente contro l’operato del nuovo sacerdote, per cui il ricorso risulta infondato.

In un altro ambito, specificheremo che i ricorsi relativi al lavoro degli impiegati della Santa Sede, contro gli atti commessi dal servizio competente, sono gestiti dall’Ufficio del lavoro della Sede apostolica, che prepara arbitrati non suscettibili di ricorso presso il Supremo Tribunale[70].

 

  1. Le associazioni di fedeli

 

«Nella storia della Chiesa, le associazioni di fedeli hanno avuto una linea comune», ci ricorda Giovanni Paolo II[71]. Tuttavia c’è voluta una controversia che opponeva un vescovo argentino contro la Società di San Vincenzo di Paoli  perchè nel 1921, la Sacra congregazione del concilio superasse la sua visione ristretta del codice del 1917 e riconoscesse:

La legittimità dell’autonomia dei laici nella costituzione e direzione delle associazioni laiche, distinguendo chiaramente in quell’occasione, le associazioni ecclesiastiche dalle associazioni laiche[72].

Il concilio cita in effetti la resolutio Corrienten[73] nel decreto del 1965 sull’apostolato dei laici, quando evoca in questi termini il diritto dei laici di fondare associazioni, di dirigerle e di aderire a quelle esistenti:

Salvo il dovuto legame con l’autorità ecclesiastica, i laici hanno il diritto di creare associazioni e guidarle, e di aderire a quelle già esistenti[74].

Nel 1983, il Codice afferma questo diritto dei fedeli poi, nel 1988, l’esortazione apostolica post sinodale  Christifideles laic porta ad un compiacimento dei progressi compiuti. Inoltre nel 2011, Papa Benedetto XVI ricorda:

La palese apertura al contributo dei laici e la dichiarazione dei «criteri ecclesiali» inequivocabili da parte dei Christifideles laici, hanno permesso di far maturare una «profonda consapevolezza della dimensione carismatica della Chiesa», [che ha ] portato ad apprezzare ed a valorizzare sia i carismi più semplici che fornisce la divina provvidenza alle persone, che quelli che generano grande fecondità spirituale, educativa e missionaria[75].

Papa Francesco va nella stessa direzione:

Ringraziamo dunque il Signore per gli abbondanti frutti e per le numerose sfide di questi anni. Possiamo ricordare, ad esempio, la nuova stagione aggregativa che, accanto alle associazioni laicali di lunga e meritevole storia, ha visto sorgere tanti movimenti e nuove comunità di grande slancio missionario; movimenti da voi seguiti nel loro sviluppo, accompagnati con premura, e assistiti nella delicata fase del riconoscimento giuridico dei loro statuti[76].

Eppure il numero delle associazioni di fedeli giuridicamente riconosciute è basso, come ricorda Olivier Echappé:

L’osservazione della realtà ecclesiale del nostro paese [La Francia] si basa sulla constatazione contraddittoria della straordinaria fioritura del modello associativo nella Chiesa, come del resto in tutta la società, e del notevole successo della legge del 1° luglio 1901, mentre in modo correlativo le cancellerie episcopali non crollano sotto il peso delle richieste di recognitio o di probatio.[77]

Nel 2011, l’autore ritiene, a partire dalle pubblicazioni del Pontificio Consiglio per i laici[78] e di qualche diocesi, che il numero di associazioni di fedeli per cattolico[79] è di circa mille volte inferiore al numero di associazioni civili per abitante[80].

CatCath.

1

Ass
Can2.
Ass. / fedfid.

3

M.
ab.hab.4.
Ass civ.

5

Ass /
M. ab.6
Ass can / Ass civ

7

Associazioni internazionali 1 000 122 0,12 60,00 9 910 165 1 354
Francia 36,00 78 2,17 60,00 983 803 16 397 7 568
Diocesi di Parigi 1,33 11 8,29 2,21 71 222 32 208 3 885
New York / Stati Uniti 0,45 19 41,85 312,00 1 900 000 6 090 146
Diocesi di Créteil 0,79 3 3,81 1,31 39 000 29 751 7 800
Diocesi di Saint Denis 0,90 1 1,11 1,51 45 000 29 871 27 000
Diocesi di Nancy 0,44 71 162,10 0,73 11 616 15 912 98

 

Anche se i risultati devono essere presi con cautela, la differenza è enorme, ci si può chiedere se il diritto canonico non sia un ostacolo alla creazione di associazioni di fedeli. Nel 1985 il Cardinale Ratzinger testimoniava in tal senso per i nuovi movimenti:

E’ vero che questi movimenti causano anche qualche problema, e in una certa misura dei pericoli, ma è la stessa cosa per tutto ciò che è vivente […] tutto questo non deriva dalla pianificazione di un’amministrazione pastorale ma nasce da sé. Pertanto, gli organismi amministrativi – proprio quando vogliono essere molto aperti al progresso – non sanno che fare; questo non si adatta alla loro idea. Così si creano tensioni quando si tratta di inserire questi movimenti nell’attuale struttura delle istituzioni[81].

Nel 1983, il codice di diritto canonico riprende i principi fissati dal decreto del Concilio sull’apostolato dei laici, e li disciplina giuridicamente con i canoni 215 e seguenti:

Can. 215 — I fedeli sono liberi di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l’incremento della vocazione cristiana nel mondo; sono anche liberi di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità[82].

Una volta costituite in base ai canoni 298 e 299 §1, queste associazioni diventano associazioni di fatto, ma sono ammesse nella Chiesa solo in base all’applicazione di uno dei canoni seguenti:

  1. canone 299 §3[83] per le associazioni private i cui statuti sono riconosciuti dall’autorità competente, (recognitio);
  2. canone 322 per le associazioni dotate di personalità giuridica (probatio)[84];
  3. canoni 298 §2[85] e 299 §2[86] per le associazioni lodate e raccomandate dalla Chiesa;
  4. canone 300[87] per le associazioni private cattoliche;
  5. canone 301§3[88] per le associazioni pubbliche di fedeli;
  6. canone 302[89] per le associazioni clericali [90].

Dopo il sinodo ordinario dei vescovi del 1987, Papa Giovanni Paolo II specifica quali criteri devono rispettare le associazioni per essere riconosciute dalla Chiesa, senza fare distinzione tra i sei tipi di riconoscimento di cui sopra[91].

Sempre nella prospettiva della comunione e della missione della Chiesa, e non in contrasto con la libertà di associazione, bisogna tener conto della necessità di criteri ben chiari e precisi di discernimento e di riconoscenza delle associazioni di laici, chiamati anche «criteri di ecclesialità». Come criteri fondamentali per il discernimento di ogni associazione di fedeli laici nella Chiesa si possono ricordare i seguenti criteri:

  • la priorità della vocazione alla santità di ogni cristiano;
  • l’impegno a professare la fede cattolica;
  • la testimonianza di una comunione solida e forte nella convinzione, in relazione filiale con il Papa;
  • l’accordo e la cooperazione con il fine apostolico della Chiesa;
  • l’impegno ad essere presente nella società umana per il servizio della dignità integrale dell’uomo.
  • i criteri fondamentali che abbiamo esposto trovano verifica nei frutti concreti che accompagnano la vita e nelle opere delle diverse forme associative, in particolare nel gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l’aiuto alla consapevolezza della vocazione al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa sia a livello nazionale che internazionale; l’impegno nella catechesi e la capacità d’insegnamento per la formazione dei cristiani; l’impulso a garantire una presenza cristiana in vari ambiti della vita sociale; la creazione e l’animazione di opere caritatevoli, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso tutti; la conversione alla vita cristiana o il ritorno alla comunione di battezzati «lontani».

Dal nostro punto di vista, una delle principali difficoltà incontrate dalle associazioni di fedeli riguarda il riconoscimento da parte della Chiesa e l’acquisizione della personalità giuridica. In assenza di regole di applicazione dei criteri di ecclesialità per i diversi livelli di riconoscimento:

  • da un lato, il cardinale Lluis Martinez Sistach[92] considera che il riconoscimento degli statuti include criteri soggettivi, come l’utilità, per evitare la dispersione di forze e la moltiplicazione di associazioni aventi finalità analoghe;
  • senza discostarsi molto, L. Navarro[93], pensa che la recognitio è legata alla verifica degli statuti, ma anche all’analisi di altre fonti d’informazione per conoscere la realtà effettiva dell’associazione. E’ lo stesso per Roch Pagé[94];
  • invece, S. Pettinano parla di un diritto al riconoscimento[95], mentre Feliciani scrive: [….L’intervento ministeriale] può essere considerato non come una decisione discrezionale, ma come un atto obbligato, nel senso che si limita alla dichiarazione che, alla verifica delle strutture delle associazioni, dei suoi mezzi e fini, non c’è nulla di contrario alla fede, alla disciplina e all’integrità dei costumi. […] Per quanto riguarda le ragioni di opportunità pastorali, è difficile conciliarle con il diritto di associazine riconosciuto ai fedeli[96];
  • infine, canonisti come P.A. Bonnet[97] riconoscono che ci possono essere conflitti e ricorsi amministrativi.

In pratica, a volte si assiste a situazioni in cui un vescovo rimanda il riconoscimento, come possiamo vedere nell’esempio di seguito:

Un anno dopo essere stati eletti, i moderatori di una associazione di fedeli di 8000 membri, chiedono di essere ricevuti dal nuovo vescovo della diocesi, dove hanno la loro sede, «per testimoniare il loro percorso per raggiungere il riconoscimento». Il 13 luglio 2016, ricevono una lettera del vicario generale: «Mons. … mi incarica di farvi sapere che, dopo aver riflettuto, non gli sembra opportuno concedervi un appuntamento poichè le condizioni di riconoscimento non sono soddisfacenti alla luce delle informazioni in suo possesso. Pregherà per voi». Il canonista potrebbe porsi delle domande sul rispetto dei diritti dei fedeli: diritto di ricevere l’aiuto dei pastori (c.203), diritto al riconoscimento dell’ associazione (recognitio) e della personalità giuridica (probatio) (c. 299-3[98] e c.322-§1) dal momento in cui rispetta i criteri di ecclesialità, diritto ad una buona reputazione e a quella dei suoi membri (c.220) e diritto di difendersi (c.221), poichè le informazioni sono note al vescovo ma non ai moderatori, e possono dar luogo benissimo a menzogne.

 

La mancanza di riconoscimento canonico di un’associazione può portare ad un procedimento giudiziario nei tribunali secolari, invece di essere risolto dalla giustizia amministrativa canonica, come si può vedere nell’esempio seguente:

Nel 1980, a Parigi, l’arcidiocesi di Parigi firma una convenzione di 17 anni con l’Associazione Culturale di Carità della Missione Croata (ABCMC), affidandole l’uso della chiesa di Saint-Cyrille-Saint-Méthode. Nel corso del tempo, le tensioni si accumulano intorno a questioni materiali, per cui nel 2007 la convenzione non è rinnovata, ma l’associazione non accetta questa decisione e continua ad occupare i luoghi celebrando, tra le altre cose, le messe in croato e catechizzando i bambini. L’Arcidiocesi di Parigi intenta una causa all’ associazione davanti al tribunale civile e ottiene diverse decisioni della giustizia civile per farla uscire. Tuttavia una parte dei parrocchiani croati si ribella e protesta nelle strade, dicendo: «Siamo sconcertati, delusi e sconvolti che i fratelli cattolici si comportano così verso altri cattolici … In un momento in cui le chiese stanno chiudendo per mancanza di parrocchiani, per manzanza di manutenzione, dei cattolici che hanno ricostruito una chiesa con i propri fondi e l’hanno mantenuto in vita, siano  espulsi come degli impuri dai loro fratelli cattolici. E’ inammissibile». Da parte sua, il curato della parrocchia in cui è situata la chiesa si dice pronto ad accettare i Croati cattolici ma non la loro associazione[99].

 

Il Consiglio pontificio per i laici conferma che riceve regolarmente ricorsi, senza specificare se riguardano le associazioni di fedeli, come indica ogni anno nella sua relazione di attività nel modo seguente:

Il Consiglio pontificio per i laici ha risolto controversie sottoposte a verifica, da associazioni di fedeli con ricorsi amministrativi[100].

Tuttavia tutte le controversie non sono risolte dal Consiglio Pontificio, poichè il Supremo Tribunale deve occuparsi di alcuni ricorsi di contenzioso amministrativo relativi alle associazioni, in particolare su:

  • il loro carattere pubblico o privato (Prot. 23966/93/CA)
  • la possibilità di depositare ricorsi anche se la capacità giuridica non è stata loro riconosciuta ( Prot. 17445/ 85 CA et Prot. 17914/86 CA)[101]
  • la loro costituzione e la nomina dei loro moderatori (Prot. 32943/01 CA, Prot. 35378/03 CA)
  • la loro soppressione (Prot. 20012/88, Prot. 37399/05 CA).

Bisogna interrogarsi sul fatto che nessun giudizio pubblicato si basa sull’applicazione dei criteri di ecclesialità per il riconoscimento delle associazioni. Forse ci sono dei casi non pubblicati, o casi pubblicati senza precisione, vale a dire con pochi dettagli perchè l’autore possa collegarli ad un oggetto di discussione?

Un ricorso è stato rigettato dal Congresso relativo ad un gruppo di fedeli degli USA contro un decreto del Consiglio per i laici, a causa di mancanza di legittimità del richiedente[102]. Il Consiglio pontificio per l’interpretazione dei testi legislativi ha proposto una soluzione il 29 aprile 1987, in una interpretazione del canone 299 §3 [103]:

  1. — Un gruppo di fedeli che non ha personalità giuridica, nè il riconoscimento di cui al canone 299, § 3, può legittimamente presentare un ricorso gerarchico contro un decreto del suo vescovo diocesano ?
  2. — No, come gruppo; si, come fedeli, che agiscono separatamente o congiuntamente, a condizione che abbiano davvero subito un danno. Per la stima del danno, è necessario che il giudice goda di un appropriato potere discrezionale.

 

Forse i ricorsi sono stati depositati e rigettati in limine persino prima di essere registrati, perchè l’atto amministrativo che impediva il riconoscimento non aveva il carattere di atto amministrativo specifico?

Uno dei responsabili dell’associazione  «Call to Action Nebraska» ha depositato un ricorso al Supremo Tribunale contro una lettera del cardinale prefetto della congregazione dei vescovi, indirizzato al vescovo di Lincoln, che confermava la legalità di una decisione di quest’ultimo contenente, a determinate condizioni, un divieto che si è trasformato in scomunica per i membri di diverse associazioni diocesane, tra cui l’associazione « Call to Action Nebraska ». Il vescovo li accusava di avere idee contrarie alla dottrina cattolica, come il matrimonio dei sacerdoti e l’ordinazione sacerdotale delle donne. Il Segretario del Supremo Tribunale ha risposto che il Tribunale non era competente per gestire questo ricorso, nella misura in cui l’articolo 123 del Pastor bonus si riferisce ai decreti specifici promulgati o confermati da un dicastero della Curia romana, che non è così per un decreto diocesano generale né per un chiarimento di un dicastero riguardante la legalità di tale atto[104].

 

Salvo informazioni contrarie, non sembra che la giustizia amministrativa ecclesiastica abbia svolto pienamente il suo ruolo per chiarire il riconoscimento delle associazioni private di fedeli, come nel 1921 con la resolutio Corrientes.

 

  1. Altre materie oggetto di ricorso

 

Ci sono molte altre materie oggetto di ricorso, piu o meno frequenti, che non è possibile relazionare in dettaglio.

Oltre al caso dei dipendenti delle associazioni cattoliche, già citato nel capitolo introduttivo, si può citare il caso di cappellani ospedalieri o militari, nonché di dipendenti delle curie diocesane che a volte sono espulsi.

Un militare che è stato promosso vice-cancelliere di un ordinariato militare viene rimosso dal suo incarico all’arrivo di un nuovo cancelliere. La Congregazione per il clero rifiuta il suo ricorso gerarchico ed il Supremo Tribunale rigetta il suo ricorso di contenzioso per mancanza di fondamento perché l’arrivo di un nuovo cancelliere è una ragione considerata sufficiente in virtù del c. 485, la causa di espulsione non è considerata diffamatoria e la sussistenza della vittima non è in discussione poiché il suo stipendio continua a essere pagato dall’esercito[105].

Un altro caso frequente riguarda la proprietà dei beni delle associazioni, che è regolarmente oggetto di ricorso davanti al Tribunale civile, nonostante l’importanza canonica del problema evidenziato da Olivier Echappé :

Non si tratta di una ipotesi teorica: tutti sanno che in Francia, il patrimonio immobiliare delle scuole cattoliche è nelle mani di associazioni costituite in tutta fretta dopo la separazione e la spoliazione del 1905, che non hanno alcun statuto canonico, anche se il loro compito (e la giustificazione della loro esistenza), è quello di insegnare la dottrina cristiana in nome della Chiesa, che, canonicamente, conferisce loro il carattere pubblico e fa dei loro beni dei beni ecclesiastici[106].

Si può anche citare il caso di fedeli che non sentono di aver ricevuto l’aiuto che meritano dai loro pastori. Ecco un esempio che riguarda la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti:

A New-Sevilla, negli Stati Uniti, diversi parrocchiani sono sconvolti dalle innovazioni liturgiche che il loro nuovo sacerdote ha apportato. In segno di protesta, una parrocchiana fa una scenata a tal punto che il sacerdote è costretto a chiamare la polizia e che l’arcivescovo le ordina di cessare di turbare la liturgia. Ma persiste al punto che, il 1° dicembre 1986, il vescovo promulga al suo incontro un decreto penale extragiudiziario in applicazione del canone 1336, vietandole di entrare in chiesa. Allora deposita un ricorso gerarchico e, il 12 maggio 1989, il decreto è confermato dalla congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Nel mese di aprile 1989, la denunciante fa ricorso presso la seconda sezione del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, che afferma che ha agito per legittima difesa contro un aggressore che l’attaccava ingiustamente, pur mantenendo la moderazione richiesta. (c. 1323 5° b). Il 30 ottobre 1990, il Tribunale considera che l’arcivescovo aveva il diritto di emettere un divieto con decreto extragiudiziale in applicazione dei canoni 1720 e 1731 2°: che aveva rispettato le norme previste da questo canone in particolare ricevendo la denunciante. Di conseguenza il ricorso non viene ammesso alla discussione del Tribunale. Il 24 novembre, la denunciante deposita un nuovo ricorso ma il Tribunale rifiuta di metterlo alla discussione per mancanza di fondamento, visto che continuando a disturbare le celebrazioni liturgiche nonostante le sia stato vietato, la denunciante non ha rispettato la moderazione che le avrebbe permesso di essere esente da punizione[107].

 

In questo caso, il ricorso sembra essere stato illegale, ma tutte le situazioni non sono di questo tipo e ci sono anche casi di abuso da parte del potere ecclesiastico.

Dopo aver esaminato una serie di materie che sono state oggetto di ricorso, possiamo legittimamente chiederci se esistono ambiti aventi come oggetto quello di decisioni amministrative relative ai laici, e che sono oggetto di ricorso di contenzioso amministrativo. In Africa, ad esempio, i fedeli avrebbero senza dubbio il diritto di presentare un ricorso amministrativo sulla gestione della loro parrocchia, talvolta inadeguata, come riportato da Achille Mbala-Kyé[108] e Emmanuel Bizogo[109] sul Camerun.

Secondo la legge il parroco è il gestore dei beni della Chiesa (cfr 532 e c 1281-1288), ma spesso le casse delle parrocchie sono vuote durante i passaggi di servizio, vale a dire quando il parroco cambia. Infatti, ci sono difficoltà nella costituzione di consigli pastorali per gli affari economici e molte parrocchie non inviano i loro conti alla Procura. Spesso i conti delle parrocchie sono morti: il sacerdote non usa questo conto per i movimenti di spese e prodotti nella sua parrocchia. Non deposita i soldi, ma è in grado di lasciare il conto in rosso per anni.

In un altro ambito, ecco tre testimonianze canadesi relative alla ricezione della comunione in ginocchio, in cui è deplorevole che la Chiesa locale non sia stata in grado di risolvere situazioni, in quanto troviamo le prime due testimonianze su un sito web e la terza presso la Suprema Corte del Canada.

La settimana scorsa, sono andata alla messa della domenica con mio marito in una parrocchia vicina. Era la prima volta che ci andavo. Al momento della comunione, ci siamo avvicinati, e mi sono ingiocchiata davanti al sacerdote per ricevere l’ostia. Il sacerdote mi ha detto «No ! In piedi  !» Pensavo di aver capito male. «Hhm…scusi ?» «In piedi ! Qui la comunione si dà solo in piedi !» Allora mi alzo, un po’ stupita, ed il sacerdote mi mette l’Ostia sulla lingua. Moi marito, dietro di me, fa la stessa cosa, ed il sacerdote nega anche a lui la comunione in ginocchio[110]. Una volta ho visto nella mia parrocchia due sacerdoti che davano la comunione uno accanto all’altro. Il vicario ed un sacerdote «di passaggio». Il sacerdote «di passaggio» ha fatto come avete detto, vale a dire ha negato la comunione ad una persona che si era inginocchiata. Poco dopo, ho sentito il vicario sussurrargli «se lo fa di nuovo non metterà più piede in questa parrocchia[111]».

Un esempio di rifiuto dei sacramenti che è stato trattato dalla Suprema Corte  del Canada è il «caso Stellerton», che riguarda il rifiuto di dare l’Eucarestia a sei fedeli cattolici perchè volevano riceverla in ginocchio e non in piedi. La Corte ha dato ragione ai denuncianti[112].

In realtà, ci sono stati numerosi ricorsi gerarchici risolti dalla Curia romana:

La Congregazione è preoccupata per il gran numero di denunce… e pensa che il rifiuto di dare la Santa Comunione ad un membro dei fedeli, con il pretesto della posizione in ginocchio, rappresenti una grave violazione di uno dei diritti fondamentali dei fedeli cristiani…  Questo rifiuto non dovrebbe mai aver luogo… tranne nei casi…di peccato pubblico senza pentimento da parte della persona o della sua ostinazione all’eresia o scisma. Quando la Congregazione ha approvato la legislazione riguardante la posizione in piedi per ricevere la Santa Comunione…l’ha fatto affermando che le persone …che si inginocchiano non devono vedersi rifiutare la Santa Comunione… Infatti, Sua Eminenza il Cardinale Joseph Ratzinger ha recentemente evidenziato…che inginocchiarsi per ricevere la Santa Comunione ha a suo favore una tradizione secolare del tutto appropriata alla luce della presenza reale, vera e sostanziale di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate[113].

In un altro ambito, citiamo la contestazione contro un vescovo da parte dei suoi diocesani, per il quale Charles Wackenheim sembra dire che un ricorso amministrativo non s’applicherebbe[114].

In seguito a nomine di vescovi fortemente contestate, i diocesani interessati chiedono come possono farsi sentire, non dagli individui o attraverso lettere anonime, ma pubblicamente e collettivamente. Il Codice non dice nulla. Ci piacerebbe anche sapere ciò che prevede la legge quando un vescovo ha fallito pubblicamente la sua missione. Il codice prevede questa eventualità… nel caso di un curato (c.1740)[115]

Tali casi non sono così rari.

Nel 2015 in Francia, alcuni diocesani hanno dovuto confrontarsi su una decisione del loro vescovo che imponeva ai genitori di pagare la tassa per la chiesa prima di iscrivere i loro figli al catechismo. I diocesani si rivolgono ai   «Canonisti senza frontiere» per verificare la legge corrente[116]. Sembra che questa decisione derivi dal fatto che il vescovo ha presentato un permesso per costruire la sua futura casa, mettendo così a rischio le finanze della diocesi. Dopo essersi informati sulle procedure di ricorso gerarchico e contenzioso, i diocesani interessati decidono di non rendere pubblico il problema per non fare un torto alla Chiesa, né di avviare un’azione legale ritenuta troppo complessa.  Poco dopo, il vescovo viene allontanato per limite di età.

 

Dopo questo caso rimasto segreto, eccone un altro, reso pubblico:

Nel 2002 negli Stati Uniti, il giornale Boston Globe conduce un’inchiesta che rivela pubblicamente la responsabilità personale del Cardinale Arcivescovo, che ha coperto le azioni di decine di preti pedofili della sua diocesi. Indipendentemente dalla sua natura di parte, il film Spotlight [117] dimostra che la giustizia della Chiesa non è riuscita a capire seriamente le vittime..

 

Nel caso precedente, è la stampa, e non la giustizia ecclesiastica, che ha permesso di proteggere le vittime. Da ciò è scaturito un cambiamento della legge sul trasferimento e dimissioni di un vescovo, quando commette una negligenza che mette a rischio i minori[118]. Ecco un altro caso in cui la conferenza episcopale si è schierata dalla parte dell’opinione pubblica dopo che è stato rivelato uno scandalo finanziario.

Nel 2013 in Germania, il presidente della conferenza episcopale ha partecipato ad una petizione dei diocesani che chiedevano il trasferimento del vescovo: i fedeli della diocesi di Limbourg, indignati, hanno chiesto le dimissioni di Mons. T. Oltre 4000 di essi hanno già firmato una lettera aperta contro di lui. A Limburg, vicino Francoforte, la gente è sconvolta. Domenica, circa 200 oppositori si sono riuniti davanti alla cattedrale per protestare contro «il vescovo di lusso» come soprannominato dalla stampa, e le sue «manie di grandezza» [119].

 

In altri casi la petizione dei diocesani è giudicata inaccettabile:

nel 2013, in Nigeria, la nomina di Mons. Okpaleke come capo della diocesi di Ahiara fu respinta da alcuni cattolici per ragioni etniche. Il cardinale Onaiyekan è stato nominato amministratore apostolico di Ahiara in attesa di una soluzione. Nel 2017 una delegazione della diocesi accompagnata dal Presidente della conferenza episcopale della Nigeria visitò Roma dove fu ricevuta da Papa Francesco. Ha ascoltato i membri della delegazione e ha giudicato «inaccettabile la situazione in Ahiara» riservandosi di adottare le misure appropriate[120].

 

Gli sviluppi precedenti dimostrano che la giustizia ecclesiastica amministrativa interviene a volte nelle controversie tra i laici e la gerarchia ecclesiastica, ma la frequenza di questi interventi è bassa, il che porta all’esigenza di una giustizia amministrativa più vicina alle persone, per esempio a livello nazionale.

 

 

 

 

[1] Dall’annuario pontificio 2016.

[2] Sarah (Card. Robert), Dieu ou rien, Intervista di Nicolas Piat, Paris 2016, ed Pluriel, p. 249/420.

[3] Paolo VI, Lumen Gentium, Constitution dogmatique de l’Église, n° 37.

[4] Cf. Kasper (Card. William), L’Église catholique, son être, sa réalisation, sa mission. Paris, Cerf, Collection Cogitatio Fidei  avril 2014, p. 300/592.

[5] Paolo VI, Apostolicam actuositatem,

[6] E’ stato nominato prefetto del dicastero per i laici, la famiglia e la vita.

[7] Farrell (Mgr. Kevin) prefetto del dicastero per i laici, la famiglia e la vita, (doppia traduzione).

[8] Kasper (Card. William), L’Église catholique, op. cit. p. 15.

[9] Kasper (Card. William), L’Église catholique, op. cit. p. 295.

[10] Centre saint Augustin de Dakar, colloque du 22-24 février 2017 sur le thème sur: « Le repentir: genèse (s) et actualité (s)».

[11] Extraction au 7 novembre 2016: 88 ricorsi sono stati depositati da uomini, 43 da donne, 32 da uomini o donne.

[12] I 27 ricorsi di associazioni (13 casi), di vescovi (3 casi), di sacerdoti (4 casi) o di richiedenti non identificati (7 casi). Per esempio, un ricorso proveniente da un vescovo è stato esaminato il 13 giugno 1987 dal Collegio della Seconda sezione, che ha constatato una violazione della procedura seguita dal Pontificio consiglio per i laici. Cf. ASS (1987), p. 1293.

[13] Ecco la ripartizione per dicastero dei 184 ricorsi del nostro campione relativo ai laici:

  • Congregazione per il clero in 110 casi
  • Consiglio Pontificio per i laici in 35 casi
  • Congregazione responsabile dei consacrati in 17 casi
  • Congregazione per l’educazione cattolica in 7 casi
  • Congregazione per il culto divino in 3 casi
  • Congregazione per le Chiese orientali in 3 casi
  • Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli in 3 casi
  • Congregazione per i vescovi in 3 casi
  • Consiglio pontificio per la famiglia in un caso
  • Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica in un caso (difensore del vincolo)
  • Fabbrica di San Pietro in un caso

[14] Cause con lo stesso oggetto di discussione sono sottoposte anche da chierici o religiosi. Nella misura in cui sono trattate per i laici, non ci ritorneremo nei capitoli seguenti.

[15] Abbal (Elisabeth), Paroisse et territorialité dans le contexte français, Paris, Cerf, 2016, 520 p.

[16] Plouchart (Louisa),, 2013, « Le diocèse de Rennes, Dol et Saint-Malo: maillage paroissial et pratiques religieuses », p. 19 à 63, In B. Merdrignac, D. Pichot, L. Plouchart, G. Provost (Dir.) La paroisse, communauté et territoire, Constitution et recomposition du maillage paroissial, Rennes,  Ed. PUR, Coll. Histoire, 541 P.

[17] Congregazione per il clero, « Procedural guidelines for the modification of parishes and closure of parish churches », Roman replies, (2013), 5-12, tradotto e adattato dall’inglese.

[18] Per esempio nel caso citato da RR (2013), p. 13-17 riguardo ad una controversia sull’uso non indecoroso di una chiesa. (c.1210).

[19] ASS 1992. P. 1117, sul ricorso n° 22036.

[20] Diocesi spagnola creata nel 1995.

[21] Lleida in spagnolo.

[22] Si indica di solito con il nome di Frange d’Aragon (Franja de Aragón in castigliano, Franja d’Aragó in catalano, Francha d’Aragón in aragonese) un territorio della comunità autonoma di Aragona, in Spagna, al confine con la Catalogna e dove la lingua tradizionalmente parlata è il catalano.

[23] Aznar (Gil, F. R.) y Sanchez (Roman, R). Los bienes artísticos de las parroquias de la Franja: El proceso canónico (1995-2008), Fundación Teresa de Jesús, Zaragoza, 2009.

[24] Per esempio il sito di storia dell’arte di Antonio VALM

as: www.antonionavalmas.net/spip.php? Articolo 56  consultato l’11 agosto 2015.

[25] Antonio Valmas riporta 444 tappe sul sito sopracitato.

[26] De Ravinel (Sophie),  « Des maires sont contraints de détruire leur église. » Le Figaro, 18 mai 2007.

[27] www.patrimoine-religieux.fr/

[28] « Can. 1214: Per chiesa, si intende un edificio sacro destinato al culto divino in cui i fedeli hanno diritto ad entrare per l’esercizio del culto divino soprattutto quando è pubblico.

[29] Ci sono eccezioni in cui tutta o parte di una chiesa può essere utilizzata per scopi diversi dal culto senza che la chiesa perda il suo carattere sacro. Questo è particolarmente vero se la chiesa è temporaneamente chiusa, o prestata per un periodo ad una comunità cristiana non cattolica che poi la ripristina. Ciò vale anche se una parte della chiesa è adibita ad usi diversi da quelli del culto (amministrazione, sala di incontri, ecc.) a condizione che la chiesa non sia danneggiata. Così l’installazione di antenne sul tetto o di pubblicità sui muri durante lavori sono possibili senza che la chiesa perda il suo uso sacro. Cf. Nicholas Schöch, OFM, « Relegation of churches to profane use (c. 1222, §2): Reasons ad procedure », the Jurist, 67 (2007) 485-502

[30] Can. 1222: § 1 « Se una chiesa non può in alcun modo essere utlizzata per il culto divino e non è possibile ripararla, può essere ridotta dal Vescovo della diocesi ad un uso profano che non sia indecoroso». § 2: «Laddove altre cause gravi suggeriscono che una chiesa non può essere utilizzata per il culto divino, il Vescovo della diocesi, dopo aver sentito il consiglio presbiterale, con il consenso di coloro che rivendicano legittimamente i loro diritti su quella chiesa e a condizione che il bene delle anime non subisca alcun danno, può ridurla ad un uso profano che non sia indecoroso».

[31] Tali casi erano già previsti dal Concilio di Trento, poi dal canone 1187 del 1917.

[32] Provost (James H.), « Some Canonical Considerations on Closing Parishes », The Jurist, 53 (1993), 362.

[33] «Une vague de démolition d’églises menace le patrimoine» in Le Point.fr del 13 agosto 2013.

[34] Massin Le Goff (Guy), Conservatore dipartimentale delle antichità e oggetti d’arte del Maine-et-Loire, Consiglio generale del Maine-et-Loire , scrive: «Le violente reazioni di alcuni abitanti di questo comune di fronte a questo progetto non sono altro che il riflesso di un’emozione profonda che spesso genera un danno politico e soprattutto sociologico. Le opinioni si scontrano, nascono litigi, i ricorsi giudiziari si moltiplicano, le fratture tra sostenitori e oppositori si ripercuoteranno per decenni, facendo pesare sul comune un clima pesante di rancore». in Polémique autour de la démolition des églises: le cas du Maine-et-Loire messo on line il 03 novembre 2009, consultato il 15 luglio 2015. URL: http://insitu.revues.org/5563

[35] Circolare del Ministro dell’interno, di oltre mare , delle collettività territorialie dell’immigrazione, con riferimento NOR/IOC/D/11/21246C,  del 29 luglio 2011, indirizzata al prefetto di polizia ed ai prefetti (metropoli) sugli edifici del culto: proprietà, costruzione, riparazione e manutenzione,  regolamento urbanistico, fiscalità, pubblicata sul Journal Officiel e sul sito di Legifrance: datata 29 luglio 2011,: http://circulaire.legifrance.gouv.fr/pdf/2011/08
/cir_33668.pdf

[36] Habert (Mgr. Jacques), « Ces églises qui font l’Église »  Document de l’épiscopat,  Conférence des évêques de France, n° 6/7, Paris 2017.

[37] Cf. per esempio «US Catholics win rare victories on church closings» in USA today, March 5, 2011.

[38] La Congregazione si occupa di tutto quello che spetta alla Santa Sede per l’ordinamento dei beni ecclesiastici, e specialmente la retta amministrazione dei medesimi beni, e concede le necessarie approvazioni o revisioni; inoltre, procura perché si provveda al sostentamento ed alla previdenza sociale del clero.

[39] Diversi casi sono descritti nella rivista «Roman replies and CLSA advisory Opinion», 2011, p. 5-14. e RR (2013), p. 13-17 relativamente ad una controversia sull’uso indecoroso di una chiesa. (Canone 1210).

[40] Prot n° 17447/85 CA pubblicato da Ministerium Justitiae…, Montréal, 2011, 441-528.

[41] Prot n° 21024/89 CA, pubblicato da  Notitiae 26 (1990) 142-144 e da Ministerium Justitiae, op. cit. p. 461-466.

[42] Prot. N° 25500/94 CA pubblicato da Ministerium Justitiae, op. cit. p. 483-501.

[43] Prot. N° 24388/93 CA pubblicato da Ministerium Justitiae…, op. cit,. p. 502-528.

[44] Frans Daneels (Mgr.), «Soppressione, unione di parrochie e riduzione ad uso profano della chiesa parrochiale», Ius Ecclesiae 10 (1998) 111-148.

[45] Frans Daneels (Mgr.) «The reduction of a Former Parish Church to Profane use in the light of the Recent Jurisprudence of the Apostolic Signatura» in «Quod justum est et aequum». Scritti in onore del Cardinale Zenone Grocholewski per il cinquantesimo di sacerdocio», a cura di Mgr Marek Jedraszewski, Facoltà teologica dell’università di Poznan. 2013, (p. 165-169)

[46] Montini (Mgr Gian-Paolo), promotore della giustizia al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica «La cessazione degli edifici di culto», Quaderni di diritto ecclesiale 13 (2000) 281-299.

[47] Schöch (Nicolas), Vice difensore del vincolo al Tribunale della Segnatura Apostolica «Relegation of churches to Profane Use (c . 1222, §2): Reasons and Procedures», The Jurist 67 (2007), 485-502.

[48] Canosa (Javier), « Giustizia amministrativa ecclesiastica e giurisprudenza », in Ius ecclesiae XXIII, 2011, p. 563-582.

[49] Prot n° 21024/89 CA, Notitiae 26 (1990) 142-144 e Ministerium Justitiae, op. cit., p. 461-466.

[50] Frans Daneels (Mgr.), «Soppressione , unione di parrochie e riduzione ad uso profano della chiesa parrochiale», Ius Ecclesiae 10 (1998) 111-148, citato da Nicholas Schöch, op. cit. p. 488 et nota 12.

[51] Mgr Daneels si basa in particolare sulla sentenza coram Caffara del 21 maggio 2011, prot. 41719/08 CA.

[52] Mgr Daneels si basa in particolare sulla sentenza coram Burke del 21 maggio 2011, prot. 41719/08 CA nonchè  prot. 45242/11 CA.

[53] Idem.

[54] Prot. 31208/00 CA, decisione citata da Nicholas Schöch (op. cit.. p. 502 note 59.)

[55] Mgr Daneels si basa su tre sentenze: coram Burke (Prot. 42278/09 CA) del 21 maggio 2011;  coram Caffara (Prot. 41719/08 CA) del 21 maggio 2011  nonchè sul decreto del congresso del 11 maggio 2012 (Prot. n° 45190B/11 CA).

[56] Cf. can. 1238 § 2.

[57] Coram Burke, 11 mai 2011, Prot41719/08 CA, The Jurist 73 (2013) 597-643 tradotto dall’inglese nel testo della decisione latina «The said premises are free from encombrances that the said party of the first part will forever warrant the title to said premises».

[58] Thomas J. Paprocki, Parish closings and administrative recourse to the apostolic see: recent experiences of the archdiocese of Chicago, The Jurist, 55 (1995), p. 894.

[59] Traduzione dal testo inglese di Mgr Daneels in op. cit. p. 168.

[60] Coram Burke, 11 maggio 2011, Prot. 41719/08 CA, The Jurist 73 (2013) 597-643

[61] Prot 30266/99 CA citato da ASS (1999) p. 936.

[62] Prot 30677/99 CA e 30678/99CA citati da ASS (1990), p. 892.

[63] Caso senza riferimento, citato da ASS (1978) p. 625.

[64] Prot. 36007/04 CA non ammesso alla discussione per decisione del Congresso l’1/06/06 poi del Collegio il 28/04/2007.

[65] Prot. 23208/92 CA non ammesso alla discussione per decisione del Congresso del 23/11/1992.

[66] Un diacono sposato ha depositato un ricorso nel 1987 per essere stato sospeso ma la sua richiesta non è stata ammessa alla discussione. (ASS (1988), p. 1405.

[67] Cf. ASS (1988), p. 1405, Coram Stickler, le 28 gennaio r 1988. N° di registrazione  (Prot) non indicato, ,

[68] Caso citato da ASS (1987), p. 1292.

[69] Prot 18881/87 CA

[70] Cf. art 136 del Regolamento generale della Curia romana, 1999,

[71] Gian-Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici, n° 29.

[72] Miayoukou (Hervé), « L’émergence en droit canonique des associations privées de fidèles » L’année canonique, 52, 2010, p. 249-256.

[73] Cf. S.C. del Concilio, risoluzione du Concile, risoluzione Corrienten., 13 novembre 1920: AAS 13 (1921), p. 139.

[74] Paolo VI, Apostolicam actuositatem, n° 19.

[75] Sito del Consiglio pontificio dei laici, www.laici.va, consultato il 27 novembre 2011 nella rubrica «venti anni dopo»

[76] Francesco (papa), Discorso del 17 giugno 2016 davanti all’Assemblea del Pontificio Consiglio per i laici.

[77] Echappé (Olivier), «Les biens des associations d’Église», L’année canonique, 47, 2005, p. 51-62. Tradotto dal Francese.

[78] Ryłko (Cardinal Stanisław), Arcivescovo titolare di Novica, Presidente del Consiglio Pontificio per i Laici Archevêque titulaire de Novica, «préface du répertoire des associations» consultato sul sito del Vaticano il 17 novembre 2011;

[79] Colonna 1: milioni di fedeli; colonna 2: numero di associazioni di fedeli riconosciute; colonna 3: numero di associazioni di fedeli riconosciute per milione di cattolici = ratio col. 1/col 2.

[80] Colonna 4: numero di abitanti; colonna 5 numero di associazioni civili; colonna 6: numero di associazioni civili riconosciute per milione di abitanti; colonna 7= colonna 1 / colonna 4 .

[81] Ratzinger (Cardinal Joseph), «Entretiens sur la foi», commenti riportati da Vittorio Messori, Paris 1985, Fayard, p. 48/252. Tradotto dal Francese.

[82] CIC/83 C 215

[83]. § 3. Nessuna associazione privata di fedeli è ammessa nella chiesa a meno che i suoi statuti siano riconosciuti dall’autorità competente.

[84] Le condizioni per ottenere la personalità giuridica sono specificate nel canone 114: occorre che le associazioni siano: 1) disposte per scopi cf. §3) che siano coerenti con la missione della Chiesa (opere di pietà, di apostolato, di carità, cf §2); orientate verso una veduta più ampia di quella degli interessi dei membri) ori; 3) dotate di mezzi sufficienti per garantirne la sostenibilità.

[85] § 2. Che i fedeli si iscrivano di preferenza alle associazioni fondate, elogiate e raccomandate dall’autorità ecclesiasticha competente.

[86] Can 299 § 2. Tali associazioni, anche se sono lodate o raccomandate dall’autorità ecclesiastica, sono chiamate associazioni private.

[87] Can. 300 —Nessuna associazione assuma il nome di « cattolica », se non con il consenso dell’autorità ecclesiastica competente a norma del can. 312.

[88] § 3. Le associazioni di fedeli fondate dall’autorità ecclesiastica competente sono chiamate asociazioni pubbliche.

[89] Can. 302 — Le associazioni di fedeli si chiamano clericali se sono dirette da chierici, assumono l’esercizio dell’ordine sacro e sono riconosciute come tali dall’autorità competente.

[90] In termini di competenze, il Supremo Tribunale specifica che i ricorsi relativi alle pie associazioni sono di competenza della Congregazione per il clero e non del Consiglio per i laici (Prot.   13782/81 CA)

[91] GIAN-PAOLO II, Esortazione post sinodale Christifideles laici del 30-12-1988 (AAS 81 [1989] 393-521)

[92] Martinez Sistach (cardinal Lluis), Associations of Christ’s Faithful, coll. Gratianus, Montréal, Wilson & Lafleur Ltée, 2008, 24×16, p. 113/174 p.

[93] Navarro (L.), Diritto di associazione, cf. nota 2.

[94] Pagé (Roch), « La reconnaissance des associations de fidèles » in Studia canonica, 19, (1985), p. 332-333.

[95] Pettinato (S.), «Le associazioni dei fedeli: la condizione giuridica dei battezzati», in Il fedele cristiano, Bologna, 1989, p. 234 Citato da P.A. Bonnet, «Recognitio statutorum consociationum privatum», in Periodica 90 (2001) 3-43, p. 41 nota 184.

[96] Feliciani (Giorgio). “Il diritto di associazione e le possibilità della sua realizzazione all’ordinamento canonico”, in Das konsoziative Element in der Kirche. Akten des VI. Internationalen Kongresses für kanonisches Recht, München, 14.-19. September 1987, St. Ottilien, EOS, 1989, pp. 397-418. Citato da P.A. Bonnet, Recognitio statutorum consociationum privatum, in Periodica 90 (2001) 3-43, p. 41 nota 184.

[97] Bonnet (Piero Antonio),  La «recognitio degli statuti delle associazioni private come garanzia di pluralismo nella chiesa» (can 299 § 3 CIC), Periodica 89 (2000) 531-563 e Periodica 90 (2001), p. 3-43.

[98] c. 300 § 3. Nessuna associazione privata di fedeli è ammessa nella Chiesa se il suo statuto non è riconosciuto dall’autorità competente.

[99] Riposte catholique, 23 juin 2017.

[100] ASS (2014), p. 845.

[101] Navarro (Luis) «La tutella giudiziaria dei sogetti senza personalità giuridica canonica» in Studi giuridici XLV, Roma 1977, p. 211-228.

[102] Numero di registrazione (Prot) non indicato Cf. ASS (1989), p. 1218, 9° caso 9ème cas.

[103] Consiglio pontificio per l’interpretazione dei testi legislativi. «Riguardo al canone 299 §3» DC 86 [1989] 214 (doppia traduzione)

[104] Prot. 39305/CA, RR (2007), p. 43-44. «Canon 1311 and followings».

[105] Prot. 48091/13 CA, in Monitor eccelsiasticus, CXXXI (2016), p 37-39.

[106] Echappé (Olivier), «Les biens des associations d’Église», L’année canonique, 47, 2005, p. 51-62.

[107] Notitiae 26 (1990) 711-713 et Ministerium Iustitiae, op. cit., p. 603.

[108] Mbala-Kyé (Achille) « una parrocchia di Yaoundé alla ricerca di autofinanziamento, Rigore di gestione e corresponsabilità », recherches africaines n°3, imprimerie saint Paul Yaoundé, 1998 p. 8.

[109] Bidzogo (Emmanuel), Eglises en Afrique et autofinancement, L’Harmattan, Paris 2006, p. 87 et 88/140.

[110] Forum della famiglia cattolica , http://forumfc.clicforum.com/t2736-Refus-de-la-communion-a-genoux.htm

[111] Ibidem

[112] Cogan (Patrick J.), the protection of rights in hierarchical churches: an ecumenical survey, The Jurist, 46 (1986), p. 227. Tradotto dall’inglese.

[113] Medina Estevez (cardinal Jorge), Notitiae, rivista della Congregazione per il culto divino e la Disciplina dei sacramenti, novembre-dicembre 2002. (doppia  traduzione)

[114] Personalmente, tenderei a pensare che un ricorso gerarchico di contenzioso, in teoria è possibile, ma le sue possibilità di successo in tempi ragionevoli sono minime, cosicchè i diocesani preferiscono spesso la via diplomatica o la via mediatica.

[115] Wackenheim (Charles), Une Église au péril de ses lois, Montréal, 2007, Novalis, p. 27/204 p.

[116] www.canonistes.org/un-pretre-peut-il-mettre-des-conditions-a-linscrition-au-catechisme-et-notamment-le-fait-davoir-paye-le-denier-du-culte/

[117] Il film Spotlight ne è il risultato. Ha ottenuto un oscar al festival di Cannes del 2016 da una giuria che senza dubbio non aveva una posizione molto obiettiva nei riguardi della chiesa cattolica.

[118] Francesco (Papa), lettera apostolica sullo stile del motu proprio: «Come una madre amorevole»

[119] Cf. Apic et KNA, www.news.va/fr/news/les-depenses-faramineuses-de-leveque-de-limbourg-e

[120] Wackenheim (Charles), Une Église au péril de ses lois, Montréal, 2007, Novalis, p. 27/204 p. et Zenit, 8 juin 2017, Anne Kurian

[120]www.canonistes.org/un-pretre-peut-il-mettre-des-conditions-a-linscrition-au-catechisme-et-notamment-le-fait-davoir-paye-le-denier-du-culte/

[120] Il en a notamment résulté le film Spotlight. Celui-ci a obtenu un oscar au festival de Cannes de 2016, par un jury qui n’avait sans doute pas une position très objective par rapport à l’Église catholique.

[120] François (Pape), Lettre apostolique en forme de motu proprio : « Comme une mère aimante »

[120] Cf. Apic et KNA, www.news.va/fr/news/les-depenses-faramineuses-de-leveque-de-limbourg-e

[120] Zenit, 8 juin 2017, Anne Kurian

 

DroitAdministratif

En 2017, la justice administrative de l’Eglise catholique célèbre un jubilé puisque la 2ème section du Tribunal suprême de la Signature apostolique, a été créée le 15 août 1967 en vue de « trancher les contestations nées de l’exercice du pouvoir administratif ecclésiastique »,
célèbre son jubilé après avoir traité près de 1500  causes faisant jurisprudence.

A l’occasion de ce jubilé « Canonistes sans frontières » désire faire connaître la justice administrative  de l’Eglise aux fidèles catholiques pour les aider à faire respecter leurs droits, et pour aider la hiérarchie à faire respecter leurs obligations en vue du bien commun de l’Eglise et de la communion ecclésiale, comme le désirait déjà saint Yves.

D’autres, avant nous, comme Cathy Caridi,  contribuent à vulgariser le droit auprès des fidèles anglophones, avec son site « Canon law made easy » classé autour des rubriques suivantes  : droits des fidèles ; droits des clercs ; vie paroissiale ; éducation catholiquesacrements non-catholiques ; etc.

Canonistes sans frontières  a déjà reçu le support de plusieurs radios et médias qui ont consacré des émissions à la justice administrative de l’Eglise catholique.

Un ouvrage de vulgarisation « La justice administrative de l’Eglise catholique » (Harmattan 2017) a été spécialement écrit pour le jubilé, avec une table des matières, rappelée ci-après, qui  fera l’objet d’articles progressivement mis en ligne   :

  1. Eclairage historique
  2. Principes, organisation et procédures
  3. Les sources de jurisprudence
  4. La justice pour les laïcs
  5. La justice pour les clercs
  6. La justice pour les consacrés
  7. La justice face aux charismes
  8. la justice par Dicastères
  9. Retour sur la procédure
  10. Conciliation et médiation
  11. Propositions pour l’avenir
  12. Conclusions

Prière à saint Yves

DroitDuMariage

Le droit du mariage constitue une part importante du Droit canonique.

Tout en restant fidèle au message du Christ, ce  droit évolue pour s’adapter à l’évolution du monde et des mentalités. Parmi les changements notables signalons notamment :

Pour les canonistes, l’espace réservé aux membres offre en outre des jurisprudences de la Rote romaine traduites en français par l’abbé Jacques Gressier

Bibliothèque numérique de droit canonique

Bienvenue dans la Bibliothèque numérique de  droit canonique

Canonistes sans frontières a commencé à créer une bibliothèque en ligne, destinée en priorité  à ceux qui sont éloignés des bibliothèques de droit canonique ou qui n’ont pas les moyens financiers pour acquitter les droits d’entrée permettant d’y accéder.

Nous avons commencé à collecter des textes du magistère, des thèses et ouvrages de droit canonique en postérieurs à 1983, et nous les avons indexés par mot-clé et par canon pour permettre aux internautes et aux mobinautes, de les retrouver simplement en indiquant le numéro d’un canon dans la barre de recherche.

Nous remercions toutes les personnes de bonne volonté de nous adresser leur mémoire, thèse, articles de droit canonique pour que nous puissions les mettre gratuitement à disposition des canonistes et des fidèles catholiques intéressés.

Nous vous invitons également à faire connaître notre campagne  de collecte et de publication des mémoires et ouvrages de droit canonique

 

Saint Yves

Saint Yves, tant que tu as vécu parmi nous,  tu as été l’avocat des pauvres, le défenseur des veuves et des orphelins, la Providence de tous les nécessiteux.

Écoute aujourd’hui notre prière.

Obtiens-nous d’aimer la justice comme tu l’as aimée.

Fais que nous sachions défendre nos droits,sans porter préjudice aux autres, en cherchant avant tout la réconciliation et la paix.

Suscite des défenseurs qui plaident la cause de l’opprimé
pour que justice soit rendue dans l’amour.

 

(prière trouvée à l’église saint Yves des Bretons à Rome)

 

Informations sur la justice administrative

Emissions radio

Quatre radios catholiques ont déjà publié une émission à propos de la justice administrative de l’Eglise qui célèbre actuellement son 50ème anniversaire :

 

38_Verginelli_23mai2008

Coram  VERGINELLI

 Exclusion du bien du sacrement

Exclusion du bien des enfants

 Tribunal régional de Campanie – 23 mai 2008

P.N. 19.426

Constat de nullité

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PLAN  DE  L’IN  JURE

  1. La corruption du consentement par des anomalies psychiques
  2. L’exclusion d’une propriété essentielle du mariage
  3. L’acte positif de volonté actuel et virtuel
  4. Les preuves de l’exclusion
  5. Le cas de l’exclusion de la procréation

__________

EXPOSÉ  DES  FAITS  (résumé)

 Umberto V. et Silvana B. font connaissance en 1998 et très rapidement ont des relations intimes. La jeune fille tombe enceinte et les parents des deux côtés s’efforcent de trouver une solution à ce problème. Il semble bien que le mariage célébré le 18 décembre 1999 ait eu lieu pour sauver la réputation des familles et des jeunes gens, qui venaient pour leur part de passer un doctorat.

 Après la naissance de jumeaux, Umberto poursuit ses études de psychiatrie et Silvana, éprouvée par la charge de ses enfants et les absences fréquentes de son mari, soupçonnant de plus des infidélités de la part de celui-ci, finit par demander la séparation légale. D’innombrables litiges sont soulevés au pénal et au civil, par l’épouse, tant et si bien que le mari s’adresse au Tribunal ecclésiastique pour demander la déclaration de nullité de son mariage.

 Il est inutile de s’attarder sur les multiples débats et querelles du procès de 1° instance. Au doute ainsi formulé le 11 février 2002 : « La preuve est-elle rapportée que le mariage en cause est nul pour défaut de consentement par exclusion du bien des enfants de la part de chacune des parties, et par exclusion de l’indissolubilité du lien de la part du demandeur, ainsi que pour incapacité psychique de l’épouse partie appelée », la sentence répond affirmativement, mais uniquement pour l’exclusion de l’indissolubilité et du bien des enfants de la part du mari.

 En appel à la Rote, le Tour Rotal, le 27 octobre 2005, admet la cause à l’examen ordinaire du second degré et reprend le doute tel qu’il avait été formulé en 1° instance.

 *

*     *

EN  DROIT

  1. Le lien nuptial naît ou est constitué à partir du consentement mutuel entre personnes juridiquement capables, de sexe différent, et qui, en raison de leur baptême, devient un sacrement.
  1. La corruption du consentement par des anomalies psychiques

De là la communauté indissoluble peut être viciée par un consentement nul de diverses façons. Toutefois le consentement est généralement considéré comme corrompu lorsque les facultés supérieures se révèlent incapables d’assumer et de remplir les obligations essentielles du mariage, selon le c. 1095 CIC, parce qu’elles souffrent d’une anomalie ou d’un désordre psychique.

Quand donc une anomalie engendre une incapacité, ou impossibilité d’assumer les obligations essentielles du mariage pour une cause de nature psychique, il apparaît tout à fait qu’au moins une faculté supérieure est atteinte et qu’en conséquent celui qui se marie ne peut pas assumer les obligations en question, sans lesquelles il ne peut pas mettre en œuvre une communion correcte entre les époux.

 

C’est pourquoi, à l’exclusion des défectuosités de peu d’importance, il est requis, pour atteindre en sa racine le lien conjugal, un désordre ou une anomalie psychique qui doit « entamer de manière substantielle les capacités de comprendre et/ou de vouloir de celui qui contracte »[1]. Il ne suffit donc pas, pour irriter le mariage, d’une simple difficulté, selon les paroles du Souverain Pontife : « Seule l’incapacité, et non pas la difficulté à donner le consentement […] rend nul le mariage »[2]. Ce commentaire du Législateur Suprême qui a promulgué le Code en 1983 écarte toute difficulté dans l’appréciation des mots du c. 1095 cité.

 

Dans cette matière difficile et complexe – selon la règle de la loi canonique – le juge recourt à l’aide d’un expert, bien qu’il ne soit pas tenu de suivre l’opinion de ce dernier.

 

  1. L’exclusion d’une propriété essentielle du mariage

 

  1. La loi canonique ne manque pas de souligner de façon tout à fait expresse que le consentement matrimonial est légitimement exprimé par les époux contractants en vue de constituer une communauté permanente ordonnée à la procréation. Ce consentement interne de l’esprit est présupposé conforme aux paroles et aux signes utilisés dans la célébration du mariage (c. 1096 et 1101 CIC).

 

Quand donc ces règles canoniques sont violées, le lien indissoluble et perpétuel est écarté, surtout « si l’une ou l’autre partie, ou les deux, par un acte positif de la volonté, excluent le mariage lui-même, ou un de ses éléments essentiels ou une de ses propriétés essentielles, elles contractent invalidement » (c. 1101, § 2).

 

De façon claire et distincte le mot « exclusion » signifie – du fait que « les noms sont la conséquence des choses »[3] – écarter la naissance d’un lien perpétuel, et pour cette raison le contractant, par un acte positif de volonté, éloigne sa volonté de la constitution du lien.

 

Il est certain que de tels contrats – une fois valides – tendent nécessairement à la dignité de sacrement, à moins que le pacte entre les conjoints ne soit corrompu par un acte positif de volonté excluant la perpétuité, ou indissolubilité, du lien.

 

Il est bien connu également que, selon la doctrine jurisprudentielle, l’intention volontaire interprétative ne suffit pas à irriter le mariage, étant donné qu’est requis un acte positif de volonté excluant l’indissolubilité, c’est-à-dire un « velle non », « vouloir que ne soit pas », pour que l’opération de la volonté entraîne la nullité du lien.

 

  1. L’acte positif de volonté actuel et virtuel

 

Pour la validité du lien, c’est-à-dire pour la création d’un lien sacré par l’action de l’opération de la volonté par rapport au lien valide, il suffit – indépendamment de l’intention actuelle – d’une intention virtuelle, par laquelle le propos naturellement déterminé persévère habituellement.

 

Ceci se conçoit aussi pour l’exclusion, c’est-à-dire qu’une fois conçue, la volonté d’exclure la perpétuité du lien persévère telle quelle jusqu’à l’acte volontaire contraire à l’acceptation de la perpétuité du lien, en connaissance et avec l’évaluation des raisons qui s’y rapportent : par exemple, si à l’époque des fiançailles une partie se trouve dans une exaltation amoureuse démesurée pour toute femme ou pour tout homme, il peut y avoir déjà l’exclusion de la perpétuité ou de l’exclusivité du lien en raison du désir de cette partie de vivre à l’avenir tranquillement et en paix.

 

  1. Les preuves de l’exclusion

 

Les preuves toutefois ne peuvent pas consister dans de simples déclarations des parties et des témoins du fait que sont à examiner attentivement les déclarations extrajudiciaires et judiciaires, qui sont étudiées à la lumière de la foi à accorder aux parties et aux témoins, c’est-à-dire qu’il s’agit de témoignages de crédibilité concernant surtout les éléments déclarés mais aussi les causes prochaines et lointaines de l’exclusion, différentes de la cause qui a poussé au mariage, et tout cela ne peut pas être disjoint des circonstances antécédentes, concomitantes et subséquentes du mariage, et doit être considéré non pas de manière hypothétique mais de manière adaptée à chaque cas isolé ou à chaque cas particulier.

 

  1. Le cas de l’exclusion de la procréation

 

  1. Lorsque le lien nuptial est accusé de nullité, non seulement pour exclusion de l’indissolubilité mais aussi pour exclusion de la procréation, il faut examiner la situation où la nullité du lien entraîne la liberté vis-à-vis des enfants, au moins de ceux qui viendront dans la suite du mariage, pour que les choses ne se compliquent pas davantage et que le recours à l’avortement ne soit pas souhaité.

 

Il est vrai que la doctrine de l’Eglise, également exposée par le Concile Vatican II[4], est claire en ce qui concerne la procréation et l’éducation des enfants, et celui qui veut un mariage nul par exclusion de l’indissolubilité exclut souvent par le fait même la procréation pour que ses obligations n’aient pas d’influence majeure sur ses relations avec son conjoint.

 

Dans l’exclusion de la procréation celui qui se marie emploie les mêmes principes d’exclusion que dans l’exclusion de la perpétuité.

 

 

Dans le cas d’une grossesse prénuptiale, la grossesse non seulement entraîne éventuellement l’exclusion de la perpétuité, mais la plupart du temps entraîne l’exclusion d’une procréation future en raison de l’enfant conçu, et si la naissance est celle de jumeaux – comme il arrive communément à notre époque – le nombre certain d’enfants déjà envisagés, et cela surtout, est pris en compte tant par rapport à la situation sociale et économique que par rapport à un concept prudentiel relatif à la santé et à la charge des parents qui ne veulent pas, ou qui ne peuvent pas, consacrer beaucoup de temps à leurs enfants, compte tenu enfin du travail quotidien qu’ils ont à accomplir.

 

  1. Ce que la loi de l’Eglise regarde comme principal, à savoir le bien des enfants avec ses conséquences, devient pour les parents quelque chose d’ajouté qui fait que leurs enfants sont confiés à une œuvre pour enfants et par la suite à une école ou un collège, ou que ceux qui dépassent un certain nombre sont supprimés par un avortement selon une loi spécifique inique qui, « chose digne de peine », crie vers Dieu dans l’appauvrissement maximal de la dignité des hommes et des nations.

 

Ainsi l’intention corrompue de celui qui se marie entraîne la disparition des enfants, du mariage et encore plus du bien des conjoints, du fait surtout que sont pratiqués des actes sexuels sans fruits à partir des mêmes méthodes diffusées grandement par les Etats sous diverses formes persuasives qui se répandent même chez des catholiques consciencieux.

 

 

EN  FAIT

 

  1. On remarque tout de suite un état de conflit entre les époux et en même temps une tendance très forte aux relations sexuelles, surtout du côté de l’épouse, jalouse au point de frapper son mari parce qu’il avait fait la rencontre d’une jeune fille dans un congrès. D’ailleurs cette jalousie avait existé dès le début de leurs fréquentations.

 

C’est l’épouse cependant qui a demandé la première la séparation, mais c’est le mari qui a saisi le tribunal ecclésiastique pour une déclaration de nullité de mariage.

 

Tout au long du procès se sont manifestés une haine et des reproches extrêmement vifs, et les témoins ont fait preuve de partialité, ceux du mari défendant celui-ci et ceux de l’épouse accusant le mari.

 

  1. La sentence de 1° instance n’a pas retenu l’exclusion du bien des enfants de la part de l’épouse, ni l’incapacité de celle-ci d’assumer les obligations essentielles du mariage, d’une part en s’appuyant sur la jurisprudence de la Rote espagnole et non sur celle de la Rote Romaine, qui seule est la jurisprudence reconnue, et d’autre part en privilégiant les déclarations de l’épouse et de ses témoins.

 

  1. Les Juges du Tour Rotal constatent que le mari a reçu une éducation chrétienne, mais sa conduite d’avant le mariage, qui a entraîné la grossesse de l’épouse, montre qu’il n’a pas été fidèle à cette éducation. Par ailleurs, alors qu’il n’a pas grandi dans une culture favorable au divorce, il accuse son mariage de nullité pour exclusion de sa part de l’indissolubilité.

 

Toutefois il vaut mieux s’attacher aux faits qu’aux déclarations des parties.

 

  1. Le caractère de l’épouse partie appelée, où tous notent une jalousie continuelle, laisse entrevoir un désordre psychique. Cependant la sentence de 1° instance a rejeté ce chef parce que le dossier de la cause ne contenait pas l’examen direct de la femme par l’expert désigné d’office. En admettant la cause à l’examen ordinaire du second degré, le Tour Rotal a estimé que le demandeur, médecin, aurait dû se rendre compte de l’état psychique de sa fiancée. Or, même devant la Rote, l’avocat du demandeur n’a pas requis une nouvelle expertise.

 

  1. En ce qui concerne le bonum prolis, l’épouse déclare qu’il n’y a eu aucune exclusion de sa part et de la part de son mari, contrairement à ce que disent la mère du demandeur et le demandeur lui-même.

 

  1. Les déclarations des uns et des autres sont tellement contradictoires et confuses qu’il est vain d’essayer d’y voir clair. On s’en tiendra donc seulement à la conclusion des Juges : le mariage est nul pour exclusion du bien du sacrement de la part de l’époux demandeur et pour exclusion du bien des enfants de la part des deux époux. La preuve de l’incapacité de l’épouse d’assumer les obligations essentielles du mariage n’est pas rapportée.

 

 

 

Giovanni VERGINELLI, ponent

Egidio TURNATURI

Maurice MONIER

 

__________

 

[1] JEAN-PAUL II, Discours à la Rote, 5 février 1987, AAS 79, 1987, p. 1457, n. 7

[2] Même endroit

[3] Just. Inst. II, 7, 3

[4] Const. GAUDIUM et SPES, n. 48 et 50 ; cf. aussi c. 1055 § 1

38_Turnaturi_17janvier2008

Coram  TURNATURI

 Défaut de discretio judicii

Incapacité d’assumer les obligations essentielles du mariage

 Tribunal régional du Latium – 17 janvier 2008

  1. N. 20.044

Constat de nullité

 __________

 PLAN  DE  L’IN  JURE

  1. La règle du c. 1095
  1. La capacité psychique nécessaire pour contracter

Textes de Jurisprudence

  1. Bruno
  2. Defilippi
  3. Pompedda
  4. Funghini
  5. Stankiewicz
  6. Bruno

 

  1. Les anomalies psychiques qui entraînent une incapacité de contracter

Textes de Jurisprudence

  1. Stankiewicz
  2. Funghini
  3. Pompedda
  4. Boccafola
  5. Funghini
  6. Turnaturi

 

  1. Le narcissisme

 

  1. Le désordre Borderline de Personnalité

 

__________

 

 

EXPOSÉ  DES  FAITS  (résumé)

 

A l’automne de l’année 1990, Enzo d’A. fait la connaissance d’Anna P. En janvier 1991 leur relation devient sentimentale, mais pendant les trois années qui suivent et qui aboutissent au mariage célébré le 10 juin 1993, elle connaît des difficultés dues à l’attitude de la jeune fille ainsi qu’à la personnalité perturbée du jeune homme.

 

La vie conjugale, qui dure 7 ans, est sereine et pacifique au début, mais elle devient difficile, en raison de l’amplification des problèmes interpersonnels et intimes déjà présents avant le mariage, le mari ne pouvant pas « instaurer une relation authentique et paritaire avec son épouse ». Les conjoints se séparent et divorcent.

Le 14 décembre 2001, Enzo, devant le Tribunal régional du Latium, accuse son mariage de nullité pour défaut de discretio judicii et incapacité d’assumer les obligations essentielles du mariage, de sa part, ce que reprend le doute concordé le 1° février 2002. Une expertise psychiatrique est réalisée. Le 14 juillet 2004 le Tribunal rend une sentence négative, qu’infirme le 30 novembre 2006 le Tribunal d’appel du Vicariat de la Ville.

 

En troisième instance à la Rote, Nous avons à répondre au doute concordé le 28 mars 2007 : « La preuve est-elle rapportée que le mariage en cause est nul pour défaut de discretio judicii et/ou pour incapacité d’assumer les obligations conjugales de la part du demandeur ? ».

 

 

 

 

EN  DROIT

 

  1. La règle du c. 1095

 

  1. Il est depuis longtemps admis pacifiquement que « l’alliance matrimoniale, par laquelle un homme et une femme constituent entre eux une communauté de toute la vie, ordonnée par son caractère naturel au bien des conjoints ainsi qu’à la génération et l’éducation des enfants » (c. 1055 § 1), naît du consentement des parties juridiquement capables, légitimement manifesté, qui ne peut être suppléé par aucune puissance humaine, selon la prescription du c. 1057 § 1, et qui est considéré comme la pierre angulaire sur laquelle est construite toute la réflexion canonique sur le mariage.

 

« Le consentement matrimonial est l’acte de la volonté par lequel un homme et une femme se donnent et se reçoivent mutuellement par une alliance irrévocable pour constituer le mariage » (c. 1057 § 2).

 

En conséquence, et compte tenu du droit naturel, le c. 1095 tient pour incapable de contracter mariage les personnes : « 1° qui n’ont pas l’usage suffisant de la raison ; 2° qui souffrent d’un grave défaut de discretio judicii concernant les droits et les devoirs essentiels du mariage à donner et à recevoir mutuellement ; 3° qui, pour des causes de nature psychique, ne peuvent assumer les obligations essentielles du mariage ».

 

  1. La capacité psychique nécessaire pour contracter

Textes de Jurisprudence

 

  1. Pour réaliser un tel don-acceptation particulier ou singulier, bilatéral ou interpersonnel dans une conjugalité spécifique, il est exigé des contractants une capacité psychique, non seulement sous un aspect purement intellectif quant à la nature du mariage, ou sa substance, ou ses fins, mais aussi sous l’aspect intellectif-estimatif des droits et des obligations conjugales qui doivent être donnés et reçus par un consentement mutuel.

 

  1. Bruno

 

Une telle capacité « existe si les contractants, outre une connaissance intellectuelle correcte de l’objet du contrat matrimonial, peuvent estimer mûrement les droits et les devoirs conjugaux, et, par une liberté interne, jouissent de la capacité de se déterminer à réaliser le choix délibéré final »[1].

 

 

  1. Defilippi

 

  1. Ainsi, comme le dit une sentence c. Defilippi, du 16 novembre 2006, sont requis chez le contractant les éléments suivants :

 

« a. Sous l’aspect intellectif, est nécessaire la connaissance de la substance du mariage, au moins comme communauté permanente entre l’homme et la femme, ordonnée à la procréation d’enfants par quelque coopération sexuelle (c. 1096 § 1) ;

  1. Sous l’aspect estimatif, est demandée l’évaluation pratique de la valeur substantielle du mariage, c’est-à-dire des droits et des devoirs essentiels de cette communauté, et l’estimation des motifs qui, d’un côté sont en faveur du mariage à contracter et, d’un autre, déconseillent le mariage ;
  2. Sous l’aspect électif, est exigé le pouvoir, ou liberté, intrinsèque dans la délibération et la décision sur le mariage à contracter concrètement, les impulsions intérieures étant suffisamment subordonnées à la raison ».

 

  1. Pompedda

 

En cas de déficience de ces éléments, la nécessaire discretio judicii peut faire défaut, quand :

 

« 1. Ou bien manque la connaissance intellectuelle suffisante sur l’objet du consentement à donner en contractant le mariage ;

  1. Ou bien le contractant n’a pas encore acquis l’estimation suffisante proportionnée à l’affaire conjugale, c’est-à-dire la connaissance critique adaptée à une si grande entreprise ;
  2. ou bien enfin l’un ou l’autre contractant manque de liberté interne, c’est-à-dire de la capacité de délibérer avec une estimation suffisante des motifs et une autonomie suffisante de la volonté de toute impulsion interne »[2].

 

  1. Le défaut de discretio judicii en effet n’est pas considéré seulement sous l’aspect intellectif, c’est-à-dire en restreignant sa force au défaut de connaissance, de perception et d’estimation d’ordre intellectuel des droits et des devoirs essentiels du mariage[3], mais aussi sous l’aspect du défaut de libre détermination à décider et à contracter le mariage.

 

  1. Funghini

 

Comme on le lit dans une sentence c. Funghini du 19 mars 1993, la discretio judicii embrasse trois éléments : « une connaissance intellectuelle suffisante de l’objet du consentement, une connaissance critique ou, en d’autres termes, une estimation proportionnée au mariage à célébrer, c’est-à-dire convenant à la si importante entreprise qu’est le mariage, et enfin la liberté interne, c’est-à-dire la capacité de délibérer après une évaluation suffisante des motifs et de façon autonome, c’est-à-dire sans aucune détermination interne »[4].

 

Le même Auditeur affirme dans une décision du 23 novembre 1988 que « l’habilité radicale à émettre un consentement matrimonial valide requiert chez les contractants, libres de tout empêchement, une discretio judicii suffisante, la capacité de poser un acte humain et de recevoir et remplir les obligations essentielles du mariage », ce qui fait qu’il doit y avoir chez eux « une plus grande discretio mentis (= discretio judicii) et une liberté plus grande de la volonté que pour n’importe quel contrat valide à conclure, compte tenu de l’importance et des conséquences de ce contrat particulier »[5].

 

  1. Stankiewicz

 

  1. « Cette capacité psychique ou consensuelle, déclare à juste titre une sentence c. Stankiewicz du 26 juin 1997, de former et de manifester le consentement matrimonial, c’est-à-dire l’acte de la volonté (c. 1057 § 2) de toute la personne, intégrant une dimension intellective et affective, requiert de la part des contractants le fonctionnement normal de leurs facultés psychiques, pour que chacun d’eux puisse accepter son partenaire comme conjoint et se donner aussi lui-même comme conjoint à l’autre »[6].

 

  1. Bruno

 

« Par conséquent, il doit y avoir chez ceux qui se marient une maturité matrimoniale adéquate, par laquelle ils puissent suffisamment connaître, estimer, vouloir délibérément et accomplir ce qui est demandé par la nature même du mariage »[7].

 

  1. Les anomalies psychiques qui entraînent une incapacité de contracter

                        Textes de Jurisprudence

 

  1. Cela étant bien vu, il est clair que seules les anomalies psychiques, ou les désordres mentaux, ou les affectivités défectueuses, ou les désordres de la personnalité causent chez celui qui se marie une incapacité de discretio et de prise en charge, tant en ce qui concerne la décision délibérée de l’état conjugal qu’en ce qui regarde les droits et les devoirs conjugaux à échanger, et qu’en ce qui concerne les obligations essentielles du mariage à remplir.

 

Ce n’est pas en effet n’importe quel défaut de discretio judicii qui rend incapable le contractant, mais seulement celui qui est grave.

 

  1. Stankiewicz

 

« Cette gravité, souligne bien une sentence c. Stankiewicz du 28 mai 1991, doit être appréciée tant dans l’ordre objectif, c’est-à-dire compte tenu de la gravité des droits et obligations du mariage avec lesquels l’activité intellective, volitive et affective du contractant doit garder une proportion nécessaire, que dans l’ordre subjectif, c’est-à-dire compte tenu de l’activité gravement perturbée des facultés psychiques, qui concourent substantiellement à la formation de la discretio judicii », ou, en d’autres termes, « dans la lésion substantielle de l’activité intellective dans l’exercice de la faculté cognoscitive, critique ou estimative et dans la lésion de l’activité volitive dans l’exercice de la faculté de décision délibérée »[8].

 

  1. Funghini

 

  1. Plus encore, en ce qui concerne la capacité d’assumer les obligations conjugales, comme l’exprime une sentence c. Funghini du 13 février 1998 : « (cela) revient à dire que non seulement sont requises des contractants la disponibilité et l’aptitude à poser un acte de la volonté par lequel ces personnes se donnent et s’acceptent mutuellement par une alliance irrévocable, mais également la capacité d’établir réellement entre elles une communauté de toute la vie ordonnée par son caractère naturel au bien des conjoints ainsi qu’à la génération et l’éducation des enfants »[9].

 

  1. Pompedda

 

Ainsi il est pacifiquement admis depuis longtemps que l’incapacité d’assumer et de remplir les obligations conjugales essentielles concerne les contractants qui, « même s’ils jouissent de l’usage suffisant de la raison et ne manquent pas gravement de discretio judicii, sont cependant, à cause de leur condition psychique qu’on doit tenir pour pathologique, incapables d’assumer et de remplir les obligations essentielles du mariage, même éventuellement voulues sciemment, librement, et avec l’évaluation nécessaire »[10].

 

  1. Boccafola

 

Il s’agit en effet de l’impossibilité de réaliser l’objet du consentement, impossibilité dans laquelle « donc, le consentement est sans objet parce que, bien que le contractant puisse accomplir un acte psychiquement intègre de consentement et qu’il ait une véritable volonté de remplir les obligations qu’il a librement reçues, ce contractant est cependant incapable de remplir l’objet du consentement pour des causes de nature psychique et donc il est également incapable d’assumer l’obligation à laquelle il s’était sincèrement engagé »[11].

 

  1. Funghini

 

« Doit donc être déclaré incapable de contracter en vertu du c. 1095, 3° celui qui, même s’il est capable d’émettre consciemment et librement un consentement comme un acte psychologique ou, en d’autres termes, subjectif, ne peut mettre à exécution les obligations qui découlent nécessairement du mariage, bien qu’il souhaite, veuille et entende positivement les recevoir librement et de façon déterminée »[12].

 

  1. Turnaturi

 

« De même que personne ne peut rien édifier sans infrastructure, de même, en cas de déficience de l’habilité à instaurer et à mener une relation inter et intra-personnelle, il est vain de parler des autres obligations conjugales essentielles qui sont à remplir mutuellement entre conjoints.

 

Si un tel fondement fait défaut, il y a une impossibilité de remplir les obligations conjugales »[13].

 

  1. Le narcissisme

 

  1. Parmi les causes qui font obstacle au don-acceptation de nature conjugale des contractants, c’est-à-dire à leur capacité psychique, la jurisprudence rotale a souvent reconnu l’importance de l’immaturité psychique ou narcissisme, qui selon elle « indique quasiment, par ses caractéristiques propres, un arrêt ou une régression de la personnalité avant la maturité, surtout en ce qui concerne l’affectivité et la vie émotive, du fait que cette situation se rapporte surtout à la communauté conjugale et finalement, en raison de signes particuliers dans le comportement du sujet, aux droits et devoirs conjugaux pour leur réalisation convenable : il surgit chez le narcissique une pressante et invincible propension par laquelle la cohabitation, surtout dans les profondeurs de l’intimité, est supportée avec peine, et affecte le conjoint par la manière très dure du sujet de se comporter, celui-ci ne s’occupant en rien des demandes légitimes de son conjoint et réclamant pour ses propres demandes, même fictives, et sans aucun respect, une attention complète »[14].

 

  1. Le désordre Borderline de Personnalité

 

  1. Dans l’affaire présente, il est plus précisément question du désordre de la personnalité qu’on appelle « borderline », dont traite l’ouvrage bien connu DSM-IV-TR, 301.P3, et dans lequel se voit comme la peinture de la personnalité du mari demandeur.

 

Une sentence c. Sable, du 15 avril 1999, rappelle de façon exacte cette doctrine : « Le terme de ‘borderline’, employé pour la première fois par Stern, reflète l’opinion prévalente que ces personnes (de nombreux patients qui, tout en ne répondant pas aux types de diagnostic associés aux diverses psychoses reconnues, montrent néanmoins une si grave psychopathologie qu’ils ne peuvent pas non plus être traités avec succès en raison de difficultés inhabituelles) tombent dans une catégorie intermédiaire qui, suivant la rigueur de la maladie, se trouve entre les névroses plus familières et les problèmes moins aigus de caractère, d’un côté, et les troubles psychotiques de l’autre[15] ».[16]

 

 

 

EN  FAIT  (résumé)

 

  1. EN PREMIÈRE ET EN SECONDE INSTANCE

 

Dans son libelle de 1° instance, le demandeur déclare que son mariage est nul pour défaut de discretio judicii et pour incapacité d’assumer les obligations du mariage, de sa part. Il attribue ces deux motifs de nullité à l’ambiance malheureuse de la famille où il a grandi et à ses relations conflictuelles avec son père, ce qui a empêché sa maturité et ne lui a pas permis d’acquérir une personnalité apte au mariage. Il écrit en particulier : « Dès l’adolescence, j’ai souffert d’une profonde insécurité, d’une fragilité affective, d’une impulsivité et d’une incapacité de nouer des relations avec les autres, surtout avec les filles ».

 

L’épouse partie appelée s’oppose aux déclarations d’Enzo, mais tout en suspectant celle-ci de déformer les faits, le Tribunal de 1° instance a suivi sa position.

 

Il y avait eu cependant une expertise du Professeur Callieri qui, après avoir rappelé le contexte familial du demandeur, avait caractérisé la personnalité de celui-ci comme fortement perturbée et « pleinement dans le domaine des troubles borderline de la personnalité ».

 

Le Professeur a confirmé en seconde instance les conclusions de sa précédente expertise : « Le sujet était affecté de personnalité borderline avec une caractéristique spécifique de narcissisme. En général le borderline est à la limite entre le narcissisme et le monde hystérique. Dans le sujet en examen c’est le sens narcissique qui prévaut de beaucoup sur l’hystérique ».

 

La méthode de l’expert est très intéressante en ce sens qu’elle fait appel avant tout aux faits : « L’étude des faits est beaucoup plus importante qu’une visite spécialisée de courte durée et malheureusement faite après de longues années : il faut étudier les faits ».

 

L’expert détaille à nouveau les résultats de son étude et conclut qu’en raison de sa constitution psychopathologique le demandeur, au moment de son mariage, n’avait pas la capacité d’émettre un consentement libre et conscient, et qu’il n’était pas en mesure d’instaurer avec sa femme une relation substantiellement personnelle.

 

La sentence de 2° instance regrette que la décision de 1° instance n’ait pas tenu suffisamment compte des faits et ait accordé un crédit exagéré à l’épouse partie appelée, et les juges d’appel ont infirmé cette décision.

 

  1. LE JUGEMENT DU TOUR ROTAL

 

  1. Les déclarations d’Enzo

 

Le demandeur reconnaît qu’avant son mariage il a rencontré à plusieurs reprises des psychologues et des psychiatres, qu’avant son mariage également ses relations avec Anna ont connu « de graves problèmes de nature relationnelle et intime ». De ses longues déclarations et de celles des témoins, il ressort qu’Enzo était affecté d’un désordre psychique grave et inguérissable.

 

  1. Les témoins

 

La mère d’Enzo décrit longuement l’ambiance familiale, les problèmes posés par son fils, qui n’arrivait pas à se faire des amis et qui était mal à l’aise avec les filles, les difficultés entre Enzo et son père, ce dernier, orphelin dès l’enfance, s’étant « fait par lui-même » et désirant que son fils soit comme lui, fort et déterminé, prêt à affronter la vie.

 

La sœur d’Enzo confirme les déclarations de sa mère, et son mari, médecin, parle de son beau-frère comme d’un « type introverti, fermé, pessimiste dans les rapports avec les autres », et il exprime ses doutes sur « la maturité d’Enzo pour affronter le mariage ».

 

Les autres témoins parlent aussi de l’immaturité du demandeur, de ses difficultés à avoir des relations avec les autres. L’un d’eux souligne qu’Enzo a toujours été suivi de près par sa mère et par des psychothérapeutes.

  1. Les certificats médicaux

 

Un certificat du 11 juin 2003 attribue à Enzo un désordre de la personnalité Borderline. Avant cette date, un certificat d’une clinique psychiatrique avait déjà relevé, en mars 2000, un Trouble de la Personnalité. Le Professeur P., le 21 février 2003, diagnostique chez Enzo un Trouble de la Personnalité Borderline, « de forme grave ». Les actes contiennent un autre certificat du 7 décembre 2004 parlant de Trouble schizo-affectif de Personnalité ; le Professeur R., en 2004 également, a la même conclusion, après une analyse sérieuse et méthodique de la situation psychologique d’Enzo.

 

  1. L’épouse ne mérite pas qu’on lui accorde foi

 

Le Tour Rotal, suivant en cela le Tribunal d’appel, procède à un examen approfondi des déclarations de l’épouse et considère, avec les Juges de 2° instance, que « la position de la partie appelée ne s’inspire pas des critères de véracité » et que, sur des points importants, « ce qu’elle affirme, non seulement ne correspond pas à la vérité, mais encore apparaît absolument invraisemblable ».

 

 

Constat de nullité

pour défaut de discretio judicii

et incapacité d’assumer

de la part du mari demandeur

 

 

Vetitum pour le mari demandeur

 

 

Egidio TURNATURI, ponent

Maurice MONIER

Pio Vito PINTO

 

__________

 

[1] C. BRUNO, 30 mars 1990, SRRDec, vol. LXXXII, p. 253, n. 3

[2] C. POMPEDDA, 19 mai 1994, SRRDec, vol. LXXXVI, p. 209, n. 3

[3] COMMUNICATIONES, 15, 1983, p. 231

[4] C. FUNGHINI, 19 mars 1993, SRRDec, vol. LXXXV, p. 403, n. 2

[5] C. FUNGHINI, 23 novembre 1988, SRRDec, vol. LXXX, p. 637, n. 2

[6] C. STANKIEWICZ, 26 juin 1997, SRRDec, vol. LXXXIX, p. 532, n. 5

[7] C. BRUNO, 15 décembre 1989, SSRDec, vol. LXXXI, p. 765, n. 4

[8] C. STANKIEWICZ, 28 mai 1991, SRRDec, vol. LXXXIII, p. 345, n. 6

[9] C. FUNGHINI, 13 février 1998, SRRDec, vol. XC, p. 47, n. 2

[10] C. POMPEDDA, 1° juin 1992, SRRDec, vol. LXXXIV, p. 324, n. 5

[11] C. BOCCAFOLA, 15 mai 1997, SRRDec, vol. LXXXIX, p. 400, n. 6

[12] C. FUNGHINI, 13 février 1998, SRRDec, vol. XC, p. 47, n. 2

[13] C. TURNATURI, 11 novembre 2006, n. 6

[14] C. SERRANO, 18 février 1983, inédite, et 21 octobre 1998, SRRDec, vol. LXXX, p. 531, n. 12 ; c. EGAN, 29 mars 1984, SRRDec, vol. LXXVI, p. 206, n. 6 ; c. FIORE, 30 mai 1987, SRRDec, vol. LXXIX, p. 348 ; c. DORAN, 6 juillet 1989, SRRDec, vol. LXXXI, p. 496, n. 26 ; c. COLAGIOVANNI, 20 mars 1991, SRRDec, vol. LXXXIII, p. 175

[15] International Universities Press, New York 1983, p. 225

[16] C. SABLE, 15 avril 1999, SRRDec, vol. XCI, p. 291, n. 14 ; cf. John GUNDERSON, La personalità borderline. Una guida clinica, Milan, Cortina 2003

38_Turnaturi_15janvier2009

Coram  TURNATURI

 Défaut de discretio judicii

Incapacité d’assumer les obligations du mariage

Simulation totale

 Etat libre associé de Porto Rico – 15 janvier 2009

Constat de nullité

pour les deux premiers chefs

en ce qui concerne le mari

 __________

PLAN  DE  L’IN  JURE

PREMIÈRE  PARTIE

 

LE  DÉFAUT  DE  DISCRETIO JUDICII  ET  L’INCAPACITÉ  D’ASSUMER

 

Introduction : le canon 1095

 

  1. LE DÉFAUT DE DISCRETIO JUDICII
  2. La triple capacité nécessaire pour le mariage
  3. L’absence de cette triple capacité entraîne le défaut de discretio judicii
  4. La nécessaire gravité du défaut de discretio judicii
  5. La preuve du défaut de discretio judicii

 

  1. L’INCAPACITÉ D’ASSUMER
  2. Nature de l’incapacité d’assumer
  3. Les éléments requis pour la capacité d’assumer
  4. Les contractants incapables d’assumer
  5. Les conditions de l’existence d’une incapacité d’assumer
  6. La nécessaire présence d’une anomalie psychique au moment du mariage

 

III. LES CAUSES QUI PEUVENT ENTRAÎNER L’INCAPACITÉ DE CONSENTEMENT

  1. L’immaturité affective
  2. Le Trouble Borderline de Personnalité

 

  1. LE RECOURS A L’EXPERT

 

DEUXIÈME  PARTIE

 

LA  SIMULATION

 

 

__________

 

 

EXPOSÉ  DES  FAITS  (résumé)

 

Delia M. et Eufemio S. étaient très jeunes quand ils se sont rencontrés en 1963. Rapidement ils se fiancent et vivent ensemble à partir de 1965. Cependant, pendant cette période, Eufemio est contraint d’épouser une autre femme, pour « réparer » une faute commise avec elle. Le mariage est seulement un mariage civil, qui prend fin en 1971.

 

En novembre 1972, Delia et Eufemio, qui avaient déjà 3 enfants, contractent un mariage religieux à Porto Rico. Deux enfants naîtront encore. L’union des époux se dégrade peu à peu en raison de l’alcoolisme du mari, de ses innombrables infidélités et des sévices qu’il inflige à sa femme. Celle-ci tombe en dépression et, après plusieurs séparations et séjours en hôpital psychiatrique, elle demande le divorce, qu’elle obtient le 18 novembre 1987 pour faute et négligence du mari envers sa femme et ses enfants.

 

Désireuse de retrouver sa liberté devant l’Eglise, Delia, le 11 juillet 1991, demande au Tribunal ecclésiastique de Cliveland, aux Etats-Unis, la déclaration de nullité de son mariage en vertu du c. 1673, n. 3, mais le Tribunal de Porto Rico, en raison de l’opposition d’Eufemio, refuse la prorogation de compétence. Delia s’adresse donc à ce tribunal, compétent de par le c. 1673, n. 1 et 2, et accuse son mariage de nullité pour défaut de discretio judicii, incapacité d’assumer (c. 1095, 2° et 3°), ainsi que pour simulation totale, selon le c. 1101 § 2, sans d’ailleurs indiquer qui des deux époux était responsable du défaut ou du vice du consentement.

 

Aucune expertise n’est exécutée. Le 22 novembre 1996, la sentence de 1° instance est négative sur tous les chefs, envisagés par rapport à chacune des parties. La demanderesse fait appel au Tribunal de seconde instance de Porto Rico qui, sans citation des parties, sans concordance du doute, sans décret de conclusion de la cause, et sans remarques de l’avocat ou du défenseur du lien, confirme la sentence négative de la 1° instance.

 

L’épouse a recours à la Rote qui reconnaît la nullité de la sentence de 2° instance et, le 19 juillet 2002, détermine le doute concordé sous la formule suivante : La preuve est-elle rapportée que le mariage en cause est nul pour défaut de discretio judicii et/ou incapacité d’assumer les obligations conjugales de la part d’une des parties ou des deux, et, de façon subordonnée, pour simulation totale de la part d’une des parties ou des deux ?

 

L’épouse est entendue à nouveau ainsi que des témoins, une expertise psychiatrique est réalisée, et l’avocat et le défenseur du lien présentent leurs remarques. Nous répondons aujourd’hui au doute concordé, en seconde instance.

 

 

EN  DROIT

 

PREMIÈRE  PARTIE

 

LE  DÉFAUT DE  DISCRETIO  JUDICII  ET  L’INCAPACITÉ  D’ASSUMER

 

Introduction : le canon 1095

 

  1. Le mariage, en tant qu’intime communauté de vie et d’amour, « est instauré par le consentement personnel irrévocable »[1], que peuvent exprimer seulement des personnes juridiquement capables, c’est-à-dire avec une intention droite, et une pleine liberté tant externe qu’interne.

 

Comme le mariage est en réalité une communauté de toute la vie, ordonnée par son caractère naturel au bien des conjoints ainsi qu’à la génération et l’éducation des enfants (cf. c. 1055 § 1), les contractants doivent être dotés d’un degré de maturité physique et psychique suffisant et proportionné à une telle communauté, pour pouvoir par un acte de volonté se donner et se recevoir mutuellement pour constituer et conduire cette communauté.

 

  1. En raison de cette exigence la norme du Code, fondée sur le droit naturel et sanctionnée par le Législateur, considère comme incapables, sous l’aspect psychique et donc juridique, de donner un consentement matrimonial qui soit en mesure, en même temps, de faire naître un effet juridique ou de constituer une réalité juridique, les personnes : « 1° qui n’ont pas l’usage suffisant de la raison ; 2° qui souffrent d’un grave défaut de discretio judicii concernant les droits et les devoirs essentiels du mariage à donner et à recevoir mutuellement ; 3° qui pour des causes de nature psychique ne peuvent assumer les obligations essentielles du mariage » (c. 1095).

 

  1. LE DÉFAUT DE DISCRETIO JUDICII

 

  1. La triple capacité nécessaire pour le mariage

 

  1. Ainsi, la Jurisprudence Rotale rappelle souvent qu’en contractant mariage, c’est-à-dire en exprimant leur consentement matrimonial, ceux qui se marient doivent jouir d’une triple capacité : celle de comprendre, celle d’apprécier ou, en d’autres termes, d’estimer et d’évaluer de façon critique l’objet du consentement, et celle d’assumer les obligations essentielles du mariage.

 

En d’autres termes, il doit y avoir chez ceux qui se marient « une maturité matrimoniale adéquate, par laquelle ils puissent suffisamment connaître, estimer, vouloir délibérément et accomplir ce qui est demandé par la nature même du mariage »[2].

 

  1. De même, comme le dit une sentence c. Defilippi, du 16 novembre 2006, sont requis chez le contractant les éléments suivants :

« a. Sous l’aspect intellectif, est nécessaire la connaissance de la substance du mariage, au moins comme communauté permanente entre l’homme et la femme, ordonnée à la procréation d’enfants par quelque coopération sexuelle (c. 1096 § 1) ; b. Sous l’aspect estimatif, est demandée l’évaluation pratique de la valeur substantielle du mariage, c’est-à-dire des droits et des devoirs essentiels de cette communauté, et l’évaluation des motifs qui, d’un côté sont en faveur du mariage à contracter et, d’un autre, déconseillent le mariage ; c. Sous l’aspect électif, est exigé le pouvoir, ou liberté, intrinsèque dans la délibération et la décision sur le mariage à contracter concrètement, les impulsions intérieures étant suffisamment subordonnées à la raison ».

 

  1. L’absence de cette triple capacité entraîne le défaut de discretio judicii

 

  1. De la conspiration harmonieuse ou du concours adéquat de ces opérations « il se fait qu’un sujet, de droit naturel, est capable de contracter mariage »[3].

 

Par contre, en cas de déficience de ces éléments, la nécessaire discretio judicii peut faire défaut, quand :

« 1. Ou bien manque la connaissance intellectuelle suffisante à propos de l’objet du consentement à donner en contractant le mariage ;

  1. Ou bien le contractant n’a pas encore acquis l’estimation suffisante proportionnée à l’affaire conjugale, c’est-à-dire la connaissance critique adaptée à une si grande entreprise ;
  2. Ou bien enfin l’un ou l’autre contractant manque de liberté interne, c’est-à-dire de la capacité de délibérer avec une estimation suffisante des motifs et une autonomie suffisante de la volonté de toute impulsion interne »[4].

 

  1. La nécessaire gravité du défaut de discretio judicii

 

  1. Ce n’est toutefois pas n’importe quel défaut de discretio judicii qui entraîne l’incapacité du contractant ou la nullité du mariage, mais seulement celui qui est grave et ceci en rapport aux droits et aux devoirs essentiels du mariage à donner et à recevoir mutuellement.

 

« Cette gravité du défaut de discretio judicii doit être appréciée tant dans l’ordre objectif, c’est-à-dire compte tenu de la gravité des droits et obligations du mariage avec lesquels l’activité intellective, volitive et affective du contractant doit garder une proportion nécessaire, que dans l’ordre subjectif, c’est-à-dire compte tenu de l’activité gravement perturbée des facultés psychiques, qui concourent substantiellement à la formation de la discretio judicii », ou en d’autres termes, « dans la lésion substantielle de l’activité intellective dans l’exercice des facultés cognoscitive, critique ou estimative et dans la lésion de l’activité volitive dans l’exercice de la faculté de décision délibérée »[5].

 

  1. La preuve du défaut de discretio judicii

 

  1. Il n’échappe donc à personne qu’on ne peut parler de défaut de discretio judicii que dans la mesure où apparaissent nettement ou sont prouvées chez le contractant des dysfonctions ou, en d’autres termes, des altérations du dynamisme du processus cognitif-estimatif, ou délibératif, qui s’opposent à ce que le sujet jouisse des qualités requises ci-dessus, et qui peuvent se vérifier par diverses anomalies psychiques ou des désordres de la personnalité, qui ont une note de gravité.

 

« C’est pourquoi, dit de façon appropriée une sentence c. Defilippi, du 9 mars 2000, ce sont des anomalies qui sont requises, qui en tout cas ont un aspect psychopathologique, même considérée au sens commun », qui « doivent être graves, parce que les légers défauts psychiques, bien qu’ils puissent diminuer la pondération ou la liberté interne, ne provoquent pas une véritable incapacité de donner le consentement conjugal »[6].

 

  1. L’INCAPACITÉ D’ASSUMER

 

  1. Nature de l’incapacité d’assumer

 

  1. L’incapacité d’assumer les obligations matrimoniales, qu’il faut distinguer des incapacités des n. 1 et 2 du c. 1095, se vérifie non pas par un défaut de l’acte psychologique de l’intelligence et de la volonté, mais par l’impossibilité de réaliser l’objet du consentement et elle n’est constituée que lorsqu’elle provient de causes de nature psychique. C’est pour cette raison qu’on ne peut pas affirmer qu’il y a une incapacité de contracter sans anomalie psychique.

 

« L’incapacité d’assumer, au sens propre, se base sur l’impossibilité originaire de la prestation des obligations matrimoniales essentielles, c’est-à-dire de leur accomplisse-ment »[7]. L’obligation qui ne peut être remplie est à considérer comme nulle.

 

  1. Les éléments requis pour la capacité d’assumer

 

  1. Plus encore, en ce qui concerne la capacité d’assumer les obligations conjugales, comme l’exprime une sentence c. Funghini du 13 février 1998 : « (cela) revient à dire que non seulement sont requises des contractants la disponibilité et l’aptitude à poser un acte de la volonté par lequel ces personnes se donnent et s’acceptent mutuellement par une alliance irrévocable, mais également la capacité d’établir réellement entre elles une communauté de toute la vie ordonnée par son caractère naturel au bien des conjoints ainsi qu’à la génération et l’éducation des enfants »[8].

 

« Assumer, en définitive, c’est s’obliger ici et maintenant à répondre dans l’avenir, par les actes, les comportements et la vie en commun, à la condition propre des époux »[9].

 

Comme nous l’avons dit dans une sentence du 21 novembre 1997, « le consentement matrimonial ne regarde pas seulement le moment générateur de son émission, mais il doit regarder également l’accomplissement de son objet »[10].

 

  1. Les contractants incapables d’assumer

 

  1. Ainsi il est pacifiquement admis depuis longtemps que l’incapacité d’assumer et de remplir les obligations conjugales essentielles concerne les contractants qui, « même s’ils jouissent de l’usage suffisant de la raison et ne manquent pas gravement de discretio judicii, sont cependant, à cause de leur condition psychique qu’on doit tenir pour pathologique, incapables d’assumer et de remplir les obligations essentielles du mariage, même éventuellement voulus sciemment, librement, et avec l’évaluation nécessaire »[11].

 

« Doit donc être déclaré incapable de contracter en vertu du c. 1095, 3° celui qui, même s’il est capable d’émettre consciemment et librement un consentement comme un acte psychologique ou, en d’autres termes, subjectif, ne peut mettre à exécution les obligations qui découlent nécessairement du mariage, bien qu’il souhaite, veuille et entende positivement les recevoir librement et de façon déterminée »[12].

 

  1. Les conditions de l’existence d’une incapacité d’assumer

 

  1. Dans ces cas-là cependant, comme le dit à juste titre une sentence c. Funghini, du 29 juin 1993, de la teneur du canon et de par la jurisprudence rotale établie on ne peut affirmer l’existence d’une incapacité d’assumer que :

« a. s’il y a, non pas une simple difficulté, même grave, mais une impossibilité par suite d’une anomalie psychique qui atteint la structure psychique du contractant ;

  1. si cette anormalité pathologique est d’une telle importance que le contractant, bien que possédant une faculté de discernement intègre, est privé, totalement ou partiellement, de la faculté de disposer de l’objet du consentement matrimonial ;
  2. si l’anormalité ou la perturbation de la personnalité est pré-matrimoniale et qu’elle est présente sous sa forme grave au moment de l’émission du consentement ;
  3. si la pathologie est si grave qu’elle rende intolérable la communauté conjugale et que celui qui en est affecté ne puisse pas améliorer les choses, même s’il le souhaite et le veut »[13].

 

  1. La nécessaire présence d’une anomalie psychique au moment du mariage

 

  1. Enfin il faut que l’anomalie ou le désordre psychique qui peut faire obstacle à la faculté de discretio ou à la capacité d’assumer soit présente au moment de l’émission du consentement.

 

« Si la maladie en effet se déclare seulement après le mariage, en raison des circonstances particulières dans lesquelles se trouvent les conjoints, le mariage doit être déclaré valide, même si par la suite la vie conjugale devient impossible, puisque la validité du mariage dépend de l’habilité des parties au moment de l’émission du consentement.

 

Si par contre des signes clairs et certains de la maladie latente existaient déjà avant le mariage, et si de graves désordres, sans faute du conjoint ou sans intervention d’autres facteurs, ne sont apparus que pendant la vie conjugale, le mariage doit être déclaré nul, parce que la gravité de la maladie, même en germe, était déjà présente auparavant dans l’état de latence de la maladie »[14].

 

Comme le déclare une sentence c. Serrano du 28 février 1992, pour prouver l’incapacité psychique du contractant, « deux éléments doivent apparaître hors de tout doute raisonnable : les causes psychiques existant déjà depuis plusieurs années, et cela avant le mariage, étaient graves ; et après le mariage rien d’autre en dehors d’elles, au cours du temps, n’a pu agir sur la ruine du mariage de façon déterminante au point qu’un bouleversement de cette nature ne pouvait pas dépendre à coup sûr de ce qui existait au moment du consentement »[15].

 

III. LES CAUSES QUI PEUVENT ENTRAîNER L’INCAPACITÉ DE CONSENTEMENT

 

  1. La jurisprudence rotale reconnaît, parmi les causes qui peuvent réaliser l’incapacité de consentement, soit l’immaturité affective,[16] soit « la catégorie de perturbation de la personnalité qu’on appelle ‘Trouble Borderline de Personnalité’ »[17], selon les critères utilisés par les experts.[18]

 

  1. L’immaturité affective

 

  1. L’immaturité affective, en effet, est le signe d’une certaine perturbation de l’affectivité, qui, en certains cas, atteint un degré de telle gravité que l’esprit du contractant est gravement perturbé et que ce sujet est empêché de jouir d’une discretio judicii droite ou d’une liberté interne correcte.

 

L’immaturité affective, en effet, au sens psychologique ou psychiatrique, se vérifie lorsqu’à l’adolescence, l’évolution psycho-affective se fige ou régresse à des phases précédentes, alors que l’intelligence reste intacte.

 

Le sujet affecté par l’immaturité « est un individu normalement intelligent, parfois même très doué intellectuellement, mais dont l’évolution affective, c’est-à-dire la maturation des instincts, sentiments et émotions, est restée plus ou moins incomplète »[19].

 

L’immaturité affective « décrit un retard dans le développement des relations affectives, avec une tendance à la défiance et à la suggestibilité évoquant l’affectivité infantile, contrastant chez l’adulte avec le niveau du développement des fonctions intellectuelles »[20].

 

  1. Le Trouble Borderline de Personnalité

 

  1. Selon la sentence déjà citée c. Stankiewicz, du 23 mars 2000, le Trouble BORDERLINE de Personnalité a des conséquences sur la capacité d’assumer les obligations conjugales en raison de leur influence « sur la capacité du sujet, affecté de cette perturbation, ‘d’assumer les devoirs de la communauté de vie’[21], en raison de la force infirmant chez ce sujet la faculté psychique d’instaurer et de porter ‘l’intime et perpétuelle relation interpersonnelle matrimoniale’[22]».[23]

 

Ceci est affirmé « compte tenu que le terme de ‘borderline’, au début, indiquait ‘une entité clinique qui était aux confins de la psychose ou plus spécifiquement de la schizophrénie’ et par la suite seulement ‘a été mis en relation surtout avec les troubles de l’affectivité’[24] ».[25]

 

On ne peut cependant pas nier que ce Trouble Borderline, en affectant gravement l’affectivité, peut avoir aussi une force de destruction sur la faculté de discretio ou sur la liberté interne du sujet en raison de la désorganisation de l’affectivité.

 

  1. Tout récemment le Prof. B. Callieri a écrit à ce sujet : « Dans le Borderline le chapitre le plus riche de conséquences existentielles est celui qui concerne les relations interpersonnelles, relations souvent superficielles et transitoires, avec la capacité d’un fonctionnement social adéquat, pourvu qu’il reste superficiel, également du point de vue sexuel. Une telle disparité entre le fait de nouer des relations superficielles et celui d’avoir des relations profondes peut être attribuée, selon Kohut, à un manque d’identité propre cohérente […]. Certains soutiennent au contraire que le borderline est capable d’établir des relations intenses mais éphémères (ingolfanti). Cela le distinguerait du schizophrène ou du narcissique. De toute façon reste clair le défaut de la réciprocité de relation, avec une dépendance marquée et de fortes tendances manipulatrices »[26].

 

  1. LE RECOURS A L’EXPERT

 

  1. Il est clair ainsi que le recours à l’expert est non seulement utile mais nécessaire : la loi canonique le postule expressément dans ce genre de causes (c. 1680). Les experts, à partir d’une soigneuse analyse des actes et des documents ou, le cas échéant, après avoir procédé à un examen médical de la partie, doivent informer le juge sur la nature, l’origine et la gravité de sa condition psychique ainsi que sur la présence de celle-ci au moment où le mariage a été célébré.

 

Selon l’Instruction Dignitas Connubii le juge doit pour chaque cas demander à l’expert :

 

« 1. Dans les causes pour défaut d’usage de la raison, […] si au moment de la célébration du mariage cette anomalie perturbait gravement l’usage de la raison ; avec quelle intensité et à quels indices elle se révélait ;

  1. Dans les causes pour défaut de discretio judicii, […] quel a été l’effet de l’anomalie sur la faculté critique et élective de prendre des décisions importantes, particulièrement pour choisir librement un état de vie ;
  2. Enfin dans les causes pour incapacité d’assumer les obligations essentielles du mariage, […] quelle est la nature et la gravité du fondement psychique à cause duquel la partie n’est pas seulement affectée d’une grave difficulté, mais aussi d’une impossibilité d’accomplir les actions inhérentes aux obligations du mariage » (art. 209 § 2).

 

Enfin, « le juge appréciera attentivement, non seulement les conclusions, même concordantes, des experts, mais également les autres données de la cause », et « en donnant les motifs de sa décision, il doit préciser les raisons pour lesquelles il a admis ou rejeté les conclusions des experts » (c. 1579 § 1 et 2). Le juge en effet ne doit pas accepter passivement les conclusions des experts, mais il doit les examiner de façon critique, c’est-à-dire : sont-elles fondées dans les actes, vont-elles plus loin que les prémisses, adhèrent-elles aux principes de l’anthropologie chrétienne, sont-elles présentées comme certaines ou probables ?

 

 

DEUXIEME  PARTIE

 

LA  SIMULATION

 

  1. En ce qui concerne la simulation du consentement, il suffira de rappeler les prescriptions du c. 1101, selon lequel la validité juridique du consentement des parties est présumée ou, plus exactement, qu’est présumée la conformité de ce consentement aux paroles et aux signes employés dans la célébration du mariage (c. 1101 § 1), mais il n’est pas exclu qu’il puisse y avoir parfois une divergence entre ce qui est pensé et ce qui est dit extérieurement, et donc l’invalidité de ce consentement en raison de cette difformité juridique, à savoir quand « l’une ou l’autre partie, ou les deux, par un acte positif de la volonté, excluent le mariage lui-même, ou un de ses éléments essentiels ou une de ses propriétés essentielles » : la volonté positive de la part du simulant, pour rejeter le mariage ou au moins un de ses éléments essentiels, est nécessaire pour que soit reconnue légitimement, ou en d’autres termes, juridiquement, une simulation totale ou toute simulation juridique alléguée, et elle doit ressortir des actes et des éléments de preuve, avec une certitude morale de la part du tribunal, selon les critères cent fois invoqués et requis dans ces hypothèses.

 

 

 

EN  FAIT

 

La lecture des actes et l’étude des circonstances qui entourent l’échec de la cohabitation des parties, avant et après leur mariage, montrent bien que la solution des doutes concordés ne dépend pas directement des déclarations des parties et des témoins, mais plutôt de l’interprétation juste des faits survenus après le mariage en raison de la conduite aberrante du mari envers son épouse et ses enfants. Ces faits non seulement éclairent la situation lamentable dans laquelle s’est trouvée l’épouse, jusqu’à une grave dépression et la ruine du mariage, mais encore ils démontrent l’état psychopathologique du mari au moment de la célébration du mariage, et même avant celle-ci.

 

Nous verrons d’abord l’état psychique de l’épouse, puis celui du mari, avant d’étudier la simulation totale alléguée.

 

  1. L’EPOUSE DEMANDERESSE

 

Delia, l’épouse demanderesse, a vécu dans une famille perturbée par l’alcoolisme du père, qui se répercutait en maltraitance de sa femme. Ceci est confirmé par tous les témoins, qui cependant excluent que Delia en ait subi des conséquences psychiques. Notre expert partage cet avis, après avoir examiné non seulement les actes de la cause mais encore les certificats médicaux émanant des hôpitaux où a été soignée l’épouse. Pour l’expert il ne peut être question chez celle-ci de défaut de discretio judicii ou d’incapacité d’assumer les obligations essentielles du mariage.

 

(Il est inutile ici de reprendre les longues constatations des divers médecins. Il suffira de reprendre certaines conclusions de l’expert rotal.)

 

« Il est très probable que Delia présente une condition psychique caractérisée par une relative fragilité, une faiblesse émotive, une attitude de dépendance et de soumission, une tendance à l’introversion et à la dépression, qui sans aucun doute la prédisposait aux développements d’états dépressifs cliniquement importants ». Toutefois, « il n’y a pas d’éléments suffisants de preuve pour affirmer que Madame Delia M., à l’époque (de son mariage), était affectée d’un Trouble de la Personnalité, en particulier de type Dépendant, ou d’un Trouble Dysthymique et/ou d’une grave immaturité ».

 

  1. LE MARI, PARTIE APPELÉE

 

La sentence du Tribunal de 1° instance de Porto Rico estime qu’en ce qui concerne les chefs de défaut de discretio judicii et d’incapacité d’assumer les charges conjugales de la part du mari, il y a des indices de conduite anormale : très jaloux, abusant physiquement de sa femme, alcoolisme. Toutefois, selon cette sentence, il n’apparaît pas certain, d’après les actes, que l’anormalité de la conduite d’Eufemio, clairement établie après le mariage, ait été antérieure à celui-ci.

 

Il a été non seulement très opportun, mais nécessaire, de recourir à notre expert qui, malgré ‘l’absence du jugement’ pour le mari et le manque d’attestations psychologiques et/ou psychiatriques à son sujet, estime qu’il y a dans le dossier « des arguments pour exprimer un jugement sur l’état psychique de l’intéressé au moment de la célébration du mariage, et ceci avec un bon niveau de certitude scientifique et morale ».

D’une part les conséquences malheureuses pour la demanderesse du tempérament psychique de son mari et de sa conduite lamentable montrent que, dès l’adolescence, il souffrait d’une structure de personnalité psychopathologique. D’autre part les certificats médicaux qui témoignent de l’état psychique de l’épouse à la suite des fautes de son mari permettent de connaître le propre état psychique de ce dernier.

 

Selon l’expert les sévices encourus par l’épouse et par ses enfants de la part d’Eufemio révèlent bien la nature pathologique de celui-ci. « Nous retrouvons dans le comportement de la partie appelée, tel que le rapportent les actes, des aspects anormaux d’impulsivité, d’agressivité, une instabilité affective due à une réactivité marquée de l’humeur, une suspicion et une méfiance du prochain […]. Son incapacité à contrôler ses instincts et l’absence de principes moraux valides sont démontrés par ses nombreuses relations avec d’autres femmes, avant et après le mariage, et également après le divorce d’avec Delia ».

 

Les témoins font tous état de la personnalité anormale du mari.

 

L’expert en conclut que Eufemio était atteint d’un Trouble Borderline de la Personnalité, « d’origine endogène-constitutionnelle », qui « compromettait certainement, par sa nature et par sa gravité, non seulement la sphère cognitive, mais aussi la sphère volitive et affective ». En conséquence, « il n’avait pas la capacité d’assumer des décisions qui comportent des engagements permanents et exclusifs et il avait encore moins la capacité de s’engager dans une relation interpersonnelle stable ».

 

– Il est superflu de répondre au doute portant sur la simulation totale de l’un des époux ou des deux. Aucun argument ne se trouve dans les actes pour prouver cette simulation.

 

 

– Constat de nullité

pour défaut de discretio judicii

et pour incapacité d’assumer les obligations du mariage

de la part du mari, partie appelée

 

 

Egidio TURNATURI, ponent

Maurice MONIER

Pio Vito PINTO

 

 

 

 

Cette sentence, qui déclare pour la première fois la nullité du mariage, sera transmise au Tour d’appel (c. 1682 § 1).

 

__________

 

[1] GAUDIUM et SPES, n. 48 ; cf. c. 1057 § 1

[2] C. BRUNO, 15 décembre 1989, SRRDec, vol. LXXXI, p. 765, n. 4

[3] C. DEFILIPPI, 25 octobre 2007, n. 5

[4] C. POMPEDDA, 19 mai 1994, SRRDec, vol. LXXXVI, p. 209, n. 3

[5] C. STANKIEWICZ, 28 mai 1991, SRRDec, vol. LXXXIII, p. 345, n. 6

[6] C. DEFILIPPI, 9 mars 2000, SRRDec, vol. XCII, p. 219, n. 10

[7] A. STANKIEWICZ, L’incapacità di assumere e di adempiere gli oneri conjugali essenziali, dans L’incapacità di assumere gli oneri essenziali del matrimonio, LEV 1998, p. 62

[8] C. FUNGHINI, 13 février 1998, SRRDec, vol. XC, p. 47, n. 2

[9] P.J. VILADRICH, Il consenso matrimoniale, Rome 2001, p. 15

[10] C. TURNATURI, 21 novembre 1997, SRRDec, vol. LXXXIX, p. 827, n. 7

[11] C. POMPEDDA, 1° juin 1992, SRRDec, vol. LXXXIV, p. 324, n. 5

[12] C. FUNGHINI, 13 février 1998, SRRDec, vol. XC, p. 47, n. 2 ; cf. c. FUNGHINI, 17 janvier 1996, SRRDec, vol. LXXXVIII, p. 15, n. 7

[13] C. FUNGHINI, 29 juin 1993, SRRDec, vol. LXXXV, p. 472, n. 4

[14] C. BRUNO, 23 février 1990, SRRDec, vol. LXXXII, p. 142, n. 6

[15] C. SERRANO, 28 février 1992, SRRDec, vol. LXXXIV, p. 136, n. 4

[16] C. STANKIEWICZ, 23 mars 2000, SRRDec, vol. XCII, p. 255, n. 13

[17] Même sentence, n. 13 ; cf. c. EGAN, 22 mai 1976, SRRDec, vol. LXVIII, p. 224-227, n. 11-13 ; c. PINTO, 18 décembre 1979, SRRDec, vol. LXXI, p. 590-593, n. 8-11

[18] Cf. B. CALLIERI, Psicopatologia e nosologia del paziente borderline con particolare riferimento al consenso matrimoniale nel diritto canonico, dans l’ouvrage collectif Borderline, nevrosi e psicopatie in riferimento al consenso matrimoniale nel diritto canonico, Rome 1981, p. 3-37

[19] A. HESNARD, Arriération affective, dans A. Porot, Manuel alphabétique de Psychiatrie, Paris 1969

[20] J.D. GULFI – P. BOYER – S. CONSOLI – R. PLIVER-MARTIN, Psychiatrie, Paris 1987, p. 53

[21] C. PINTO, 18 décembre 1979, SRRDec, vol. LXXI, p. 592, n. 11

[22] C. PINTO, même sentence, p. 593, n. 11

[23] C. STANKIEWICZ, 23 mars 2000, SRRDec, vol. XCII, p. 257, n. 17

[24] G.O. GOBBARD, Psichiatria psicodinamica, Nuova edizione basata sul DSM-IV, traduction italienne, Milan 1995, p. 429

[25] C. STANKIEWICZ, sentence citée, n. 17

[26] Il paziente borderline sulla linea di confine tra mondo isterico e mondo narcisista, dans Matrimonium et Jus, Etudes en l’honneur du Prof. Sebastiano Villegiante, LEV 2006, p. 307