Ecco un estratto del libro sul « La giustizia amministrativa nella chiesa cattolica » (imprimatur del testo francese ricevuto il 11 ottobre 2017)
Capitolo 4: La giustizia per i laici
Alla fine dell’anno 2014, il numero dei cattolici nel mondo era di 1,27 miliardi[1]. Riguardo ad essi, la Costituzione dogmatica della Chiesa ha ricordato il principio di obbedienza che scuote tanti nostri contemporanei del mondo occidentale alla libertà individuale esasperata che ha l’abitudine di contrapporre libertà individuale e autorità[2].
I laici, come tutti i fedeli, devono abbracciare, con prontezza di obbedienza cristiana, ciò che i sacri pastori, rappresentanti del Cristo, decidono a nome del loro magistero e della loro autorità nella Chiesa[3].
Tuttavia, il cardinale Kasper sostiene che il Concilio abbia capovolto la situazione, cessando di considerare i laici «come degli incaricati e come il braccio allungato del clero [4]», nella misura in cui detengono la loro missione del Cristo stesso, in virtù del battesimo e non di un mandato del clero[5]. Alcuni vescovi in gran parte fanno appello ai laici, come quello di Dallas[6]:
Io li consultavo su tutte le decisioni pastorali che affrontavo (…) Volevo che i sacerdoti fossero quello che si suppone avrebbero dovuto essere: sacramentali e insegnanti della fede. E lasciare l’amministrazione a persone che fossero più competenti di loro, i laici[7].
Nel 1983, il codice ha introdotto un nuovo capitolo sui diritti e doveri dei fedeli in generale e dei laici in particolare. I canoni da 208 a 231 costituiscono una novità innegabile rispetto al codice del 1917, e sembrano essere stati relativamente accolti sia dalla gerarchia che dai fedeli. Tuttavia, l’accettazione di queste disposizioni non è priva di tensioni, come testimonia il cardinale Kasper:
Sono preoccupato soprattutto per […] la crescente distanza tra la visione gerarchica «in alto» e delle parti della Chiesa «in basso» e che, per una parte, è già quasi uno scisma di fatto[8] […] La consapevolezza dei laici fa parte dei risultati soddisfacenti del Concilio; ma è diventata dopo il Concilio anche fonte di molti equivoci e di nuove controversie.[9]
Una testimonianza raccolta a Dakar[10] dimostra che la maggior parte dei fedeli cattolici, compresi quelli meglio formati, non conosce l’esistenza di una giustizia amministrativa nella Chiesa. In caso di conflitto, molti pensano che se si rivolgono alla gerarchia ecclesistica piuttosto che ai tribunali civili, rischiano di essere danneggiati poichè non ci sarà nessuno a difendere il loro punto di vista.
Per apprezzare il ruolo della giustizia amministrativa della Chiesa riguardo ai laici, abbiamo estratto dal nostro database 742 ricorsi di cui era specificata la natura del richiedente e, fra essi, 153 ricorsi di contenzioso derivanti da laici[11], ossia il 27%. Abbiamo aggiunto 27 ricorsi sui decreti del Pontificio consiglio per i laici[12]. Ne è risultato un campione di 180 ricorsi registrati dal Supremo Tribunale riguardante i laici, che analizziamo brevemente nel presente capitolo, senza la pretesa di scrivere un trattato del diritto e della giurisprudenza, che richiederebbe un migliaio di pagine.
Contrariamente a quanto ci si può aspettare, non è il Pontificio consiglio per i laici le cui decisioni sono le più contestate dai laici, ma la Congregazione per il clero[13].
Ecco le principali questioni controverse riguardanti i laici[14], che sono oggetto di ricorso di contenzioso amministrativo.
Raggruppando dimissioni e trasferimenti in una rubrica relativa ai decreti specifici per i laici, compaiono quattro grandi aree che portano al piano seguente:
- I raggruppamenti e soppressioni di parrocchie;
- La riduzione delle chiese ad uso profano non indecoroso;
- I decreti specifici relativi ai laici;
- Le associazioni dei fedeli;
- Gli altri casi.
L’urbanizzazione, la mobilità e la secolarizzazione della società impongono alla Chiesa la necessità di adattarsi, non guardando il passato, ma cercando nuove soluzioni sinodali, tra cui la ristrutturazione delle parrocchie. La legge applicabile al rimodellamento delle parrocchie è descritta principalmente nei canoni 515-520 «sull’organizzazione interna delle Chiese particolari».
Nella sua tesi[15], Elisabeth Abbal afferma che tra il 1980 ed il 2015, tutte le diocesi della Francia hanno rimodellato le loro parrocchie, creando, raggruppando o abolendo parrocchie e raggruppamenti parrocchiali. La situazione è molto diversa da una diocesi all’altra. Così a Poitiers, molte parrocchie sono state raggruppate insieme. A Strasburgo nessuna delle 567 parrocchie è stata soppressa, ma sono state create comunità di parrocchie, permettendo al parroco di essere contemporaneamente responsabile di diverse parrocchie. ATulles non c’è stata ordinazione di giovani sacerdoti per 20 anni, per cui le parrocchie sono state raggruppate in 22 gruppi parrocchiali per adattarle in passato al numero di curati in grado di esercitare un incarico curiale, e in futuro, al dinamismo delle squadre pastorali e missionarie di animazione, sostenute dalle confraternite locali presbiterali.
Da un sondaggio di 53 fedeli cattolici praticanti[16], Louisa Plouchart ha constatato che il 66% dei parrocchiani non sono preoccupati dei rimodellamenti, e prendono parte alla vita della nuova parrocchia. Si può anche dedurre che un terzo dei parrocchiani sono ugualmente un pò preoccupati. Nella misura in cui i fedeli sono legati alla loro parrocchia, scaturiscono delle tensioni, che a volte si traducono in ricorsi gerarchici e di contenzioso.
Oltre ai canoni 50, 51, 120 à 123, 127 e 166, la legge applicabile ai raggruppamenti di parrocchie deriva principalmente dal canone 515 § 2:
Can. 515 — § 2. Spetta unicamente al Vescovo diocesano erigere, sopprimere o modificare le parrocchie; egli non le eriga, non le sopprima e non le modifichi in modo rilevante senza aver sentito il consiglio presbiterale.
Quando una parrocchia è modificata, possono esserci vari ricorsi, di un curato (Cf. Prot. 43915/10 CA) ma anche dei laici che frequentano la parrocchia. Di solito sono inviati alla Congregazione per il clero, che riscontra «varie difficoltà negli ultimi anni». Grazie alla giurisprudenza che ne deriva, la Congregazione pubblica il 30 aprile 2013, una serie di raccomandazioni ai vescovi per la modifica delle parrocchie e la chiusura delle chiese parrocchiali, di cui di seguito alcuni passaggi:
E’ necessario distinguere chiaramente le tre procedure canoniche: 1) di modifica delle parrocchie 2) di riduzione di chiese ad uso profano 3) di alienazione degli edifici. […] Ogni procedura ha le proprie regole che devono essere rispettate correttamente e attentamente.
Non vi è alcuna procedura per chiudere temporaneamente una chiesa, per esempio per riparazioni. Vale lo stesso per limitarne l’uso, ad esempio abolendo la messa della domenica, nella misura in cui la chiesa resta aperta ai fedeli.
Per sapere se esiste una giusta causa per modificare una parrocchia (c.515§2), ogni caso deve essere trattato separatamente ed il decreto deve essere motivato.
Ogni tipo di decisione (modifica di parrocchia, riduzione di una chiesa ad uso profano, destinazione dei beni), deve essere oggetto di un decreto scritto separato, adeguatamente comunicato al momento della sua adozione[17].
A volte la decisione della Congregazione per il clero rigetta il ricorso, considerando che il vescovo non ha violato la legge, nè nel merito, nè nella procedura[18] ed i richiedenti depositano a volte ricorsi di contenzioso amministrativo, che sono rigettati in limine; non ammessi alla discussione, o ammessi alla discussione e poi accettati o rigettati.
Il 20 giugno 1992, il Collegio esamina il ricorso di due parrocchiani, considerando che sono nella legalità per depositarli, poichè il decreto della Congregazione del clero non rispetta i canoni 515-2 e 1222-2, e alla fine, decide che il vescovo dove restituire alla chiesa parrocchiale il suo statuto precedente[19].
Tra le controversie trattate dalla Segnatura Apostolica, alcune riguardano le parrocchie affidate a religiosi, il cui profilo è modificato dal vescovo senza previo accordo con i religiosi interessati. La Congregazione per il clero segnala anche difficoltà a proposito della proprietà dei beni delle parrocchie o delle diocesi modificate.
Le diocesi di Barbastro-Monzon[20] e di Lerida[21] sono state in contrasto tra loro riguardo alla proprietà del patrimonio ecclesiastico della Frangia d’Aragona in un contesto caratterizzato da tensioni nazionaliste tra Catalani ed Aragonesi, a seguito delle modifiche dei confini tra le diocesi[22]. Diversi libri[23] e siti web[24] descrivono l’epopea giuridica civile e canonica che ne deriva[25].
Tuttavia, il maggior numero di ricorsi riguarda la sorte delle chiese nelle parrocchie soppresse, che portano ad approfondire la questione della riduzione delle chiese ad uso profano non indecoroso.
Nel 2007, appare un articolo sulla stampa francese[26] e provoca una presa di coscienza sul rischio di distruzione delle chiese. Vengono raccolte 25000 firme, mentre l’osservatorio del patrimonio religioso [27] stima che il patrimonio francese è di circa 100 000 chiese e monumenti culturali.
In Francia, ogni anno vengono distrutte circa venti chiese parrocchiali, come la cappella di Saint-Bernard a Clairmarais (diocesi di Arras), la cappella funeraria dei conti di Hitte (Montfort, diocesi d’Auch). A Montfort, nel Gers, (proprietari del castello di Esclignac).
Quanto agli usi correnti delle chiese ridotte all’uso profano, consistono in imprese sociali come il Farlab di Lille o il centro dei ciechi a Oran, in colombari (luoghi di sepolture), in ristoranti ecc. Ci sono anche chiese ridotte ad uso profano per le quali il primo acquirente rispetta la clausola di uso non indecoroso ma una volta trasferite ad un nuovo acquirente vengono adibite ad un uso indecoroso, come un bar o una sala da ballo.
Il Codice di diritto canonico definisce una chiesa[28], ricordando i riti della dedicazione e della benedizione, che vietano gli usi profani dell’edificio[29].
Lasciando da parte i casi di profanazione che necessitano di una nuova dedicazione o benedizione, si distinguono due tipi di casi nei quali una chiesa può essere ridotta ad uso profano non indecoroso perdendo così il suo carattere sacro[30].
Si tratta in primo luogo del caso, previsto dal canone 1222 §1, delle chiese che sono state distrutte e che non è stato possibile riparare[31]. In molti paesi, il proprietario della chiesa è abitualmente la parrocchia o la diocesi, e il motivo della distruzione è finanziaria. Prima di adottare una tale decisione, il vescovo deve cercare tutte le soluzioni possibili, per esempio vendendo terre e altri edifici, facendo appello agli sponsor, o mobilitando le proprie risorse. Tuttavia anche se la chiesa tedesca spende più di 500 milioni di euro all’anno per riparare le chiese, non possono essere riparate tutte ed alcune sono vendute. E’ lo stesso anche negli Stati Uniti[32].
Per la Francia non è lo stesso, poichè ci sono circa 45000 chiese parrocchiali, di cui il 35% costruite nel XIX secolo[33] di cui, nella stragrande maggioranza, la proprietà e la manutenzione spettano ai comuni, quindi la decisione di distruzione è del sindaco quando la chiesa non è classificata patrimonio storico, il che vale per la maggior parte di esse. Così, considerando il costo elevato della manutenzione per un’affluenza di fedeli in diminuzione, i sindaci a volte decidono di abbatterle. Una trentina di chiese sarebbero state già distrutte in Francia e quasi 10 000 chiese sono minacciate di distruzione. I vescovi, naturalmente, sono interpellati, in particolare per prendersi in carico di una parte dei lavori di restauro, ma molto spesso, declinano questa possibilità. Molte controversie che si verificano[34] sono poi in gran parte portate davanti ai tribunali amministrativi civili, che producono una giurisprudenza abbondante e hanno ispirato la circolare del ministro francese dell’Interno del 29 luglio 2011[35] che integra la decisione del Consiglio di Stato del 19 luglio 2011. Trattandosi di diritto civile, eliminereno questa problematica dal campo del nostro studio. Va diversamente per le chiese che non sono distrutte, e per le quali la decisione di ridurle ad uso profano proviene dall’Ordinario del luogo[36]. Questo caso, disciplinato dal canone 1222 §2, è possibile quando si sommano 5 condizioni:
- cause gravi;
- audizione del Consiglio presbiterale,
- consenso di coloro che hanno diritti legittimi sull’edificio;
- assenza di danni al bene delle anime;
- garanzie minime per un utilizzo futuro, che deve essere appropriato
La decisione del vescovo è una decisione amministrativa, suscettibile di ricorso amministrativo. Quando c’è una controversia[37], la Congregazione del clero è competente ai sensi dell’articolo 98 del Pastor bonus[38], e accetta o rigetta a volte il ricorso dei parrocchiani, tenendo conto o non se il vescovo ha violato una legge nel merito o nella procedura[39].
Le sue decisioni sono soggette a ricorsi presso la Segnatura Apostolica, e questa facoltà non è solo teorica, poichè molti ricorsi di contenzioso amministrativo sono presentati al Supremo Tribunale. Quest’ultimo ha pubblicato alcune sentenze riguardanti la demolizione[40], la riparazione[41], la riduzione di una chiesa a uso profano, per esempio in occasione di una soppressione[42] o di un raggruppamento[43] di parrocchie. Queste sentenze sono state oggetto di analisi da parte di Mgr. Frans Daneels, nel 1998[44] poi nel 2010[45], nonchè di Mgr. Gian-Paolo Montini nel 2000[46] e di Nicholas Schöch nel 2007[47].
Nella sua analisi delle «grandi sentenze» della giurisprudenza amministrativa, Javier Canosa evoca la sentenza del 20 giugno 1992 che riconosce per la prima volta ai fedeli, membri di una comunità parrocchiale, la possibilità di depositare validamente un ricorso relativo ad una decisione che riguarda la parrocchia (Prot 22036/90 CA) [48].
Il numero dei ricorsi di contenzioso depositati presso il Tribunale della Segnatura Apostolica, per riduzioni di chiese ad uso profano, è in forte aumento dall’anno 2011, segno che le controversie si verificano sempre più frequentemente tra i fedeli che vogliono mantenere una chiesa come luogo di culto e un vescovo che si oppone. La ragione sta nel fatto che il numero di chiese ridotte ad uso profano aumenta considerevolmente nelle regioni sviluppate in cui il numero di fedeli e di sacerdoti diminuisce.
Numero di ricorsi di contenzioso per anno di registrazione | ||||
Anni | 1990-1999 | 2000-2009 | 2010-2013 | |
Numero di contenziosi | 5 | 4 | 16 | |
Fonte= database | ||||
Purtroppo, le sentenze pubblicate sono poche e vecchie, per cui è necessario ricorrere ai commenti dei membri del Supremo Tribunale per avere una visione attuale del diritto, chiarito dalla giurisprudenca, come lo esponiamo di seguito in modo sintetico:
- un laico deve fornire la prova che subisce un danno affinchè il suo ricorso possa essere accettato[49];
- la chiusura definitiva di una chiesa equivale alla sua riduzione ad uso profano, anche se il vescovo non ha preso una decisione definitiva relativa al suo uso successivola[50];
- l’applicazione del canone 1222 §2, richiede che ci siano tutte le condizioni imposte[51]. In particolare, l’assenza di effetti negativi sul bene delle anime non rappresenta, di per sé, una ragione sufficiente [52];
- la mancanza di sacerdoti o la soppressione di una parrocchia non costituisce un motivo serio sufficiente per ridurre una chiesa ad uso profano, perchè è già accaduto nella storia che in assenza di sacerdote, le persone laiche e pie considerano la chiesa come un luogo sacro a testimonianza della fede cattolica[53];
- i gravi motivi sollevati devono essere presenti al momento del decreto e non rappresentare soltanto timori per il futuro;
- al contrario, il Supremo Tribunale ha accolto come grave motivo l’incapacità dei parrocchiani di mantenere una chiesa;
- quando una chiesa ha subito danni e deve essere riparata ma per ragioni finanziarie si fa una scelta diversa, l’impossibilità morale non può essere provata, conviene anche ricorrere al canone 1222, § 2, sapendo che il vescovo ha il potere di decidere se il problema finanziario rappresenta o meno un motivo grave, dopo aver sentito il parere previsto a tale scopo;
- l’esigenza finanziaria di una diocesi non è un motivo serio sufficiente per vendere una chiesa che appartiene al suo patrimoniole[54];
- prima di decidere, è necessario fare uno studio appropriato sullo stato dell’edificio, sul costo della riparazione, avere la possibilità di reperire fondi, prima che il vescovo imponga ad una parrocchia o ad un istituto religioso di riparare una chiesa che non è la chiesa parrocchiale;
- riguardo al Consiglio presbiteriale, la sua udienza deve essere incentratata esplicitamente sulla riduzione ad uso profano di una chiesa e non solo sulla soppressione di parrocchie, distinguendo bene le due decisioni[55];
- l’altare e gli oggetti di culto non perdono il loro valore sacro con la riduzione della chiesa ad uso profano non indecoroso. Devono essere trasportati altrove.
C’è anche una giurisprudenza per la proprietà dei beni delle chiese ridotte ad uso profano, tenedo conto che un altare o un tabernacolo rimangono consacrati[56]. Ci limiteremo a dare due esempi.
Quando una chiesa è stata ridotta ad uso profano, una delle parti ha segnalato l’esistenza di una donazione precedente del terreno sul quale era costruita la chiesa, con una clausola morale che specifica che se la chiesa dovesse essere venduta, il terreno dovrebbe ritornare alla famiglia ed ai suoi discendenti. La parte ha perso il ricorso, poiché il suddetto motivo non era incluso esplicitamente nel contratto, in quanto, era scritto, invece che il terreno era libero da servitù[57].
Un’altra giurisprudenza specifica che un titolo di proprietà o una donazione non concede necessariamente dei diritti sulla chiesa parrocchiale, a meno che un atto giuridico valido specifichi esplicitamente che la donazione o la disponibilità è condizionata ad un determinato uso di questa chiesa[58].
Mgr. Daneels conclude la sua analisi della giurisprudenza in questi termini:
Sembra, finalmente, che la Congregazione del clero abbia riformato in molte occasioni le decisioni di vescovi diocesani che riducevano una parrocchia ad uso profano non indecoroso, ma non è facile per un vescovo ottenere dalla Segnatura una decisione che non convalidi quella della Congregazione. La soppressione di una parrocchia non implica automaticamente la riduzione di una chiesa ad uso profano. Ma sembra anche che non sia facile per i parrocchiani dimostrare davanti alla Segnatura l’illegittimità di una decisione della Congregazione del clero riguardante una decisione del vescovo[59].
Ecco in ogni caso un esempio di azione del Supremo Tribunale in questo campo.
Un gruppo di parrocchiani americani presenta un ricorso gerarchico contro una decisione del vescovo del 12 giugno 2007 relativa alla riduzione di una chiesa ad uso profano. La Congregazione del clero rifiuta inizialmente il ricorso, visto che proviene da un gruppo di persone senza personalità giuridica per depositare tale ricorso. Dopo che il ricorso è ripresentato da persone intuiti personae, la Congregazione convalida il decreto del vescovo ed i parrocchiani depositano un ricorso di contenzioso amministrativo. Il 21 maggio 2011, il Supremo Tribunale dichiara che vi è stata violazione di legge nel decreto della Congregazione del clero del 5 agosto 2008, perché il vescovo non si era appellato a seri motivi che giustificavano la riduzione di questa chiesa ad uso profano[60].
A condizione che la decisione sia applicata, si trata di un esempio in cui la giustizia amministrativa della Chiesa ha svolto il ruolo di risoluzione di un conflitto, facendo rispettare il diritto canonico. La procedura è durata quattro anni e mezzo, fino all’ultima sentenza del 18 novembre 2011.
La Chiesa impiega un numero crescente di laici retribuiti o volontari per vari compiti di apostolato, di insegnamento e di servizio. A volte, rifiuta incarichi a persone competenti che hanno possibilità di essere assunti, oppure ritira incarichi a persone che li assumevano, e questo può causare incomprensioni e conflitti.
Quando il Consiglio per i laici non è in grado di risolverli, la Segnatura Apostolica deve occuparsene, dando a volte ragione ai richiedenti contro il dicastero interessato. Questi ricorsi si concentrano principalmente sui seguenti argomenti:
- ritiro incarichi di insegnamento o di rettore di università [61];
- rifiuto di ammissione negli ordini sacri[62];
- licenziamento dalla Fabbrica di San Pietro[63];
- rimozione dall’incarico di difensore del vincolo[64];
- Espulsione da una casa appartenente alla Chiesa[65];
- sospensione di un diacono sposato[66];
- rimozione da un incarico di professore di seminario[67];
- espulsione da una chiesa parrocchiale.
Ecco un esempio:
in un caso trattato nel 1987, quattro laici degli Stati Uniti sono espulsi dalla loro parrocchia dopo aver denunciato abusi liturgici ed errori dottrinali del loro curato. La Segnatura Apostolica rimanda il ricorso ai dicasteri competenti, ossia in quel momento, il Consiglio dei laici, la Congregazione per la dottrina della fede [68]. Se si tratta dello stesso caso[69], il Tribunale non accetta in appello il ricorso contro una decisione della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, perchè il dicastero giustifica il suo rifiuto per il fatto che i parrocchiani seminavano disordine, manifestando rumrosamente contro l’operato del nuovo sacerdote, per cui il ricorso risulta infondato.
In un altro ambito, specificheremo che i ricorsi relativi al lavoro degli impiegati della Santa Sede, contro gli atti commessi dal servizio competente, sono gestiti dall’Ufficio del lavoro della Sede apostolica, che prepara arbitrati non suscettibili di ricorso presso il Supremo Tribunale[70].
«Nella storia della Chiesa, le associazioni di fedeli hanno avuto una linea comune», ci ricorda Giovanni Paolo II[71]. Tuttavia c’è voluta una controversia che opponeva un vescovo argentino contro la Società di San Vincenzo di Paoli perchè nel 1921, la Sacra congregazione del concilio superasse la sua visione ristretta del codice del 1917 e riconoscesse:
La legittimità dell’autonomia dei laici nella costituzione e direzione delle associazioni laiche, distinguendo chiaramente in quell’occasione, le associazioni ecclesiastiche dalle associazioni laiche[72].
Il concilio cita in effetti la resolutio Corrienten[73] nel decreto del 1965 sull’apostolato dei laici, quando evoca in questi termini il diritto dei laici di fondare associazioni, di dirigerle e di aderire a quelle esistenti:
Salvo il dovuto legame con l’autorità ecclesiastica, i laici hanno il diritto di creare associazioni e guidarle, e di aderire a quelle già esistenti[74].
Nel 1983, il Codice afferma questo diritto dei fedeli poi, nel 1988, l’esortazione apostolica post sinodale Christifideles laic porta ad un compiacimento dei progressi compiuti. Inoltre nel 2011, Papa Benedetto XVI ricorda:
La palese apertura al contributo dei laici e la dichiarazione dei «criteri ecclesiali» inequivocabili da parte dei Christifideles laici, hanno permesso di far maturare una «profonda consapevolezza della dimensione carismatica della Chiesa», [che ha ] portato ad apprezzare ed a valorizzare sia i carismi più semplici che fornisce la divina provvidenza alle persone, che quelli che generano grande fecondità spirituale, educativa e missionaria[75].
Papa Francesco va nella stessa direzione:
Ringraziamo dunque il Signore per gli abbondanti frutti e per le numerose sfide di questi anni. Possiamo ricordare, ad esempio, la nuova stagione aggregativa che, accanto alle associazioni laicali di lunga e meritevole storia, ha visto sorgere tanti movimenti e nuove comunità di grande slancio missionario; movimenti da voi seguiti nel loro sviluppo, accompagnati con premura, e assistiti nella delicata fase del riconoscimento giuridico dei loro statuti[76].
Eppure il numero delle associazioni di fedeli giuridicamente riconosciute è basso, come ricorda Olivier Echappé:
L’osservazione della realtà ecclesiale del nostro paese [La Francia] si basa sulla constatazione contraddittoria della straordinaria fioritura del modello associativo nella Chiesa, come del resto in tutta la società, e del notevole successo della legge del 1° luglio 1901, mentre in modo correlativo le cancellerie episcopali non crollano sotto il peso delle richieste di recognitio o di probatio.[77]
Nel 2011, l’autore ritiene, a partire dalle pubblicazioni del Pontificio Consiglio per i laici[78] e di qualche diocesi, che il numero di associazioni di fedeli per cattolico[79] è di circa mille volte inferiore al numero di associazioni civili per abitante[80].
CatCath.
1 |
Ass Can2. |
Ass. / fedfid.
3 |
M. ab.hab.4. |
Ass civ.
5 |
Ass / M. ab.6 |
Ass can / Ass civ
7 |
|
Associazioni internazionali | 1 000 | 122 | 0,12 | 60,00 | 9 910 | 165 | 1 354 |
Francia | 36,00 | 78 | 2,17 | 60,00 | 983 803 | 16 397 | 7 568 |
Diocesi di Parigi | 1,33 | 11 | 8,29 | 2,21 | 71 222 | 32 208 | 3 885 |
New York / Stati Uniti | 0,45 | 19 | 41,85 | 312,00 | 1 900 000 | 6 090 | 146 |
Diocesi di Créteil | 0,79 | 3 | 3,81 | 1,31 | 39 000 | 29 751 | 7 800 |
Diocesi di Saint Denis | 0,90 | 1 | 1,11 | 1,51 | 45 000 | 29 871 | 27 000 |
Diocesi di Nancy | 0,44 | 71 | 162,10 | 0,73 | 11 616 | 15 912 | 98 |
Anche se i risultati devono essere presi con cautela, la differenza è enorme, ci si può chiedere se il diritto canonico non sia un ostacolo alla creazione di associazioni di fedeli. Nel 1985 il Cardinale Ratzinger testimoniava in tal senso per i nuovi movimenti:
E’ vero che questi movimenti causano anche qualche problema, e in una certa misura dei pericoli, ma è la stessa cosa per tutto ciò che è vivente […] tutto questo non deriva dalla pianificazione di un’amministrazione pastorale ma nasce da sé. Pertanto, gli organismi amministrativi – proprio quando vogliono essere molto aperti al progresso – non sanno che fare; questo non si adatta alla loro idea. Così si creano tensioni quando si tratta di inserire questi movimenti nell’attuale struttura delle istituzioni[81].
Nel 1983, il codice di diritto canonico riprende i principi fissati dal decreto del Concilio sull’apostolato dei laici, e li disciplina giuridicamente con i canoni 215 e seguenti:
Can. 215 — I fedeli sono liberi di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l’incremento della vocazione cristiana nel mondo; sono anche liberi di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità[82].
Una volta costituite in base ai canoni 298 e 299 §1, queste associazioni diventano associazioni di fatto, ma sono ammesse nella Chiesa solo in base all’applicazione di uno dei canoni seguenti:
- canone 299 §3[83] per le associazioni private i cui statuti sono riconosciuti dall’autorità competente, (recognitio);
- canone 322 per le associazioni dotate di personalità giuridica (probatio)[84];
- canoni 298 §2[85] e 299 §2[86] per le associazioni lodate e raccomandate dalla Chiesa;
- canone 300[87] per le associazioni private cattoliche;
- canone 301§3[88] per le associazioni pubbliche di fedeli;
- canone 302[89] per le associazioni clericali [90].
Dopo il sinodo ordinario dei vescovi del 1987, Papa Giovanni Paolo II specifica quali criteri devono rispettare le associazioni per essere riconosciute dalla Chiesa, senza fare distinzione tra i sei tipi di riconoscimento di cui sopra[91].
Sempre nella prospettiva della comunione e della missione della Chiesa, e non in contrasto con la libertà di associazione, bisogna tener conto della necessità di criteri ben chiari e precisi di discernimento e di riconoscenza delle associazioni di laici, chiamati anche «criteri di ecclesialità». Come criteri fondamentali per il discernimento di ogni associazione di fedeli laici nella Chiesa si possono ricordare i seguenti criteri:
- la priorità della vocazione alla santità di ogni cristiano;
- l’impegno a professare la fede cattolica;
- la testimonianza di una comunione solida e forte nella convinzione, in relazione filiale con il Papa;
- l’accordo e la cooperazione con il fine apostolico della Chiesa;
- l’impegno ad essere presente nella società umana per il servizio della dignità integrale dell’uomo.
- i criteri fondamentali che abbiamo esposto trovano verifica nei frutti concreti che accompagnano la vita e nelle opere delle diverse forme associative, in particolare nel gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l’aiuto alla consapevolezza della vocazione al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa sia a livello nazionale che internazionale; l’impegno nella catechesi e la capacità d’insegnamento per la formazione dei cristiani; l’impulso a garantire una presenza cristiana in vari ambiti della vita sociale; la creazione e l’animazione di opere caritatevoli, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso tutti; la conversione alla vita cristiana o il ritorno alla comunione di battezzati «lontani».
Dal nostro punto di vista, una delle principali difficoltà incontrate dalle associazioni di fedeli riguarda il riconoscimento da parte della Chiesa e l’acquisizione della personalità giuridica. In assenza di regole di applicazione dei criteri di ecclesialità per i diversi livelli di riconoscimento:
- da un lato, il cardinale Lluis Martinez Sistach[92] considera che il riconoscimento degli statuti include criteri soggettivi, come l’utilità, per evitare la dispersione di forze e la moltiplicazione di associazioni aventi finalità analoghe;
- senza discostarsi molto, L. Navarro[93], pensa che la recognitio è legata alla verifica degli statuti, ma anche all’analisi di altre fonti d’informazione per conoscere la realtà effettiva dell’associazione. E’ lo stesso per Roch Pagé[94];
- invece, S. Pettinano parla di un diritto al riconoscimento[95], mentre Feliciani scrive: [….L’intervento ministeriale] può essere considerato non come una decisione discrezionale, ma come un atto obbligato, nel senso che si limita alla dichiarazione che, alla verifica delle strutture delle associazioni, dei suoi mezzi e fini, non c’è nulla di contrario alla fede, alla disciplina e all’integrità dei costumi. […] Per quanto riguarda le ragioni di opportunità pastorali, è difficile conciliarle con il diritto di associazine riconosciuto ai fedeli[96];
- infine, canonisti come P.A. Bonnet[97] riconoscono che ci possono essere conflitti e ricorsi amministrativi.
In pratica, a volte si assiste a situazioni in cui un vescovo rimanda il riconoscimento, come possiamo vedere nell’esempio di seguito:
Un anno dopo essere stati eletti, i moderatori di una associazione di fedeli di 8000 membri, chiedono di essere ricevuti dal nuovo vescovo della diocesi, dove hanno la loro sede, «per testimoniare il loro percorso per raggiungere il riconoscimento». Il 13 luglio 2016, ricevono una lettera del vicario generale: «Mons. … mi incarica di farvi sapere che, dopo aver riflettuto, non gli sembra opportuno concedervi un appuntamento poichè le condizioni di riconoscimento non sono soddisfacenti alla luce delle informazioni in suo possesso. Pregherà per voi». Il canonista potrebbe porsi delle domande sul rispetto dei diritti dei fedeli: diritto di ricevere l’aiuto dei pastori (c.203), diritto al riconoscimento dell’ associazione (recognitio) e della personalità giuridica (probatio) (c. 299-3[98] e c.322-§1) dal momento in cui rispetta i criteri di ecclesialità, diritto ad una buona reputazione e a quella dei suoi membri (c.220) e diritto di difendersi (c.221), poichè le informazioni sono note al vescovo ma non ai moderatori, e possono dar luogo benissimo a menzogne.
La mancanza di riconoscimento canonico di un’associazione può portare ad un procedimento giudiziario nei tribunali secolari, invece di essere risolto dalla giustizia amministrativa canonica, come si può vedere nell’esempio seguente:
Nel 1980, a Parigi, l’arcidiocesi di Parigi firma una convenzione di 17 anni con l’Associazione Culturale di Carità della Missione Croata (ABCMC), affidandole l’uso della chiesa di Saint-Cyrille-Saint-Méthode. Nel corso del tempo, le tensioni si accumulano intorno a questioni materiali, per cui nel 2007 la convenzione non è rinnovata, ma l’associazione non accetta questa decisione e continua ad occupare i luoghi celebrando, tra le altre cose, le messe in croato e catechizzando i bambini. L’Arcidiocesi di Parigi intenta una causa all’ associazione davanti al tribunale civile e ottiene diverse decisioni della giustizia civile per farla uscire. Tuttavia una parte dei parrocchiani croati si ribella e protesta nelle strade, dicendo: «Siamo sconcertati, delusi e sconvolti che i fratelli cattolici si comportano così verso altri cattolici … In un momento in cui le chiese stanno chiudendo per mancanza di parrocchiani, per manzanza di manutenzione, dei cattolici che hanno ricostruito una chiesa con i propri fondi e l’hanno mantenuto in vita, siano espulsi come degli impuri dai loro fratelli cattolici. E’ inammissibile». Da parte sua, il curato della parrocchia in cui è situata la chiesa si dice pronto ad accettare i Croati cattolici ma non la loro associazione[99].
Il Consiglio pontificio per i laici conferma che riceve regolarmente ricorsi, senza specificare se riguardano le associazioni di fedeli, come indica ogni anno nella sua relazione di attività nel modo seguente:
Il Consiglio pontificio per i laici ha risolto controversie sottoposte a verifica, da associazioni di fedeli con ricorsi amministrativi[100].
Tuttavia tutte le controversie non sono risolte dal Consiglio Pontificio, poichè il Supremo Tribunale deve occuparsi di alcuni ricorsi di contenzioso amministrativo relativi alle associazioni, in particolare su:
- il loro carattere pubblico o privato (Prot. 23966/93/CA)
- la possibilità di depositare ricorsi anche se la capacità giuridica non è stata loro riconosciuta ( Prot. 17445/ 85 CA et Prot. 17914/86 CA)[101]
- la loro costituzione e la nomina dei loro moderatori (Prot. 32943/01 CA, Prot. 35378/03 CA)
- la loro soppressione (Prot. 20012/88, Prot. 37399/05 CA).
Bisogna interrogarsi sul fatto che nessun giudizio pubblicato si basa sull’applicazione dei criteri di ecclesialità per il riconoscimento delle associazioni. Forse ci sono dei casi non pubblicati, o casi pubblicati senza precisione, vale a dire con pochi dettagli perchè l’autore possa collegarli ad un oggetto di discussione?
Un ricorso è stato rigettato dal Congresso relativo ad un gruppo di fedeli degli USA contro un decreto del Consiglio per i laici, a causa di mancanza di legittimità del richiedente[102]. Il Consiglio pontificio per l’interpretazione dei testi legislativi ha proposto una soluzione il 29 aprile 1987, in una interpretazione del canone 299 §3 [103]:
- — Un gruppo di fedeli che non ha personalità giuridica, nè il riconoscimento di cui al canone 299, § 3, può legittimamente presentare un ricorso gerarchico contro un decreto del suo vescovo diocesano ?
- — No, come gruppo; si, come fedeli, che agiscono separatamente o congiuntamente, a condizione che abbiano davvero subito un danno. Per la stima del danno, è necessario che il giudice goda di un appropriato potere discrezionale.
Forse i ricorsi sono stati depositati e rigettati in limine persino prima di essere registrati, perchè l’atto amministrativo che impediva il riconoscimento non aveva il carattere di atto amministrativo specifico?
Uno dei responsabili dell’associazione «Call to Action Nebraska» ha depositato un ricorso al Supremo Tribunale contro una lettera del cardinale prefetto della congregazione dei vescovi, indirizzato al vescovo di Lincoln, che confermava la legalità di una decisione di quest’ultimo contenente, a determinate condizioni, un divieto che si è trasformato in scomunica per i membri di diverse associazioni diocesane, tra cui l’associazione « Call to Action Nebraska ». Il vescovo li accusava di avere idee contrarie alla dottrina cattolica, come il matrimonio dei sacerdoti e l’ordinazione sacerdotale delle donne. Il Segretario del Supremo Tribunale ha risposto che il Tribunale non era competente per gestire questo ricorso, nella misura in cui l’articolo 123 del Pastor bonus si riferisce ai decreti specifici promulgati o confermati da un dicastero della Curia romana, che non è così per un decreto diocesano generale né per un chiarimento di un dicastero riguardante la legalità di tale atto[104].
Salvo informazioni contrarie, non sembra che la giustizia amministrativa ecclesiastica abbia svolto pienamente il suo ruolo per chiarire il riconoscimento delle associazioni private di fedeli, come nel 1921 con la resolutio Corrientes.
Ci sono molte altre materie oggetto di ricorso, piu o meno frequenti, che non è possibile relazionare in dettaglio.
Oltre al caso dei dipendenti delle associazioni cattoliche, già citato nel capitolo introduttivo, si può citare il caso di cappellani ospedalieri o militari, nonché di dipendenti delle curie diocesane che a volte sono espulsi.
Un militare che è stato promosso vice-cancelliere di un ordinariato militare viene rimosso dal suo incarico all’arrivo di un nuovo cancelliere. La Congregazione per il clero rifiuta il suo ricorso gerarchico ed il Supremo Tribunale rigetta il suo ricorso di contenzioso per mancanza di fondamento perché l’arrivo di un nuovo cancelliere è una ragione considerata sufficiente in virtù del c. 485, la causa di espulsione non è considerata diffamatoria e la sussistenza della vittima non è in discussione poiché il suo stipendio continua a essere pagato dall’esercito[105].
Un altro caso frequente riguarda la proprietà dei beni delle associazioni, che è regolarmente oggetto di ricorso davanti al Tribunale civile, nonostante l’importanza canonica del problema evidenziato da Olivier Echappé :
Non si tratta di una ipotesi teorica: tutti sanno che in Francia, il patrimonio immobiliare delle scuole cattoliche è nelle mani di associazioni costituite in tutta fretta dopo la separazione e la spoliazione del 1905, che non hanno alcun statuto canonico, anche se il loro compito (e la giustificazione della loro esistenza), è quello di insegnare la dottrina cristiana in nome della Chiesa, che, canonicamente, conferisce loro il carattere pubblico e fa dei loro beni dei beni ecclesiastici[106].
Si può anche citare il caso di fedeli che non sentono di aver ricevuto l’aiuto che meritano dai loro pastori. Ecco un esempio che riguarda la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti:
A New-Sevilla, negli Stati Uniti, diversi parrocchiani sono sconvolti dalle innovazioni liturgiche che il loro nuovo sacerdote ha apportato. In segno di protesta, una parrocchiana fa una scenata a tal punto che il sacerdote è costretto a chiamare la polizia e che l’arcivescovo le ordina di cessare di turbare la liturgia. Ma persiste al punto che, il 1° dicembre 1986, il vescovo promulga al suo incontro un decreto penale extragiudiziario in applicazione del canone 1336, vietandole di entrare in chiesa. Allora deposita un ricorso gerarchico e, il 12 maggio 1989, il decreto è confermato dalla congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Nel mese di aprile 1989, la denunciante fa ricorso presso la seconda sezione del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, che afferma che ha agito per legittima difesa contro un aggressore che l’attaccava ingiustamente, pur mantenendo la moderazione richiesta. (c. 1323 5° b). Il 30 ottobre 1990, il Tribunale considera che l’arcivescovo aveva il diritto di emettere un divieto con decreto extragiudiziale in applicazione dei canoni 1720 e 1731 2°: che aveva rispettato le norme previste da questo canone in particolare ricevendo la denunciante. Di conseguenza il ricorso non viene ammesso alla discussione del Tribunale. Il 24 novembre, la denunciante deposita un nuovo ricorso ma il Tribunale rifiuta di metterlo alla discussione per mancanza di fondamento, visto che continuando a disturbare le celebrazioni liturgiche nonostante le sia stato vietato, la denunciante non ha rispettato la moderazione che le avrebbe permesso di essere esente da punizione[107].
In questo caso, il ricorso sembra essere stato illegale, ma tutte le situazioni non sono di questo tipo e ci sono anche casi di abuso da parte del potere ecclesiastico.
Dopo aver esaminato una serie di materie che sono state oggetto di ricorso, possiamo legittimamente chiederci se esistono ambiti aventi come oggetto quello di decisioni amministrative relative ai laici, e che sono oggetto di ricorso di contenzioso amministrativo. In Africa, ad esempio, i fedeli avrebbero senza dubbio il diritto di presentare un ricorso amministrativo sulla gestione della loro parrocchia, talvolta inadeguata, come riportato da Achille Mbala-Kyé[108] e Emmanuel Bizogo[109] sul Camerun.
Secondo la legge il parroco è il gestore dei beni della Chiesa (cfr 532 e c 1281-1288), ma spesso le casse delle parrocchie sono vuote durante i passaggi di servizio, vale a dire quando il parroco cambia. Infatti, ci sono difficoltà nella costituzione di consigli pastorali per gli affari economici e molte parrocchie non inviano i loro conti alla Procura. Spesso i conti delle parrocchie sono morti: il sacerdote non usa questo conto per i movimenti di spese e prodotti nella sua parrocchia. Non deposita i soldi, ma è in grado di lasciare il conto in rosso per anni.
In un altro ambito, ecco tre testimonianze canadesi relative alla ricezione della comunione in ginocchio, in cui è deplorevole che la Chiesa locale non sia stata in grado di risolvere situazioni, in quanto troviamo le prime due testimonianze su un sito web e la terza presso la Suprema Corte del Canada.
La settimana scorsa, sono andata alla messa della domenica con mio marito in una parrocchia vicina. Era la prima volta che ci andavo. Al momento della comunione, ci siamo avvicinati, e mi sono ingiocchiata davanti al sacerdote per ricevere l’ostia. Il sacerdote mi ha detto «No ! In piedi !» Pensavo di aver capito male. «Hhm…scusi ?» «In piedi ! Qui la comunione si dà solo in piedi !» Allora mi alzo, un po’ stupita, ed il sacerdote mi mette l’Ostia sulla lingua. Moi marito, dietro di me, fa la stessa cosa, ed il sacerdote nega anche a lui la comunione in ginocchio[110]. Una volta ho visto nella mia parrocchia due sacerdoti che davano la comunione uno accanto all’altro. Il vicario ed un sacerdote «di passaggio». Il sacerdote «di passaggio» ha fatto come avete detto, vale a dire ha negato la comunione ad una persona che si era inginocchiata. Poco dopo, ho sentito il vicario sussurrargli «se lo fa di nuovo non metterà più piede in questa parrocchia[111]».
Un esempio di rifiuto dei sacramenti che è stato trattato dalla Suprema Corte del Canada è il «caso Stellerton», che riguarda il rifiuto di dare l’Eucarestia a sei fedeli cattolici perchè volevano riceverla in ginocchio e non in piedi. La Corte ha dato ragione ai denuncianti[112].
In realtà, ci sono stati numerosi ricorsi gerarchici risolti dalla Curia romana:
La Congregazione è preoccupata per il gran numero di denunce… e pensa che il rifiuto di dare la Santa Comunione ad un membro dei fedeli, con il pretesto della posizione in ginocchio, rappresenti una grave violazione di uno dei diritti fondamentali dei fedeli cristiani… Questo rifiuto non dovrebbe mai aver luogo… tranne nei casi…di peccato pubblico senza pentimento da parte della persona o della sua ostinazione all’eresia o scisma. Quando la Congregazione ha approvato la legislazione riguardante la posizione in piedi per ricevere la Santa Comunione…l’ha fatto affermando che le persone …che si inginocchiano non devono vedersi rifiutare la Santa Comunione… Infatti, Sua Eminenza il Cardinale Joseph Ratzinger ha recentemente evidenziato…che inginocchiarsi per ricevere la Santa Comunione ha a suo favore una tradizione secolare del tutto appropriata alla luce della presenza reale, vera e sostanziale di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate[113].
In un altro ambito, citiamo la contestazione contro un vescovo da parte dei suoi diocesani, per il quale Charles Wackenheim sembra dire che un ricorso amministrativo non s’applicherebbe[114].
In seguito a nomine di vescovi fortemente contestate, i diocesani interessati chiedono come possono farsi sentire, non dagli individui o attraverso lettere anonime, ma pubblicamente e collettivamente. Il Codice non dice nulla. Ci piacerebbe anche sapere ciò che prevede la legge quando un vescovo ha fallito pubblicamente la sua missione. Il codice prevede questa eventualità… nel caso di un curato (c.1740)[115]
Tali casi non sono così rari.
Nel 2015 in Francia, alcuni diocesani hanno dovuto confrontarsi su una decisione del loro vescovo che imponeva ai genitori di pagare la tassa per la chiesa prima di iscrivere i loro figli al catechismo. I diocesani si rivolgono ai «Canonisti senza frontiere» per verificare la legge corrente[116]. Sembra che questa decisione derivi dal fatto che il vescovo ha presentato un permesso per costruire la sua futura casa, mettendo così a rischio le finanze della diocesi. Dopo essersi informati sulle procedure di ricorso gerarchico e contenzioso, i diocesani interessati decidono di non rendere pubblico il problema per non fare un torto alla Chiesa, né di avviare un’azione legale ritenuta troppo complessa. Poco dopo, il vescovo viene allontanato per limite di età.
Dopo questo caso rimasto segreto, eccone un altro, reso pubblico:
Nel 2002 negli Stati Uniti, il giornale Boston Globe conduce un’inchiesta che rivela pubblicamente la responsabilità personale del Cardinale Arcivescovo, che ha coperto le azioni di decine di preti pedofili della sua diocesi. Indipendentemente dalla sua natura di parte, il film Spotlight [117] dimostra che la giustizia della Chiesa non è riuscita a capire seriamente le vittime..
Nel caso precedente, è la stampa, e non la giustizia ecclesiastica, che ha permesso di proteggere le vittime. Da ciò è scaturito un cambiamento della legge sul trasferimento e dimissioni di un vescovo, quando commette una negligenza che mette a rischio i minori[118]. Ecco un altro caso in cui la conferenza episcopale si è schierata dalla parte dell’opinione pubblica dopo che è stato rivelato uno scandalo finanziario.
Nel 2013 in Germania, il presidente della conferenza episcopale ha partecipato ad una petizione dei diocesani che chiedevano il trasferimento del vescovo: i fedeli della diocesi di Limbourg, indignati, hanno chiesto le dimissioni di Mons. T. Oltre 4000 di essi hanno già firmato una lettera aperta contro di lui. A Limburg, vicino Francoforte, la gente è sconvolta. Domenica, circa 200 oppositori si sono riuniti davanti alla cattedrale per protestare contro «il vescovo di lusso» come soprannominato dalla stampa, e le sue «manie di grandezza» [119].
In altri casi la petizione dei diocesani è giudicata inaccettabile:
nel 2013, in Nigeria, la nomina di Mons. Okpaleke come capo della diocesi di Ahiara fu respinta da alcuni cattolici per ragioni etniche. Il cardinale Onaiyekan è stato nominato amministratore apostolico di Ahiara in attesa di una soluzione. Nel 2017 una delegazione della diocesi accompagnata dal Presidente della conferenza episcopale della Nigeria visitò Roma dove fu ricevuta da Papa Francesco. Ha ascoltato i membri della delegazione e ha giudicato «inaccettabile la situazione in Ahiara» riservandosi di adottare le misure appropriate[120].
Gli sviluppi precedenti dimostrano che la giustizia ecclesiastica amministrativa interviene a volte nelle controversie tra i laici e la gerarchia ecclesiastica, ma la frequenza di questi interventi è bassa, il che porta all’esigenza di una giustizia amministrativa più vicina alle persone, per esempio a livello nazionale.
[1] Dall’annuario pontificio 2016.
[2] Sarah (Card. Robert), Dieu ou rien, Intervista di Nicolas Piat, Paris 2016, ed Pluriel, p. 249/420.
[3] Paolo VI, Lumen Gentium, Constitution dogmatique de l’Église, n° 37.
[4] Cf. Kasper (Card. William), L’Église catholique, son être, sa réalisation, sa mission. Paris, Cerf, Collection Cogitatio Fidei avril 2014, p. 300/592.
[5] Paolo VI, Apostolicam actuositatem,
[6] E’ stato nominato prefetto del dicastero per i laici, la famiglia e la vita.
[7] Farrell (Mgr. Kevin) prefetto del dicastero per i laici, la famiglia e la vita, (doppia traduzione).
[8] Kasper (Card. William), L’Église catholique, op. cit. p. 15.
[9] Kasper (Card. William), L’Église catholique, op. cit. p. 295.
[10] Centre saint Augustin de Dakar, colloque du 22-24 février 2017 sur le thème sur: « Le repentir: genèse (s) et actualité (s)».
[11] Extraction au 7 novembre 2016: 88 ricorsi sono stati depositati da uomini, 43 da donne, 32 da uomini o donne.
[12] I 27 ricorsi di associazioni (13 casi), di vescovi (3 casi), di sacerdoti (4 casi) o di richiedenti non identificati (7 casi). Per esempio, un ricorso proveniente da un vescovo è stato esaminato il 13 giugno 1987 dal Collegio della Seconda sezione, che ha constatato una violazione della procedura seguita dal Pontificio consiglio per i laici. Cf. ASS (1987), p. 1293.
[13] Ecco la ripartizione per dicastero dei 184 ricorsi del nostro campione relativo ai laici:
- Congregazione per il clero in 110 casi
- Consiglio Pontificio per i laici in 35 casi
- Congregazione responsabile dei consacrati in 17 casi
- Congregazione per l’educazione cattolica in 7 casi
- Congregazione per il culto divino in 3 casi
- Congregazione per le Chiese orientali in 3 casi
- Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli in 3 casi
- Congregazione per i vescovi in 3 casi
- Consiglio pontificio per la famiglia in un caso
- Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica in un caso (difensore del vincolo)
- Fabbrica di San Pietro in un caso
[14] Cause con lo stesso oggetto di discussione sono sottoposte anche da chierici o religiosi. Nella misura in cui sono trattate per i laici, non ci ritorneremo nei capitoli seguenti.
[15] Abbal (Elisabeth), Paroisse et territorialité dans le contexte français, Paris, Cerf, 2016, 520 p.
[16] Plouchart (Louisa),, 2013, « Le diocèse de Rennes, Dol et Saint-Malo: maillage paroissial et pratiques religieuses », p. 19 à 63, In B. Merdrignac, D. Pichot, L. Plouchart, G. Provost (Dir.) La paroisse, communauté et territoire, Constitution et recomposition du maillage paroissial, Rennes, Ed. PUR, Coll. Histoire, 541 P.
[17] Congregazione per il clero, « Procedural guidelines for the modification of parishes and closure of parish churches », Roman replies, (2013), 5-12, tradotto e adattato dall’inglese.
[18] Per esempio nel caso citato da RR (2013), p. 13-17 riguardo ad una controversia sull’uso non indecoroso di una chiesa. (c.1210).
[19] ASS 1992. P. 1117, sul ricorso n° 22036.
[20] Diocesi spagnola creata nel 1995.
[21] Lleida in spagnolo.
[22] Si indica di solito con il nome di Frange d’Aragon (Franja de Aragón in castigliano, Franja d’Aragó in catalano, Francha d’Aragón in aragonese) un territorio della comunità autonoma di Aragona, in Spagna, al confine con la Catalogna e dove la lingua tradizionalmente parlata è il catalano.
[23] Aznar (Gil, F. R.) y Sanchez (Roman, R). Los bienes artísticos de las parroquias de la Franja: El proceso canónico (1995-2008), Fundación Teresa de Jesús, Zaragoza, 2009.
[24] Per esempio il sito di storia dell’arte di Antonio VALM
as: www.antonionavalmas.net/spip.php? Articolo 56 consultato l’11 agosto 2015.
[25] Antonio Valmas riporta 444 tappe sul sito sopracitato.
[26] De Ravinel (Sophie), « Des maires sont contraints de détruire leur église. » Le Figaro, 18 mai 2007.
[27] www.patrimoine-religieux.fr/
[28] « Can. 1214: Per chiesa, si intende un edificio sacro destinato al culto divino in cui i fedeli hanno diritto ad entrare per l’esercizio del culto divino soprattutto quando è pubblico.
[29] Ci sono eccezioni in cui tutta o parte di una chiesa può essere utilizzata per scopi diversi dal culto senza che la chiesa perda il suo carattere sacro. Questo è particolarmente vero se la chiesa è temporaneamente chiusa, o prestata per un periodo ad una comunità cristiana non cattolica che poi la ripristina. Ciò vale anche se una parte della chiesa è adibita ad usi diversi da quelli del culto (amministrazione, sala di incontri, ecc.) a condizione che la chiesa non sia danneggiata. Così l’installazione di antenne sul tetto o di pubblicità sui muri durante lavori sono possibili senza che la chiesa perda il suo uso sacro. Cf. Nicholas Schöch, OFM, « Relegation of churches to profane use (c. 1222, §2): Reasons ad procedure », the Jurist, 67 (2007) 485-502
[30] Can. 1222: § 1 « Se una chiesa non può in alcun modo essere utlizzata per il culto divino e non è possibile ripararla, può essere ridotta dal Vescovo della diocesi ad un uso profano che non sia indecoroso». § 2: «Laddove altre cause gravi suggeriscono che una chiesa non può essere utilizzata per il culto divino, il Vescovo della diocesi, dopo aver sentito il consiglio presbiterale, con il consenso di coloro che rivendicano legittimamente i loro diritti su quella chiesa e a condizione che il bene delle anime non subisca alcun danno, può ridurla ad un uso profano che non sia indecoroso».
[31] Tali casi erano già previsti dal Concilio di Trento, poi dal canone 1187 del 1917.
[32] Provost (James H.), « Some Canonical Considerations on Closing Parishes », The Jurist, 53 (1993), 362.
[33] «Une vague de démolition d’églises menace le patrimoine» in Le Point.fr del 13 agosto 2013.
[34] Massin Le Goff (Guy), Conservatore dipartimentale delle antichità e oggetti d’arte del Maine-et-Loire, Consiglio generale del Maine-et-Loire , scrive: «Le violente reazioni di alcuni abitanti di questo comune di fronte a questo progetto non sono altro che il riflesso di un’emozione profonda che spesso genera un danno politico e soprattutto sociologico. Le opinioni si scontrano, nascono litigi, i ricorsi giudiziari si moltiplicano, le fratture tra sostenitori e oppositori si ripercuoteranno per decenni, facendo pesare sul comune un clima pesante di rancore». in Polémique autour de la démolition des églises: le cas du Maine-et-Loire messo on line il 03 novembre 2009, consultato il 15 luglio 2015. URL: http://insitu.revues.org/5563
[35] Circolare del Ministro dell’interno, di oltre mare , delle collettività territorialie dell’immigrazione, con riferimento NOR/IOC/D/11/21246C, del 29 luglio 2011, indirizzata al prefetto di polizia ed ai prefetti (metropoli) sugli edifici del culto: proprietà, costruzione, riparazione e manutenzione, regolamento urbanistico, fiscalità, pubblicata sul Journal Officiel e sul sito di Legifrance: datata 29 luglio 2011,: http://circulaire.legifrance.gouv.fr/pdf/2011/08
/cir_33668.pdf
[36] Habert (Mgr. Jacques), « Ces églises qui font l’Église » Document de l’épiscopat, Conférence des évêques de France, n° 6/7, Paris 2017.
[37] Cf. per esempio «US Catholics win rare victories on church closings» in USA today, March 5, 2011.
[38] La Congregazione si occupa di tutto quello che spetta alla Santa Sede per l’ordinamento dei beni ecclesiastici, e specialmente la retta amministrazione dei medesimi beni, e concede le necessarie approvazioni o revisioni; inoltre, procura perché si provveda al sostentamento ed alla previdenza sociale del clero.
[39] Diversi casi sono descritti nella rivista «Roman replies and CLSA advisory Opinion», 2011, p. 5-14. e RR (2013), p. 13-17 relativamente ad una controversia sull’uso indecoroso di una chiesa. (Canone 1210).
[40] Prot n° 17447/85 CA pubblicato da Ministerium Justitiae…, Montréal, 2011, 441-528.
[41] Prot n° 21024/89 CA, pubblicato da Notitiae 26 (1990) 142-144 e da Ministerium Justitiae, op. cit. p. 461-466.
[42] Prot. N° 25500/94 CA pubblicato da Ministerium Justitiae, op. cit. p. 483-501.
[43] Prot. N° 24388/93 CA pubblicato da Ministerium Justitiae…, op. cit,. p. 502-528.
[44] Frans Daneels (Mgr.), «Soppressione, unione di parrochie e riduzione ad uso profano della chiesa parrochiale», Ius Ecclesiae 10 (1998) 111-148.
[45] Frans Daneels (Mgr.) «The reduction of a Former Parish Church to Profane use in the light of the Recent Jurisprudence of the Apostolic Signatura» in «Quod justum est et aequum». Scritti in onore del Cardinale Zenone Grocholewski per il cinquantesimo di sacerdocio», a cura di Mgr Marek Jedraszewski, Facoltà teologica dell’università di Poznan. 2013, (p. 165-169)
[46] Montini (Mgr Gian-Paolo), promotore della giustizia al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica «La cessazione degli edifici di culto», Quaderni di diritto ecclesiale 13 (2000) 281-299.
[47] Schöch (Nicolas), Vice difensore del vincolo al Tribunale della Segnatura Apostolica «Relegation of churches to Profane Use (c . 1222, §2): Reasons and Procedures», The Jurist 67 (2007), 485-502.
[48] Canosa (Javier), « Giustizia amministrativa ecclesiastica e giurisprudenza », in Ius ecclesiae XXIII, 2011, p. 563-582.
[49] Prot n° 21024/89 CA, Notitiae 26 (1990) 142-144 e Ministerium Justitiae, op. cit., p. 461-466.
[50] Frans Daneels (Mgr.), «Soppressione , unione di parrochie e riduzione ad uso profano della chiesa parrochiale», Ius Ecclesiae 10 (1998) 111-148, citato da Nicholas Schöch, op. cit. p. 488 et nota 12.
[51] Mgr Daneels si basa in particolare sulla sentenza coram Caffara del 21 maggio 2011, prot. 41719/08 CA.
[52] Mgr Daneels si basa in particolare sulla sentenza coram Burke del 21 maggio 2011, prot. 41719/08 CA nonchè prot. 45242/11 CA.
[53] Idem.
[54] Prot. 31208/00 CA, decisione citata da Nicholas Schöch (op. cit.. p. 502 note 59.)
[55] Mgr Daneels si basa su tre sentenze: coram Burke (Prot. 42278/09 CA) del 21 maggio 2011; coram Caffara (Prot. 41719/08 CA) del 21 maggio 2011 nonchè sul decreto del congresso del 11 maggio 2012 (Prot. n° 45190B/11 CA).
[56] Cf. can. 1238 § 2.
[57] Coram Burke, 11 mai 2011, Prot41719/08 CA, The Jurist 73 (2013) 597-643 tradotto dall’inglese nel testo della decisione latina «The said premises are free from encombrances that the said party of the first part will forever warrant the title to said premises».
[58] Thomas J. Paprocki, Parish closings and administrative recourse to the apostolic see: recent experiences of the archdiocese of Chicago, The Jurist, 55 (1995), p. 894.
[59] Traduzione dal testo inglese di Mgr Daneels in op. cit. p. 168.
[60] Coram Burke, 11 maggio 2011, Prot. 41719/08 CA, The Jurist 73 (2013) 597-643
[61] Prot 30266/99 CA citato da ASS (1999) p. 936.
[62] Prot 30677/99 CA e 30678/99CA citati da ASS (1990), p. 892.
[63] Caso senza riferimento, citato da ASS (1978) p. 625.
[64] Prot. 36007/04 CA non ammesso alla discussione per decisione del Congresso l’1/06/06 poi del Collegio il 28/04/2007.
[65] Prot. 23208/92 CA non ammesso alla discussione per decisione del Congresso del 23/11/1992.
[66] Un diacono sposato ha depositato un ricorso nel 1987 per essere stato sospeso ma la sua richiesta non è stata ammessa alla discussione. (ASS (1988), p. 1405.
[67] Cf. ASS (1988), p. 1405, Coram Stickler, le 28 gennaio r 1988. N° di registrazione (Prot) non indicato, ,
[68] Caso citato da ASS (1987), p. 1292.
[69] Prot 18881/87 CA
[70] Cf. art 136 del Regolamento generale della Curia romana, 1999,
[71] Gian-Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici, n° 29.
[72] Miayoukou (Hervé), « L’émergence en droit canonique des associations privées de fidèles » L’année canonique, 52, 2010, p. 249-256.
[73] Cf. S.C. del Concilio, risoluzione du Concile, risoluzione Corrienten., 13 novembre 1920: AAS 13 (1921), p. 139.
[74] Paolo VI, Apostolicam actuositatem, n° 19.
[75] Sito del Consiglio pontificio dei laici, www.laici.va, consultato il 27 novembre 2011 nella rubrica «venti anni dopo»
[76] Francesco (papa), Discorso del 17 giugno 2016 davanti all’Assemblea del Pontificio Consiglio per i laici.
[77] Echappé (Olivier), «Les biens des associations d’Église», L’année canonique, 47, 2005, p. 51-62. Tradotto dal Francese.
[78] Ryłko (Cardinal Stanisław), Arcivescovo titolare di Novica, Presidente del Consiglio Pontificio per i Laici Archevêque titulaire de Novica, «préface du répertoire des associations» consultato sul sito del Vaticano il 17 novembre 2011;
[79] Colonna 1: milioni di fedeli; colonna 2: numero di associazioni di fedeli riconosciute; colonna 3: numero di associazioni di fedeli riconosciute per milione di cattolici = ratio col. 1/col 2.
[80] Colonna 4: numero di abitanti; colonna 5 numero di associazioni civili; colonna 6: numero di associazioni civili riconosciute per milione di abitanti; colonna 7= colonna 1 / colonna 4 .
[81] Ratzinger (Cardinal Joseph), «Entretiens sur la foi», commenti riportati da Vittorio Messori, Paris 1985, Fayard, p. 48/252. Tradotto dal Francese.
[82] CIC/83 C 215
[83]. § 3. Nessuna associazione privata di fedeli è ammessa nella chiesa a meno che i suoi statuti siano riconosciuti dall’autorità competente.
[84] Le condizioni per ottenere la personalità giuridica sono specificate nel canone 114: occorre che le associazioni siano: 1) disposte per scopi cf. §3) che siano coerenti con la missione della Chiesa (opere di pietà, di apostolato, di carità, cf §2); orientate verso una veduta più ampia di quella degli interessi dei membri) ori; 3) dotate di mezzi sufficienti per garantirne la sostenibilità.
[85] § 2. Che i fedeli si iscrivano di preferenza alle associazioni fondate, elogiate e raccomandate dall’autorità ecclesiasticha competente.
[86] Can 299 § 2. Tali associazioni, anche se sono lodate o raccomandate dall’autorità ecclesiastica, sono chiamate associazioni private.
[87] Can. 300 —Nessuna associazione assuma il nome di « cattolica », se non con il consenso dell’autorità ecclesiastica competente a norma del can. 312.
[88] § 3. Le associazioni di fedeli fondate dall’autorità ecclesiastica competente sono chiamate asociazioni pubbliche.
[89] Can. 302 — Le associazioni di fedeli si chiamano clericali se sono dirette da chierici, assumono l’esercizio dell’ordine sacro e sono riconosciute come tali dall’autorità competente.
[90] In termini di competenze, il Supremo Tribunale specifica che i ricorsi relativi alle pie associazioni sono di competenza della Congregazione per il clero e non del Consiglio per i laici (Prot. 13782/81 CA)
[91] GIAN-PAOLO II, Esortazione post sinodale Christifideles laici del 30-12-1988 (AAS 81 [1989] 393-521)
[92] Martinez Sistach (cardinal Lluis), Associations of Christ’s Faithful, coll. Gratianus, Montréal, Wilson & Lafleur Ltée, 2008, 24×16, p. 113/174 p.
[93] Navarro (L.), Diritto di associazione, cf. nota 2.
[94] Pagé (Roch), « La reconnaissance des associations de fidèles » in Studia canonica, 19, (1985), p. 332-333.
[95] Pettinato (S.), «Le associazioni dei fedeli: la condizione giuridica dei battezzati», in Il fedele cristiano, Bologna, 1989, p. 234 Citato da P.A. Bonnet, «Recognitio statutorum consociationum privatum», in Periodica 90 (2001) 3-43, p. 41 nota 184.
[96] Feliciani (Giorgio). “Il diritto di associazione e le possibilità della sua realizzazione all’ordinamento canonico”, in Das konsoziative Element in der Kirche. Akten des VI. Internationalen Kongresses für kanonisches Recht, München, 14.-19. September 1987, St. Ottilien, EOS, 1989, pp. 397-418. Citato da P.A. Bonnet, Recognitio statutorum consociationum privatum, in Periodica 90 (2001) 3-43, p. 41 nota 184.
[97] Bonnet (Piero Antonio), La «recognitio degli statuti delle associazioni private come garanzia di pluralismo nella chiesa» (can 299 § 3 CIC), Periodica 89 (2000) 531-563 e Periodica 90 (2001), p. 3-43.
[98] c. 300 § 3. Nessuna associazione privata di fedeli è ammessa nella Chiesa se il suo statuto non è riconosciuto dall’autorità competente.
[99] Riposte catholique, 23 juin 2017.
[100] ASS (2014), p. 845.
[101] Navarro (Luis) «La tutella giudiziaria dei sogetti senza personalità giuridica canonica» in Studi giuridici XLV, Roma 1977, p. 211-228.
[102] Numero di registrazione (Prot) non indicato Cf. ASS (1989), p. 1218, 9° caso 9ème cas.
[103] Consiglio pontificio per l’interpretazione dei testi legislativi. «Riguardo al canone 299 §3» DC 86 [1989] 214 (doppia traduzione)
[104] Prot. 39305/CA, RR (2007), p. 43-44. «Canon 1311 and followings».
[105] Prot. 48091/13 CA, in Monitor eccelsiasticus, CXXXI (2016), p 37-39.
[106] Echappé (Olivier), «Les biens des associations d’Église», L’année canonique, 47, 2005, p. 51-62.
[107] Notitiae 26 (1990) 711-713 et Ministerium Iustitiae, op. cit., p. 603.
[108] Mbala-Kyé (Achille) « una parrocchia di Yaoundé alla ricerca di autofinanziamento, Rigore di gestione e corresponsabilità », recherches africaines n°3, imprimerie saint Paul Yaoundé, 1998 p. 8.
[109] Bidzogo (Emmanuel), Eglises en Afrique et autofinancement, L’Harmattan, Paris 2006, p. 87 et 88/140.
[110] Forum della famiglia cattolica , http://forumfc.clicforum.com/t2736-Refus-de-la-communion-a-genoux.htm
[111] Ibidem
[112] Cogan (Patrick J.), the protection of rights in hierarchical churches: an ecumenical survey, The Jurist, 46 (1986), p. 227. Tradotto dall’inglese.
[113] Medina Estevez (cardinal Jorge), Notitiae, rivista della Congregazione per il culto divino e la Disciplina dei sacramenti, novembre-dicembre 2002. (doppia traduzione)
[114] Personalmente, tenderei a pensare che un ricorso gerarchico di contenzioso, in teoria è possibile, ma le sue possibilità di successo in tempi ragionevoli sono minime, cosicchè i diocesani preferiscono spesso la via diplomatica o la via mediatica.
[115] Wackenheim (Charles), Une Église au péril de ses lois, Montréal, 2007, Novalis, p. 27/204 p.
[116] www.canonistes.org/un-pretre-peut-il-mettre-des-conditions-a-linscrition-au-catechisme-et-notamment-le-fait-davoir-paye-le-denier-du-culte/
[117] Il film Spotlight ne è il risultato. Ha ottenuto un oscar al festival di Cannes del 2016 da una giuria che senza dubbio non aveva una posizione molto obiettiva nei riguardi della chiesa cattolica.
[118] Francesco (Papa), lettera apostolica sullo stile del motu proprio: «Come una madre amorevole»
[119] Cf. Apic et KNA, www.news.va/fr/news/les-depenses-faramineuses-de-leveque-de-limbourg-e
[120] Wackenheim (Charles), Une Église au péril de ses lois, Montréal, 2007, Novalis, p. 27/204 p. et Zenit, 8 juin 2017, Anne Kurian
[120] Il en a notamment résulté le film Spotlight. Celui-ci a obtenu un oscar au festival de Cannes de 2016, par un jury qui n’avait sans doute pas une position très objective par rapport à l’Église catholique.
[120] François (Pape), Lettre apostolique en forme de motu proprio : « Comme une mère aimante »
[120] Cf. Apic et KNA, www.news.va/fr/news/les-depenses-faramineuses-de-leveque-de-limbourg-e
[120] Zenit, 8 juin 2017, Anne Kurian
À propos de l’auteur